Quella della procura di Trapani sulla nave Iuventa dell’ong tedesca Jugend Rettet, cominciata nel 2016, è stata la madre di tutte le inchieste sulle organizzazioni che si occupano di soccorso in mare. Sette anni dopo il sequestro della nave nel porto di Lampedusa, il 28 febbraio la procura ha chiesto il non luogo a procedere.
Sono cadute tutte le accuse, quelle che allora erano state riprese da molti
politici, ma anche da diversi giornali come prove di presunti contatti e
collaborazioni tra le navi delle ong e i trafficanti di esseri umani in Libia
in quello che abbiamo più volte definito “processo di criminalizzazione del
soccorso in mare”. Il sequestro dell’imbarcazione dell’ong tedesca
il 2 agosto 2017 è stato uno spartiacque: sembrava avvalorare le
presunte collaborazioni su cui indagavano da almeno sei mesi alcuni pubblici
ministeri italiani, tra cui quelli di Trapani.
Nel marzo del 2021 la procura siciliana aveva chiuso l’indagine e aveva
formalizzato le accuse contro il personale di tre organizzazioni umanitarie:
Save the children, Medici senza frontiere (Msf) e Jugend Rettet. Ventuno
persone erano state accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
per aver partecipato a diversi salvataggi di migranti in fuga dalla Libia tra
il 2016 e il 2017, quando a coordinare i soccorsi c’era la Centrale operativa
della guardia costiera italiana (Mrcc). Le pene previste per questo tipo di
reato possono arrivare fino a vent’anni di reclusione.
Nell’inchiesta sono state intercettate decine di
persone, tra cui molti giornalisti e alcuni avvocati, fatto abbastanza inconsueto
e che si è verificato in passato solo nelle indagini che riguardavano la
criminalità organizzata o il terrorismo.
Il 2 marzo si è conclusa l’udienza preliminare e il 19 aprile il giudice
annuncerà la sentenza per il proscioglimento o l’eventuale rinvio a giudizio e
successivamente pubblicherà le motivazioni, ma è un fatto molto importante che
la procura abbia ritirato le accuse, di fatto ritenendo poco solido il lavoro
compiuto negli ultimi sette anni.
Tutto l’impianto accusatorio dell’indagine si basava sulla testimonianza di
due agenti di sicurezza della Imi security service, imbarcati sulla nave
umanitaria di Save the children, Pietro Gallo e Floriana Ballestra, che avevano
mandato un fascicolo sull’operato delle ong direttamente a Matteo Salvini,
leader della Lega, all’epoca all’opposizione. La procura allora aveva aperto
un’indagine e aveva mandato un agente sotto copertura a bordo della nave Vos
Hestia di Save the children, per raccogliere altre informazioni.
Quelle foto e quelle conversazioni registrate dall’agente sotto copertura
erano poi trapelate su tutti i giornali, nonostante l’inchiesta fosse ancora in
corso. Mostravano degli operatori umanitari a bordo di piccole lance di
salvataggio che trainavano le imbarcazioni vuote dei migranti. Queste immagini
sono state ritenute la prova di riconsegne concordate con i trafficanti. Gli
esperti di Forensic
architecture avevano studiato quelle foto ed erano riusciti a
dimostrare che non c’era in realtà alcuna riconsegna.
La procura ha chiesto anche la restituzione all’ong tedesca della nave
umanitaria sequestrata nel 2017 e ormai irrimediabilmente danneggiata dal
fermo. Nella sua memoria, l’accusa ha ammesso la mancanza di credibilità dei
principali testimoni e l’assenza di prove che dimostrino l’esistenza di un
illecito da parte degli imputati. L’accusa ha osservato inoltre che l’udienza
preliminare ha fornito ulteriori prove e informazioni rispetto a quelle
precedentemente ottenute, il che ha portato a un cambiamento di posizione.
Anche se sollevati dal cambio di opinione dell’accusa, gli imputati hanno
espresso sconcerto per ciò che percepiscono come un’incapacità da parte
dell’accusa. “Prove cruciali, come i dubbi sulla credibilità dei testimoni
dell’accusa, avrebbero dovuto essere affrontate durante la fase investigativa,
non durante il procedimento preliminare”, hanno scritto gli imputati in un
comunicato. La difesa ha sottolineato l’importanza di condurre un’indagine
approfondita prima del processo preliminare.
Francesca Cancellaro, una degli avvocati della difesa, ha criticato
l’approccio dei pubblici ministeri: “Siamo contenti che la procura abbia
cambiato idea dopo sette anni. Tuttavia, non è così che funziona uno stato di
diritto. Le accuse dovrebbero essere formulate solo dopo un’indagine
approfondita e la raccolta di tutte le prove disponibili. Cominciare un
processo senza i dovuti accertamenti è ingiusto e comporta un onere indebito
per gli imputati”.
“Che in otto anni siano stati spesi tre milioni di euro di denaro pubblico
per perseguire persone che salvavano vite umane è ancora una vergogna”, hanno
commentato i legali dell’equipaggio della Iuventa, che ora chiedono l’apertura
di un’altra inchiesta sul lungo procedimento giudiziario che ha avuto pesanti
ripercussioni politiche e ha cambiato la gestione della frontiera marittima e
le pratiche di soccorso in mare lungo la rotta più pericolosa del mondo, quella
del Mediterraneo centrale.
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