Si susseguono segnali sempre più chiari e visibili che siamo alle porte di una crisi climatica senza precedenti, le soluzioni esistono, a cominciare dallo stop ai finanziamenti pubblici alle aziende fossili e alla regolamentazione degli Esg, ma manca la volontà politica di aiutare la decarbonizzazione dell’economia.
Le analisi dell’International Energy Agency (Iea) e
quelle di George Monbiot
L’Iea
pubblica ogni anno un’analisi delle prospettive dell’energia a livello
mondiale. Quella relativa al 2023 (Iea, 2023), fa intravedere, in qualche modo
sorprendentemente, qualche speranza per il mondo. Anche se l’agenzia non
nasconde il fatto che importanti nuvole nere si stiano presentando
all’orizzonte, afferma comunque che si va sviluppando una nuova economia
dell’energia pulita. Le previsioni sull’espansione della produzione di energia
pulita nei prossimi cinque anni, afferma l’Iea, sono ora molto più forti di quanto
lo stesso ente stimasse soltanto un anno fa.
Si
sottolinea come gli investimenti nel settore dell’energia pulita siano
cresciuti del 40% nel 2022 rispetto al 2020. Lo studio prevede poi che più di
500 gigawatt di capacità di energia rinnovabile dovrebbero essere aggiunte nel
2023, un record. Entro il 2027, poi, si dovrebbe aggiungere tanta capacità di
produzione di energie rinnovabili quanto negli ultimi venti anni. Anche la
capacità produttiva di componenti chiave dei sistemi di energia pulita si sta espandendo
velocemente nel mondo, si afferma nello studio.
L’ente
sottolinea, d’altro canto, che gli investimenti nel settore petrolifero erano
pari a 679 miliardi di dollari nel 2015 e sono scesi a 493 miliardi nel 2022;
quelli nel gas naturale sono passati nello stesso periodo da 433 miliardi a
329, andando nello stesso senso. Nel campo dell’energia a bassa emissione gli
investimenti sono invece cresciuti da 362 miliardi a ben 660; quelli
nell’efficienza energetica sono passati da 343 miliardi a 453; quelli infine
nelle reti elettriche e nell’immagazzinamento dell’energia da 326 miliardi a
352 miliardi.
Sono in
molti però a registrare ancora l’altro lato, più oscuro, della medaglia. Così,
ad esempio, George Monbiot, un noto giornalista inglese, ci ricorda alcuni
aspetti drammatici della situazione attuale (Monbiot, 2023). Sottolinea che
nell’Antartico lo scioglimento dei ghiacci è accelerato drasticamente
nell’estate di questo anno, mentre il suo livello precedente non si è
ricostituito durante l’inverno locale. Intanto nuove ricerche sull’Amazonia
hanno trovato quelli che gli scienziati chiamano i segnali precursori
dell’avvicinarsi di una transformazione critica; una combinazione di
deforestazione e di rotture climatiche che potrebbero interrompere presto la
circolazione delle piogge nel bacino, scatenando un rapido passaggio dell’area
dalla foresta pluviale alla savana. Assistiamo poi ad una rilevante perdita di
specie animali. Il 48% delle specie del mondo stanno registrando un declino
nella dimensione della loro popolazione, mentre un numero molto più elevato del
previsto delle stesse sta andando verso l’estinzione. E si potrebbe continuare.
Un’altra
tendenza rilevabile dai dati, non del tutto positiva, fa riferimento al fatto
che circa i due terzi degli investimenti in energie rinnovabili siano
concentrati nel 2022 nell’area dell’Asia Orientale-Pacifico e per la gran parte
in particolare in Cina (Irena, 2023).
Alla fine,
cercando si conciliare in qualche modo le analisi della Iea e quelle di
Monbiot, si può affermare che le minacce all’ambiente sono ancora tutte lì e
che stanno anzi crescendo di intensità, ma che, d’altro canto, si va
manifestando una tendenza ad una maggiore attenzione al fenomeno, che si sta
traducendo in una forte crescita degli investimenti nel settore delle energie
rinnovabili, investimenti peraltro ancora non sufficienti come dimensioni.
L’obiettivo che era stato fissato del non superamento dell’aumento di 1,5 gradi
nella temperatura media sarà a questo punto difficilmente ottenibile (Carrington,
2023).
Le bombe al carbonio e le banche
E veniamo ai
temi più strettamente finanziari. Il fatto che non tutto vada per il meglio è
testimoniato dal fatto che sono stati individuati di recente nel mondo ben 425
progetti (Niranjian, 2023; Aubert, 2023) nel settore delle energie fossili,
ognuno dei quali potrebbe emettere, se portati avanti, più di un miliardo di
tonnellate di biossido di carbonio nell’atmosfera (“Carbon
Bombs”). Essi, messi insieme, potrebbero distruggere l’ultima
possibilità di impedire che il riscaldamento del pianeta raggiunga livelli
molto pericolosi.
Ora, nel
periodo che va dal 2016 e il 2022, le grandi banche, in particolare quelle
europee, statunitensi e cinesi, hanno fornito finanziamenti a tali progetti per
1.800 miliardi di dollari e nel solo 2022 per circa 150 miliardi. Tali banche
finanziano direttamente i progetti o supportano massicciamente le imprese che
li sfruttano.
Appare
evidente che uno dei presupposti per accelerare il passaggio ad un’economia
verde appare quello di spingere gli istituti bancari e assimilati a cambiare il
loro atteggiamento.
La finanza cosiddetta verde
Di fronte a
tali cifre può sembrare in qualche modo inverosimile che, secondo i dati
ufficiali, stiamo assistendo comunque ad una forte crescita della cosiddetta
“finanza verde”; su questo tema riprendiamo, sostanzialmente, un altro articolo
di chi scrive apparso su questo stesso sito (Comito, 2021). Come è noto, con
l’espressione “finanza verde” si fa riferimento al finanziamento da parte delle
istituzioni preposte di attività che rispettino i criteri cosiddetti ESG (Environmental, Social, Governance), che facciano cioè
riferimento agli aspetti ambientali, sociali e di cosiddetta buona governance. Già nel 2019 si parlava di un totale di
35.000 miliardi di dollari, il 36% di tutti i fondi gestiti professionalmente,
dedicati al settore: una apparente valanga. Mentre tali titoli “verdi”
crescevano esponenzialmente, però, altrettanto crescevano le emissioni
inquinanti. Per i dati ottimistici appena citati si è parlato così, con
un’efficace espressione, di greenwashing (di
falsa pulizia, cioè, dello sporco).
Ci sono
molte possibili spiegazioni a tale apparente contraddizione. Ci limiteremo a
qualche semplice annotazione. Se si guarda in dettaglio alle cifre, nella UE
quasi la metà di tali fondi “puliti” sono utilizzati dalle compagnie
petrolifere e minerarie, tra i massimi inquinatori del pianeta. Certo esse
dichiarano di utilizzare tali fondi per “progetti verdi”, ma chissà cosa
succede veramente. Così la francese Total ha promesso di emettere in futuro
soltanto “titoli verdi”, il che significa che tali titoli serviranno ovviamente
a finanziare anche le attività di esplorazione petrolifera.
Un problema
di fondo è quello che mancano definizioni comunemente accettate di investimenti
ESG e poi strumenti di controllo efficaci. E poi: come mettere nello stesso
paniere il verde, il sociale e la governance? Così ad
esempio delle imprese pessime sul fronte dell’E (Environmental)
possono ottenere una notazione virtuosa perché positive su S (Social) e G (Governance),
confondendo così gli investitori bene intenzionati.
Uno studioso
francese, Laurence Shalom (Shalom, 2023) mette in dubbio che la finanza
virtuosa sia veramente virtuosa. Sulla definizione di tale termine ci sono,
egli ci ricorda, due visioni opposte. Per l’investitore preoccupato seriamente
della conservazione del pianeta quello che importa è l’impatto delle imprese
sull’ambiente; quindi egli cercherà di investire in imprese attente a non
degradare l’ecosistema. Ma gli uomini di finanza e la gran parte delle imprese
si preoccupano invece principalmente delle conseguenze finanziarie di questo
degrado sui loro conti e sul loro valore di Borsa. Queste due concezioni molto
diverse sono fonte di confusione, confusione propizia al greenwashing. Ora non esistono norme che chiariscano
questo punto essenziale, ricorda Shalom. L’approccio sviluppato così dall’International Sustainability Standard Board, ente
apparentemente autorevole nel campo, propende –
ahimè -, come gli stessi Stati Uniti, per l’ipotesi più favorevole alla
aziende.
Per far
emergere una finanza veramente durevole si dovrebbe, secondo Shalom, passare
attraverso un’azione pubblica forte. Si tratta, in altri termini, di riarmare i
poteri pubblici di fronte alla finanza, in modo da costringerla a partecipare
allo sforzo collettivo. Obiettivo molto impegnativo.
Le grandi imprese dell’energia e i loro investimenti
Secondo una
stima recente (Carrington, 2022), negli ultimi cinquanta anni l’industria del petrolio
e del gas ha ottenuto nel mondo 2,8 miliardi di dollari di profitti al giorno.
Una cifra sbalorditiva. Ancora nel 2022 la Exxon ha dichiarato profitti netti
per 56 miliardi di dollari, la Shell per 39,9, la Chevron per 36,5, la Bp per
27,7 e la Total per 21,0. Nel suo piccolo anche l’Eni ha compiuto il miracolo
guadagnando nell’anno 13,3 miliardi di euro; mentre la saudita Aramco, dal
canto suo, ha registrato da sola 161 miliardi di dollari di utili.
Con tali
enormi somme tali gruppi hanno sempre avuto e continuano ad avere la forza
finanziaria per comprare tutti i politici del mondo e bloccare, o almeno
ritardare il più possibile, l’azione degli Stati e degli organismi pubblici
locali contro la crisi climatica.
Così le
società dell’energia continuano ancora oggi a investire la gran parte delle
loro enormi risorse nel settore delle energie fossili, lasciando solo una quota
ridotta a quelli nelle rinnovabili. Si può rilevare una sostanziale sordità
delle imprese statunitensi al tema e una maggior attenzione allo stesso da
parte di quelle europee.
Le
giustificazioni ufficiali a tale comportamento fanno riferimento alla scarsa
redditività del settore delle rinnovabili e al fatto che il mercato avrà
bisogno ancora per molto tempo di petrolio e gas.
Il caso della BP inglese e quello italiano
A proposito
di imprese europee, ricordiamo che la British Petroleum è una società
energetica britannica tra le più grandi del mondo. Il suo amministratore
delegato, Bernard Looney, aveva messo a punto qualche tempo fa un nuovo slogan
per il gruppo – “Al di là del petrolio” – ed aveva costituito una nuova
società, la Helios, il cui nome rimandava facilmente alle energie rinnovabili.
Egli si era dato coerentemente come obiettivi quelli di ridurre del 40% il
livello delle emissioni inquinanti del gruppo entro il 2030 e di arrivare ad
una situazione di zero emissioni entro il 2050. Ma all’inizio di questo anno è
stato costretto a tornare indietro sui suoi passi, mentre più recentemente è
stato anche costretto alle dimissioni (Watts, 2023).
In Italia,
poi, abbiamo, come è noto, due grandi gruppi energetici, l’Eni e l’Enel. Mentre
la prima impresa continua a dare priorità al settore fossile, il responsabile
dell’Enel aveva avviato un grande programma di investimento nel settore delle
energie rinnovabili, azione che aveva portato l’azienda ai massimi vertici
mondiali in tale campo. Ma è stato rapidamente licenziato.
Le due
storie indicano che è molto pericoloso al momento, nei grandi gruppi
energetici, farsi paladini dell’ecologia; vi si oppongono sia gli azionisti
privati che i poteri pubblici. Non sembrerebbe esserci scampo.
Il finanziamento delle energie rinnovabili e dintorni
Bisogna
ricordare che tra il 2013 e il 2020 sono stati impiegati dai pubblici poteri di
tutto il mondo circa 2.900 miliardi di dollari in sussidi alle energie fossili
(Irena, 2023). Bisogna partire da lì, ribaltando l’allocazione di tali fondi
verso le energie rinnovabili.
Per quanto
riguarda in generale le risorse necessarie alla transizione energetica, si fa
l’ipotesi di un fabbisogno netto supplementare di investimenti di 2.500
miliardi di dollari annui a livello mondiale; per quanto riguarda la gestione
dell’acqua si pensa a 350 miliardi di dollari, mentre per la gestione della
biodiversità si valutano le necessità ulteriori in 800 miliardi di dollari
(Artus, 2023).
Si pone
ovviamente il problema di come coprire tali fabbisogni.
In questa
sede si ricordano soltanto alcune piste possibili.
Intanto
bisognerebbe spingere le grandi imprese dell’energia a investire molto di più
in tale settore. Più in generale si dovrebbe puntare ad un mutamento nei
comportamenti delle imprese, di fronte al fatto che le pratiche di
distribuzione di dividendi e di riacquisto di azioni proprie non cessano di
aumentare (Artus, 2023). Le imprese dovranno in futuro ridurre la remunerazione
degli azionisti sotto le varie forme utilizzate per disporre di un volume
maggiore di risorse per realizzare la transizione energetica nelle loro
imprese.
Bisognerebbe
poi persuadere, accanto alle banche ordinarie, le grandi istituzioni
finanziarie per lo sviluppo internazionale, dalla Banca Mondiale al Fondo
Monetario, dalle banche regionali di sviluppo, a quelle sorte per iniziativa
cinese, dalla AIIB alla banca dei Brics a quella dello Sco, ad andare molto di
più in questa stessa direzione. Ci sarebbero poi i fondi mobilitabili dagli
Stati nazionali (ricordiamo tra l’altro i programmi in proposito di Usa, Cina e
UE) e poi in particolare quelli relativi al possibile accordo tra i paesi ricchi
e quelli emergenti per la creazione di una istituzione essenziale, quella di un
fondo per aiutare i paesi particolarmente vulnerabili che soffrono degli
effetti devastanti del riscaldamento globale (“Loss and damage fund”).
Ma tale possibile novità va avanti con molta fatica, anche se è stata messa a
punto, nei primi giorni di novembre, una bozza di accordo a questo proposito,
peraltro non entusiasmante, tra i vari paesi. Il responsabile di una CGO ha
commentato la cosa affermando che “… questo è un giorno triste per la giustizia
climatica, dal momento che i paesi ricchi voltano le spalle alle comunità
vulnerabili…” (Harvey, 2023).
C’è un
ulteriore problema.
Cosa hanno
in comune, si chiede Jézabel Couppey-Soubeyran (Couppey-Soubeyran, 2023), la
de-desertificazione dei suoli, la de-polluzione delle acque, la raccolta dei
rifiuti oceanici, la creazione di riserve di biodiversità, gli aiuti necessari
perché tutte le famiglie possano avere accesso attivo alla transizione
ecologica.? Tutte queste azioni, e altre qui non citate, sono spese necessarie
per una transizione ecologica giusta, ma sono sprovviste di ritorni economici.
Spese di questo tipo esigono la copertura da parte del settore pubblico.
E’ stato
stimato che nella sola Europa sarebbero necessari per risolvere il problema
circa 500 miliardi di euro di investimenti all’anno per sette anni. Come e dove
reperire tali ingenti somme, di fronte anche al già elevato livello di
indebitamento degli stessi Stati europei? Anche l’aumento delle imposte appare
difficilmente sostenibile. Bisogna quindi ricorrere soprattutto ad una nuova
forma di creazione di moneta senza indebitamento.
Tecnicamente,
afferma l’autrice, niente impedirebbe alla banca centrale di emettere della
moneta legale senza acquisto di titoli o forme analoghe, iscrivendola
semplicemente sul conto di una società finanziaria pubblica. Quest’ultima
distribuirebbe, sotto forma di sovvenzioni, soldi alle imprese e ai progetti
che perseguissero l’obiettivo di uno sviluppo durevole che mancassero di redditività
finanziaria. Risparmiamo al lettore i dettagli tecnici del progetto.
Le soluzioni
esistono, manca la volontà politica di attuarle.
Conclusioni
Mentre in
questi mesi assistiamo a manifestazioni evidenti del rapido avvicinarsi di una
rilevante crisi climatica, con tutte le sue conseguenze, si manifesta
contemporaneamente qualche segnale di una forte crescita, pur ancora non
sufficiente, degli investimenti nelle energie pulite. Cruciale in tale quadro
appare il comportamento della comunità finanziaria, che dovrebbe essere spinta
a decisioni maggiormente consapevoli della drammaticità dell’ora anche da una
forte pressione dei poteri pubblici, pressione che al momento non appare in
generale molto convinta.
Testi citati nell’articolo
-Artus P.,
Quatre options pour financer la transition, Le Monde, 5-6
novembre 2023
-Aubert R.,
Ces “bombes carbone” qui menacent le climat, Le Monde, 1-2
novembre 2023
-Carrington
D., Climate crisis: carbon emission budget is now tiny, scientists say, www.theguardian.com, 30 ottobre 2023
-Carrington
D., Revealed: oil sector’s “staggering” $3bn-a-day profits for last fifty
years, www.theguardian.com, 21 luglio 2022
-Comito V.,
La «finanza verde»: molta finanza e poco verde, www.sbilanciamoci.info, 15 novembre 2021
-Couppey-Soubeyran
J., Pour une création monétaire sans dette, Le Monde, 29-30
ottobre 2023
-International
Energy Association, World Energy Outlook 2023,
ottobre 2023
-Irena
(International Renewables Energy Agency), Global landscape of renewable
energy finance 2023, Abu Dhabi, febbraio 2023
-Harvey F.,
« Loss and damage » deal struck to help countries worst hit by
climate crisis, www.theguardian.com, 5 novembre 2023
-Monbiot G.,
The « flickering » of Earth systems is warning us : act now, or
see our already degraded paradise lost, www.guardian.com, 31 ottobre 2023
-Niranjan
A., Banks pumped more than $150bn into companies running “carbon bomb” projects
in 2022, www.theguardian.com, 31 ottobre 2023
-Shalom L.,
La finance peut-elle etre durable ?, Le Monde, 29-30
ottobre 2023
-Watts J.,
BP must not backtrack on climate action…, www.theguardian.com, 14 settembre 2023
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