Il “Piano Casa Salvini” e il nuovo Piano strategico del Comune di Milano sulle politiche abitative preparano l’assalto finale dei grandi interessi finanziari al patrimonio immobiliare pubblico e a quel che resta del diritto all’abitare
“Cos’è la destra, cos’è la sinistra?” cantava l’indimenticabile Giorgio
Gaber e, se analizziamo le politiche abitative, non possiamo che dare ragioni
ai dubbi del compianto autore.
Partiamo dai dati: calcolando le famiglie che hanno già subito uno sfratto
con la forza pubblica, quelle che si ritrovano in mano una sentenza di sfratto
e quelle che si apprestano a riceverlo, in Italia si supera la cifra di
450mila. Un’emergenza reale, vera e drammatica, che richiederebbe misure urgenti
in direzione del diritto all’abitare.
Prontamente il ministro Salvini ha aperto un tavolo con l’obiettivo
di varare un Piano Casa nazionale da rendere operativo nel 2025: peccato che
gli invitati al parterre contemplino grandi banche e assicurazioni, fondazioni
e agenzie di mediatori d’affari, grandi costruttori e fondi immobiliari e
nessun sindacato degli inquilini, né tanto meno alcun movimento per il diritto
all’abitare. Cosa dovrebbe produrre questo tavolo e soprattutto in
quale direzione? Domanda retorica, visti i protagonisti, e risposta semplice:
la valorizzazione del patrimonio pubblico esistente, che, tradotto, significa
consegnare gli immobili inutilizzati ad affaristi del mattone e avvoltoi della
finanza affinché li recuperino e li mettano a reddito (il loro, of
course), con conseguente smantellamento degli enti gestori
dell’edilizia popolare e la messa sul mercato della stessa. Ma questo è
Salvini, lo sappiamo.
E allora facciamo un giro a Milano, seconda metropoli del
Paese, da tempo governata dal centro-sinistra, che ha appena costituito Società
Casa, un piano strategico con i seguenti obiettivi: a) incrementare il
numero degli spazi abitativi pubblici passando da 22mila a 25mila unità; b)
ampliare l’offerta, attivando 10mila nuovi alloggi di edilizia residenziale
sociale; c) ottimizzare le manutenzioni ordinarie, la gestione sociale del
patrimonio e la gestione dei pagamenti e conseguenti morosità.
Finalmente, verrebbe da dire. Ma come si prevede di realizzare tutto
questo? Attraverso la consegna strategica di tutto il patrimonio abitativo
pubblico a Invimit Sgr (Investimenti Immobiliari Italiani), società per azioni
con capitale interamente detenuto dal MEF, il cui compito storico, è quello di
“valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico, in particolare tramite le
cessioni, permettendo al MEF di ridurre il debito pubblico”. Più specificamente
e da statuto, la società “(..) opera in ottica e con logiche di
mercato per cogliere le opportunità derivanti dal generale processo di
valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, attraverso
l’istituzione e la gestione di fondi comuni di investimento chiusi
immobiliari”. Se non fosse sufficientemente chiara la direzione, basti
riportare alcune frasi tratte da interventi dell’Amministratrice Delegata della
società: “Invimit Sgr ha radicalmente cambiato pelle. È l’unica Sgr pubblica
sul mercato. Alla società mancava il contatto con il mercato. La nostra
missione è la valorizzazione e la dismissione” oppure “Occorre avere uno Stato
che diventi giocatore e non sia più solo spettatore. Questa è una narrativa che
a livello internazionale è molto importante e viene recepita bene dagli
investitori. Più in generale, dobbiamo saper vendere la nazione per colmare il
gap con il resto d’Europa…”.
Cosa tutto questo abbia a che fare con gli obiettivi sopra dichiarati dal
Comune di Milano resta un mistero. Ciò che è invece assolutamente evidente,
tanto a livello locale (Società Casa di Milano) quanto a livello nazionale
(Piano Casa di Salvini) è che siamo all’assalto finale dei grandi interessi
finanziari sul patrimonio immobiliare pubblico e alla definitiva negazione del
diritto all’abitare. Quanto ci manchi, Giorgio Gaber.
*Pubblicato su il manifesto del 9 marzo 2024 per la Rubrica Nuova Finanza
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