Decurtato del 30% l’indennizzo a un uomo senza fissa dimora rimasto in carcere per 458 giorni. La Cassazione rimedia: “principio rovesciato”
di Riccardo Radi da Terzultima fermata
Sei un homeless con una “subalternità culturale”
derivante dalla marginalità socio-economica, quindi la tua carcerazione di 458
giorni ti ha fatto soffrire meno di una persona “normale”. Il “ragionamento” di
una corte di appello di Milano che ha decurtato l’indennizzo di un 30% ad un
uomo rimasto in carcere per 458 giorni, accusato di reati infamanti come la
violenza sessuale e i maltrattamenti.
Secondo il criterio matematico standard, il
malcapitato avrebbe dovuto avere 235 euro per ogni giorno di carcere
immeritato. Ma i 107.630 euro, sono diventati 75mila. Un taglio del 30%
giustificato dalla condizione del ricorrente. La Cassazione sezione 3 con la
sentenza numero 9486/2024 ha posto rimedio all’evidente discriminazione operata
dalla corte di merito.
La Corte di merito aveva basato il decurtamento del
30% sulla base delle seguenti “considerazioni”: il prevenuto “almeno per il
periodo, in cui fu sottoposto alla misura custodiale, era quella di un uomo che
viveva in una situazione di accentuata marginalità socio-economica e di
subalternità culturale”. Senza affetti e privo di una abitazione stabile ed è
per questo che la corte di merito ha ritenuto congruo tagliare di un 30%
l’indennizzo per la carcerazione patita, d’altronde l’aver vissuto in una baracca
e l’assenza di un’occupazione “e di rapporti affettivi di qualsivoglia natura”,
sono fattori che avevano certamente inciso molto negativamente sulla qualità
della sua esistenza. Tutto questo doveva dunque necessariamente aver mitigato
il patimento naturalmente connesso alla carcerazione.
Fortunatamente a questa visione “classista” e
discriminatoria ha posto rimedio la Suprema Corte che sottolinea: “In ultima
analisi, i criteri utilizzati dalla Corte territoriale legittimano una diversa
quantificazione del criterio aritmetico (nel caso di specie con una sensibile
riduzione del 30%) a seconda della condizione sociale, di marginalità,
piuttosto che di normalità o di privilegio, una situazione quest’ultima che
alla luce di questi criteri, dovrebbe conseguentemente avere effetti opposti,
di aumento del quantum”.
Ragionando al contrario – afferma la cassazione – si
dovrebbe dare un indennizzo più alto a chi vive nel lusso, magari in una villa
con piscina, e può contare su solidi affetti: “per non parlare – scrivono i
giudici – dell’incomprensibile richiamo, pure utilizzato nell’ordinanza
impugnata – alla subalternità culturale”.
Mai parole sono risonate più calzanti: “La povertà è
come una punizione per un crimine che uno non ha commesso” (Eli Khamarov).
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