Ettore è nato il 3 ottobre all’ospedale di Santorso (VI) ed è morto poco
più di un mese dopo all’hospice pediatrico di Padova. Una morte forse
evitabile. Una brutta storia che potrebbe purtroppo ripetersi non solo in
Veneto ma anche nelle altre Regioni che ancora oggi non offrono lo screening
neonatale per la SMA, l’atrofia muscolare spinale, una malattia rara
devastante, ma diagnosticabile alla nascita e quindi affrontabile con un trattamento
salvavita, anche a soli due giorni di vita in casi eccezionali. Sarebbero
bastate poche gocce di sangue prelevate dal tallone del neonato per
diagnosticare la malattia ed Ettore probabilmente non solo sarebbe ancora vivo,
ma avrebbe già beneficiato di una terapia che – se assunta precocissimamente,
prima della comparsa dei sintomi – gli avrebbe garantito uno sviluppo motorio
analogo a quello dei bambini della sua età: pur avendo la Sma, avrebbe imparato
a stare seduto e avrebbe camminato.
Ad oggi in Italia sono solo 10 le regioni (Abruzzo, Campania, Lazio,
Lombardia, Liguria, Puglia, Piemonte, Valle d’Aosta, Toscana e Trentino – Alto
Adige) che effettuano lo screening per la SMA su base stabile e su tutto il
territorio regionale. E lo fanno in autonomia poiché la legge n. 167 del
2016 ha stabilito l’inserimento dello screening neonatale esteso (SNE) nei LEA,
ma manca tuttora il decreto di aggiornamento del panel nazionale e le regioni
sono andate avanti, quindi, in maniera autonoma, con il risultato che, anche in
questo caso, siamo costretti a registrare differenze regionali enormi. E tutto
ciò per un ingiustificabile ritardo del Governo. Ci si attiva ad horas per
convocare in via straordinaria il Consiglio dei Ministri per offrire la
cittadinanza a una bambina inglese inguaribile, ma ci si dimentica di
rendere lo screening per la SMA effettivamente obbligatorio su
tutto il territorio nazionale. La vicenda è puntualmente ricostruita
da VITA: https://www.vita.it/ettore-morto-per-colpa-di-un-decreto-che-tutti-vogliono-e-nessuno-firma/.
In questa triste storia ancora una volta colpisce, tra le altre cose, il
“disordine sanitario” che si è venuto a creare in questo Paese e la sempre più
insopportabile disparità territoriale nell’accesso alle cure, fortemente
diseguale tra nord e sud, da regione a regione. La frattura strutturale
che attraversa il Paese costringe già da tempo le cittadine e i cittadini a
spostarsi da una regione all’altra per essere curati. Una frattura
destinata a diventare una voragine con l’Autonomia differenziata apparecchiata dal
disegno di legge Calderoli. Nel valutare gli adempimenti regionali, al 2021,
dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) il presidente della Fondazione
Gimbe, Nino Cartabellotta ha sottolineato che:
«Il monitoraggio del Ministero della Salute 2021 conferma il
gap strutturale tra Nord e Sud proprio nel momento in cui il Comitato LEP
ritiene che in materia di salute non sia necessario definire i LEP, vista la
presenza dei LEA. Questa proposta suggerisce per le maggiori autonomie in
sanità una scorciatoia pericolosa, visto che il disegno di legge Calderoli
rimane molto vago sul finanziamento oltreché sulla garanzia dei LEP secondo
quanto previsto dalla Carta Costituzionale. Considerato che le nostre analisi
sull’esigibilità dei LEA confermano anche per l’anno 2021 un enorme gap
Nord-Sud, è evidente che senza definire, finanziare e garantire i LEP, le
maggiori autonomie in sanità legittimeranno normativamente questa frattura,
compromettendo l’uguaglianza dei cittadini di fronte al diritto costituzionale alla
tutela della salute e assestando il colpo di grazia al Servizio Sanitario
Nazionale».
Ma il disegno di legge del Governo sull’Autonomia regionale differenziata, testo presentato dal
solo ministro Calderoli, viaggia come un treno impazzito e fra
poco sarà pronto per l’aula del Senato. A nulla sono valse le considerazioni e
i rilievi formulati dalla Corte dei conti e dall’Ufficio Parlamentare di
Bilancio. Né hanno scalfito più di tanto il ministro leghista le dimissioni di
Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo e Alessandro Pajno dal Comitato
presieduto da Sabino Cassese per l’individuazione dei livelli essenziali delle
prestazioni, con le quali avanzavano critiche sulla definizione dei parametri
per assicurare i diritti civili e sociali a tutto il Paese, sul ruolo del
Parlamento e sulle materie da sottrarre alla devoluzione. E non è riuscito a
installare qualche dubbio nella testa del senatore Calderoli neppure il
Governatore della Banca d’Italia, il quale con una puntuale lettera ha
ricordato che per garantire i diritti a tutti occorre avere tutto il quadro
finanziario per gli interventi, altrimenti si corre il rischio di vedere
aumentate le differenze tra le Regioni. Così come a nulla fino ad ora sono
servite le oltre 100mila firme raccolte sulla proposta di legge costituzionale
per la riscrittura dell’art. 116, comma 3, la rivisitazione dell’art. 117
(con lo spostamento di alcune materie dalla potestà concorrente a quella
esclusiva dello Stato, a partire proprio dalla tutela della salute) e l’introduzione
di una supremacy clause della legge statale. Niente.
Nonostante l’aumento del dissenso motivato sull’Autonomia differenziata
– dissenso espresso sia sul metodo che nel merito – le destre-destre
vanno avanti a testa bassa verso la distruzione dell’unità del Paese e
la “secessione dei ricchi”.
Destre-destre capaci di tutto e che hanno i numeri in Parlamento per
approvare il disegno di legge Calderoli, soprattutto se questo è “merce di
scambio” con l’altro pericoloso pasticcio chiamato premierato. Con buona pace
delle parole pronunciate dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno
2022:
«Le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari
tra i diversi territori del nostro Paese – tra Nord e Meridione, per le isole
minori, per le zone interne – creano ingiustizie, feriscono il diritto
all’uguaglianza. Ci guida ancora la Costituzione, laddove prescrive che la
Repubblica deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ledono
i diritti delle persone, la loro piena realizzazione».
Aggiungendo, proprio a proposito del Servizio Sanitario Nazionale che:
«Occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese
rappresentato dal Servizio Sanitario Nazionale si rafforzi, ponendo sempre più
al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive».
Anche per l’Autonomia differenziata dovranno essere le cittadine e i
cittadini a fare da argine per fermare l’attacco alla Costituzione, all’Unità
del Paese e al Servizio Sanitario Nazionale, mobilitandosi, per
via referendaria, affinché si possa una volta per tutte farla
finita con la stagione della secessione leghista, che sotto varie vesti va
avanti già da troppo tempo e che – anche grazie alla cedevolezza di una certa
sinistra – ha già prodotto numerosi guasti in questo Paese.
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