Intervista a Mario Ferraguti (di Lorenzo Poli)
Gli ultimi avvistamenti di lupi sulle prealpi e
alpi lombarde stanno innescando l’ennesimo allarmismo sul “pericolo lupo”,
spesso innescato dai media locali e dalla lobby venatoria giocando sulla paura
ancestrale della gente. In realtà il lupo è un animale completamente diverso da
come viene raccontato. Sul tema ne parliamo con Mario Ferraguti, scrittore,
libero pensatore, ricercatore indipendente e grande osservatore del mondo
arcaico e della nostra cultura popolare tra retaggi pagani e la
cristianizzazione. Laureato in lettere moderne, collabora con università,
centri di studio e ricerca, settimanali e riviste. Tra le esperienze più particolari
ha realizzato numerosi reportage per Panorama, cura una rubrica
sulle case abbandonate per Casantica, ha tenuto corsi di
etno-medicina ai medici tirocinanti sulla figura delle “guaritrici” ed è tra
gli organizzatori del Piccolo Festival di Antropologia della Montagna (PFAM) di
Berceto. Ha pubblicato i romanzi La voce delle case abbandonate (Ediciclo), La
ballata del vento (Ediciclo), e con Giacomo Agnetti, dedicato ai
ragazzi, I mostri d’aria (Ediciclo). Nel 2022 ha
pubblicato L’ autunno in cui tornarono i lupi (Bottega Errante
Edizioni) sul ritorno del lupo sull’Appennino; nel 2023 ha pubblicato La
lepre e la luna. Sulle tracce delle guaritrici d’Appennino (Exòrma)
sulla figura delle guaritrici, mentre la sua ultima fatica è L’alfabeto
delle anime. Piccola incursione nell’aldilà (Ediciclo) sul tema della
morte.
Saltuariamente i quotidiani locali, spesso finanziati dalla lobby
venatoria, rilanciano notizie allarmistiche sulla presenza e sul bisogno del
contenimento del lupo. Quanti sono i lupi in Italia? Quale è la reale
situazione in Italia?
C’è questo allarmismo che periodicamente ritorna parlando appunto di
contenimento del lupo. In realtà la popolazione del lupo in Italia non è così
allarmante. Dalle ultime stime si parla di circa 4.000 esemplari in tutta
Italia, anche se ascoltando gli esperti la forbice è molto amplia. Ma questo
non è importante: il lupo è un animale che si auto-contiene, autoregola laddove
ci sono disponibilità alimentari e territori disponibili, la sua popolazione si
espande. Laddove non ci sono territori disponibili, sono gli stessi lupi che
fan parte di un territorio ad aggredire e scacciare ed uccidere altri individui
che tentassero di entrare nel loro territorio. Il leit motiv del
“ci sono troppi lupi” è un concetto anomalo ed arbitrario che noi umani
tendiamo ad applicare alle prede, ma che non vale per i predatori, che si
autocontrollano. Ciò che spaventa nei quotidiani locali non è tanto il ricorso
all’abbattimento dei lupi. Il 7 dicembre 2023 farò un intervento in Svizzera dove
lo stesso WWF si è espresso a favore di un contenimento di quattro branchi di
lupi senza conoscere la situazione. Evidentemente una posizione assurda
ed inutile che viene portata avanti per attenuare polemiche e problemi sociali
scaturiti dai mezzi di comunicazione che ogni tanto ritornano con l’ “allarme
lupo”. Il problema allarmistico è sempre un problema forte legato al populismo
e alla sua cultura che cerca di aggredire allo stomaco le persone senza farle
riflettere, giocando con le paure primordiali per poi presentarsi come
risolutori e gestori di quella paura stessa. Un gioco che vien comodo ad alcune
forze politiche che non riescono a parlare di altro e che trovano nella
gestione della paura un’arma fondamentale per raccogliere voti. Spesso purtroppo
i quotidiani li seguono, un po’ perché sono legati a queste forze politiche, un
po’ anche per vocazione di alcuni tipi di giornali che seguono linee politiche
conservatrici se non puramente di destra.
Oltre agli allarmi mediatici, ciò che fa da cassa di risonanza,
nell’inconscio collettivo, è tutto il retaggio culturale e simbolico negativo
legato al lupo. Cosa significava il lupo nei racconti dei nostri nonni?
Il lupo nel racconto dei nostri nonni – lo “zio grigio” – era una figura di
cui aver paura ma che, in qualche modo, rientrava in un assetto naturale ben
preciso e faceva parte di una realtà che non era anomala, che non era
straordinaria e particolare. Con la perdita del “lupo fisico”, quello
scientifico e reale, si è perso anche il racconto del “lupo metafisico”, quello
surreale e fantastico. Se la tradizione orale faceva paura e il suo scopo era
quello di spaventare è anche vero che aveva scopo di educare. Sull’Appennino –
dove ho condotto i miei studi sul lupo – esistono due tipi di paure:
una cattiva, che è equiparata ad una malattia, ad una situazione
ingestibile che ci blocca, che non ci fa procedere e che le guaritrici
“lavavano” al fine di scorporare il male che ci ha aggrediti; ed una buona e
necessaria che aveva una grande funzione educativa. Tutti i racconti della
tradizione orale mirano ad un estro pedagogico, occorrendo insegnare come
vivere, come sopravvivere nei territori montani spesso difficili e quindi anche
una “buona dose di paura” faceva parte del bagaglio culturale necessario di un
individuo che apparteneva a quella società. Era giusto essere spaventati,
perché la paura buona induce al rispetto, alla percezione
della propria fragilità ed una cultura del senso del limite, abbandonando la
tracotanza tipica di chi ha tutto sotto controllo. È un po’ la paura di Ulisse
nell’Odissea che è consapevole che ci sono creature più grandi e potenti di
lui, pur continuando il viaggio, trovando risposte nella sua cultura, nella sua
consapevolezza, scaltrezza e conoscenza. Con un bagaglio di conoscenze adeguate
la società tradizionale ti dice: “Tu devi avere paura, ma devi anche
saperti difendere, devi saper gestire la tua paura in situazioni di pericolo
reale”. Ora, la paura che oggi viene inculcata nel mondo contemporaneo dai
giornali e dalla televisione e dagli apparati mediatici, è una paura
cattiva che blocca e non insegna e non dà soluzioni. È una paura
cavalcata dalle forze populiste senza renderti partecipe e protagonista della
soluzione, ma piuttosto si propongono come risolutori della nostra paura e
calano la loro proposta dall’alto, tenendoci in balia degli eventi. Il discorso
sul lupo, e sui grandi carnivori in generale, è tipico: si sparge paura come
contaminazione, come una malattia a scopi specifici con il fine di terrorizzare
le persone. Questa retorica populista, messa in atto dal mondo venatorio,
sostiene che il lupo è ovunque, che il lupo è un animale terribile, che il lupo
non è legittimato a stare dove si trova ma piuttosto che è stato introdotto,
che il lupo attuale è uno “straniero” o “extracomunitario”, un “lupo ibrido”:
una visione in cui il “lupo nero” si sovrappone alla figura dell’ “uomo nero”.
Di fronte a questa narrazione alcune forze politiche, come la Lega Nord in
passato e la Lega attualmente, ti garantisce una soluzione affinchè l’elettore
possa votare per sentirsi al sicuro. Questo è l’atteggiamento tipico che non
viene messo in atto solo con i lupi ma anche con tutto ciò che mina o contamina
la nostra cultura e la nostra sicurezza, la nostra arroganza e la nostra convinzione
di essere gli unici autorizzati a stare in alcuni posti, a vivere in alcuni
posti e a gestire ciò che abbiamo attorno. Il ritorno del lupo mette in crisi
tutto questo perché è un animale ingestibile e nello stesso tempo, la paura del
lupo è una paura atavica che riporta l’essere umano ad essere animale tra gli
animali ed ha a che fare con il nostro senso di vulnerabilità. Questo ci
insegna tantissimo e per la società tradizionale era un elemento prezioso che
faceva parte del bagaglio culturale di ogni individuo, mentre la paura
cattiva induce alla paralisi e alla rabbia. La gestione della rabbia e
della paura suggerita da altri, esattamente come il combustibile e il
comburente, porta ad un incendio che genera violenza. Se ci si spaventa a morte
e ci viene detto che nessuno, nemmeno chi di dovere, si sta muovendo per
aiutarci, ciò alimenta la rabbia e genera violenza. Ciò è preoccupante non solo
in relazione ai lupi ma anche a tutto ciò che ci circonda e che minimamente ci
mette in difficoltà.
La lobby venatoria da decenni impone la narrazione tossica del lupo come
“specie invasiva” che distrugge la biodiversità. Quali sono le falsità a
riguardo? Può darsi che la lobby venatoria lo utilizzi come capro espiatorio,
essendo un possibile competitore naturale dei cacciatori?
La lobby venatoria racconta un animale che non è reale, ma costruisce
un animale fantastico per indurre a sentimenti che sono
lontani dalla conoscenza reale. Chi cavalca il populismo venatorio ha tutto
l’interesse che non si entri mai nella discussione concreta dialogica, molto
probabilmente perché non riuscirebbe a reggere il confronto e non riuscirebbe a
controbattere con temi adeguati. Se si confrontano un ricercatore con un
politico che cerca di condizionare la paura delle persone, il ricercatore
avrebbe la meglio perché risponde con profonda cognizione di causa. Le parole
che utilizzano i giornali per raccontare il lupo non hanno fondamenta e non
hanno uno spessore scientifico e di “buonsenso”. La lobby venatoria sta
cercando di presentarci il lupo con aspetti deteriori come il “lupo ibrido”,
come un lupo che non è legittimato a stare dove si trova, come una specie
alloctona senza alcuna appartenenza ad un territorio, facendo passare l’idea
che, esattamente come è stato introdotto, si può sradicare abbattendolo. Questo
è uno dei temi cardini del populismo venatorio che spesso invade la politica.
Naturalmente il lupo fa parte del nostro territorio e la sua è stata una
riconquista assolutamente naturale, anche se dà molto fastidio. Il lupo è
un sele-controllore che agisce in modo molto più efficace di
qualsiasi cacciatore e quindi è un competitore fortissimo per la lobby
venatoria. Un competitore talmente bravo che il tentativo di eliminarlo e di
ucciderlo è anche dato dal fatto che non sarebbero più utili i cacciatori: il
controllo che esercita il lupo è più naturale, efficacie ed importante di
qualsiasi altro animale umano che presume di esercitare lo stesso controllo
sull’ecosistema, sparpagliando errori.
Anche i pastori e i contadini delle zone montane e pedemontane gettano
fuoco su queste narrazioni. Il problema è il lupo o è la gestione
antropocentrica del territorio?
Gli allevatori e i contadini rispondono a quelle che sono le dinamiche
venatorie. Io ho ricevuto lettere anonime in cui si accusa il lupo di
distruggere i campi di patate. Ora, è talmente assurda questa accusa che chi
distrugge i campi di patate sono i cinghiali. La lobby venatoria è riuscita ad
inculcare talmente bene agli agricoltori la storia che i cacciatori sono nel
giusto, a tal punto da spostare il problema su altri soggetti. Sappiamo
benissimo che chi oggi si propone di liberare i nostri boschi dalla “piaga” dei
cinghiali, sono gli stessi cacciatori che li hanno introdotti. Sarebbe logico
che gli agricoltori se la prendessero con i cacciatori, mentre quest’ultimi
sono stati talmente bravi a deviare il problema da non figurare come
responsabili. Paradossalmente gli stessi agricoltori se la prendono con il
lupo, quando sarebbe il loro miglior alleato perché uccide cinghiali e caprioli
dannosi per le colture. Si tratta di una situazione assurda e anomala. È anche
vero che il lupo non garantisce il business delle munizioni e delle armi e non
inquina nemmeno con il piombo. È evidente che il problema è la gestione antropocentrica
del territorio.
Ci siamo abituati ad essere l’unica specie animale a vivere il territorio.
Il problema è il lupo o l’allevamento e l’addomesticazione innaturali degli
animali ad uso e consumo umano?
È chiaro che si tratta di interessi. Quando non c’erano i lupi gli
allevatori erano soliti a condurre i loro allevamenti senza alcun tipo di
controllo. In Lunigiana le pecore erano lasciate allo stato brado dalla mattina
alla sera sul Monte Gottero, fino a quando naturalmente non è arrivato il lupo
che ha fatto una piccola carneficina. I lupi si sono trovati le pecore libere a
totale disposizione senza nessuna protezione. Non c’erano più cani da difesa,
ma solo cani da conduzione; non c’erano più le reti anti-lupo, ma solo reti che
non permettevano alle pecore di uscire. I pastori avevano completamente
dimenticato l’esistenza del lupo, soprattutto a livello culturale. Il lupo si
era perso come soggetto, come entità e come figura abitante la Natura, a tal
punto che nel dialetto dei pastori, il gaì – una sorta di
esperanto antichissimo parlato solo dai pastori con termini criptici e
misteriosi – la parola “lupo” era già scomparsa negli anni Sessanta, per dire
quanto i pastori avessero abbandonato la prospettiva di dover ritornare in
contatto con il lupo. Il lupo è scomodo, per i pastori e per gli allevatori di
oggi, perché sono costretti a tornare a controllare i loro animali. Il problema
è che, con l’addomesticazione, abbiamo completamente modificato molti
animali, li abbiamo “portati nella domus” ed accasati. Abbiamo
creato pecore che producono più lana e vacche che producono più latte; abbiamo
contagiato e destrutturato razze a nostro uso e consumo con una visione
antropocentrica; ma ancora peggio abbiamo annullato ed annientato in loro
l’istinto di fuga. Oggi se lasciamo vacche, pecore ed animali domestici liberi
in un bosco, non sarebbero in grado di riadattarsi alla vita selvatica e non
avrebbero la capacità di scappare dai predatori proprio perché li abbiamo
addomesticati per i nostri fini. In questo modo ne siamo diventati i custodi,
ovvero coloro che si devono prendere cura di questi animali. A me sembra sempre
strano sentire i pastori che, rispondendo a chi si oppone ad una eventuale
mattanza di lupi, afferma: “Ma come, devo prendermi cura delle mie pecore?
Ma come, devo rinchiuderle?”. La risposta dovrebbe essere: “Sì,
se vuoi fare il pastore”. Esattamente come qualsiasi massaia sa bene
che deve rinchiudere le sue galline la sera, altrimenti volpi e faine se le
mangiano, un pastore dovrebbe fare altrettanto. I pastori oggi devono
recuperare, attingendo dalla loro cultura, tutte quelle attenzioni che una
volta mettevano in pratica in presenza del lupo. Se ritornano i lupi non
bisogna dichiarargli guerra, non bisogna pensare come ammazzarli, ma piuttosto
partire dai presupposti che in quel territorio ci sono anche loro. Ci sono
esperienze contemporanee di pastori che intendono convivere con il lupo e
possono benissimo farlo, con i dovuti stratagemmi. Con il ritorno del lupo si
sono creati nuovi problemi, che sono problemi solo per chi gestisce un’attività
economica: ogni imprenditore sa che, nella valutazione dei rischi che ogni
pastore e allevatore deve mettere in atto, ci deve essere anche la voce “lupo”.
Ovviamente questo ci deve far pensare che non siamo più i padroni, gli unici
controllori e gestori di una parte del sistema ecologico. Dobbiamo pensare ad
una convivenza pacifica con i lupi, ritornare ad una visione eco-centrica,
tornando consapevoli che non siamo l’unica specie vivente delle montagne.
Oltre ai falsi miti sul lupo, in moltissime zone è stato riscontrato il
contrario: laddove è ritornato, il territorio si è ripopolato di flora e fauna
locali…
Nei territori in cui è tornato, il lupo è stato preziosissimo. C’è il
bellissimo documentario “Come i lupi possono cambiare il
corso dei fiumi” sul Parco di Yellowstone[1] – unico parco al mondo dove è stato
davvero prevista ed attuata l’introduzione del lupo – dove si è documentato[2] come il suo ritorno abbia favorito il ripristino
delle cascate trofiche[3] in un ecosistema che era ormai
degenerato per l’insistenza e il sovrannumero di ungulati che, non avendo
nessun nemico naturale, si erano riprodotti in modo sconsiderato. Ciò portò
alla perdita a lungo termine della vegetazione ripariale[4], favorendo l’erosione delle rive, la
formazione di meandri e l’allargamento dei letti dei fiumi, soprattutto nelle
zone di pianura. Con il tempo tutto questo portò inevitabilmente alla modifica
della geografia dei corsi d’acqua. Quando nel 1995 il lupo grigio venne
introdotto, portò a piccoli miracoli naturali. In breve tempo i lupi tornarono
a cacciare i cervi. Questi ultimi, abituati a pascolare senza timore
cominciarono ad allontanarsi per trovare rifugi migliori tra gli alberi nel
bosco. Dall’impoverimento della fauna e della flora fluviale, la vegetazione
ripariale ricominciò a crescere e, con essa, aumentò il numero di
castori, lontre, alcuni uccelli di fiume passeriformi e animali che vivono
lungo le sponde dei corsi d’acqua. La morfologia dei corsi d’acqua cambiò
nuovamente: fiumi e ruscelli ripresero gradualmente a scorrere meno, le loro
rive si stabilizzarono e i canali, non più soggetti a erosione continua, si
strinsero. Uno stravolgimento completo in termini assolutamente positivi grazie
al ritorno del lupo[5].
Nel tuo libro “L’autunno in cui tornarono i lupi”, racconti anche
esperienze italiane. Ci puoi raccontare degli esempi di rinascita ecosistemica,
grazie al ritorno del lupo, che hai documentato sull’Appennino?
Sul nostro territorio ho riscontrato degli atteggiamenti positivi di
piccoli e grandi ecosistemi laddove la presenza del cinghiale e del capriolo
era ormai fuori da qualsiasi tipo di tolleranza da parte dell’ambiente. In
molte zone collinari, dove c’era un’insistenza notevole di queste specie che
mettevano a rischio una buona parte di agricoltura e, anche dal punto di vista
di percezione, erano diventati animali quasi fin troppo confidenti, il ritorno
del lupo ha completamente cambiato il loro comportamento. I lupi, oltre ad aver
ridotto il numero degli ungulati, hanno instillato la paura di un predatore,
portandoli a frequentare i loro ambienti originari, ambienti più riparati, con
una conseguente diversificazione, il ritorno di altre specie e molti miglioramenti
ecologici.
Ad oggi è possibile una convivenza tra essere umano e lupo? Quale può
essere una soluzione per superare stereotipi e luoghicomuni insediati nella
stratificazione socio-culturale? Un’educazione ambientale eco-centrica?
È assolutamente possibile una convivenza uomo-lupo, ma dobbiamo capire se
siamo in grado di attuarla e metterla in atto concretamente. Noi, come umani,
siamo di fronte ad un bivio: davvero vogliamo eliminare tutto ciò che
minimamente ci mette in crisi o in difficoltà? Davvero vogliamo distruggere
tutto ciò che minimamente va a contaminare la nostra cultura e la nostra
sicurezza? Se ragioniamo così il lupo potrebbe essere uno dei tanti capitoli
che si potrebbero aprire. Paradossalmente potremmo trovare una minoranza di
pescatori che, infastidita dalle onde del mare, richiede di appiattire il mare;
o addirittura una piccola minoranza di aviatori che richiede di eliminare le
nuvole del cielo. In sostanza se dovessimo da retta a chi porta avanti i suoi
esclusivi interessi privati, mossi da economie di loro pertinenza che sono
assolutamente secondarie rispetto alla visione della comunità intera, dovremmo
stare molto attenti. Se dovessimo piegarci a queste volontà, non riusciremmo a
prendere decisioni serie in difesa degli ecosistemi e della nostra
sopravvivenza. Affidarsi a chi gestisce la paura per imbastire campagne
elettorali dei politici locali, sarebbe molto pericoloso. La convivenza con il
lupo è possibile e sono molteplici le testimonianze dei pastori veri e seri
che, dopo le prime difficoltà, hanno preso in mano la situazione, hanno
iniziato a mettere in atto una vigilanza attiva con l’aiuto delle istituzioni e
dei Parchi con risultati ottimi, azzerando attacchi dei lupi suoi loro greggi.
Occorre, come suggerisci, un’educazione eco-centrica che parte da lontano e che
non riguarda solo il lupo, ma anche gli orsi o addirittura, su un piano umano,
e tutto ciò che non riguarda la nostra cultura. Nella tradizione orale
dell’Appennino, chi vuole andare nei boschi deve portarsi appresso un pezzo di
specchio per proteggersi dal regle,
il leggendario biscione ipnotizzatore, perché l’unico modo per difendersi da
lui è riflettergli lo sguardo. Il pezzo di specchio è il simbolo della
conoscenza che di fronte alla difficoltà sa come comportarsi e non ha la
presunzione di eliminare, distruggere, annientare. Convivere con ciò che è
altro da noi e ci mette in difficoltà è uno stimolo, una sfida importantissima
che si deve portare avanti a livello culturale.
Il video che conferma la presenza dei lupi in Val Seriana, a Gandellino https://primabergamo.it/cronaca/il-video-che-conferma-la-presenza-dei-lupi-in-val-seriana-a-gandellino/
[1] Beschta R.L. e Ripple W.J., “River channel dynamics following extirpation of wolves in northwestern Yellowstone National Park, USA”
[2] Musiani M. e
Paquet P.C., “The Practices of Wolf Persecution, Protection, and Restoration in
Canada and the United States”
[3] Una cascata
trofica è un processo ecologico che avvia un cambiamento
all’apice della catena alimentare che genere un “effetto domino” su tutti i
livelli sottostanti. Questo, per esempio, è quanto accaduto nel Parco Nazionale
di Yellowstone (USA), dopo la reintroduzione del lupo nel 1995. Studi a
riguardo:
·
Beschta R.L. e Ripple W.J., “Wolves, trophic cascades,
and rivers in the Olympic National Park, USA”
·
Ripple W.J., Beschta R.L. et al., “Trophic cascades
from wolves to grizzly bears in Yellowstone”
[4] La vegetazione
ripariale è molto importante per la struttura del territorio, perché
influenza la stabilità delle sponde di fiumi e ruscelli, modera i microclimi e
la temperatura dell’acqua e, di conseguenza, il ciclo dei nutrienti e la
correlata rete alimentare per molti animali terrestri e acquatici.
[5] Come i lupi
cambiano i fiumi https://www.youtube.com/watch?v=bnN8f3Hcp9k
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