sabato 9 dicembre 2023

La paura del lupo tra antropocentrismo e populismo venatorio

 

Intervista a Mario Ferraguti (di Lorenzo Poli)

 

Gli ultimi avvistamenti di lupi sulle prealpi e alpi lombarde stanno innescando l’ennesimo allarmismo sul “pericolo lupo”, spesso innescato dai media locali e dalla lobby venatoria giocando sulla paura ancestrale della gente. In realtà il lupo è un animale completamente diverso da come viene raccontato. Sul tema ne parliamo con Mario Ferraguti, scrittore, libero pensatore, ricercatore indipendente e grande osservatore del mondo arcaico e della nostra cultura popolare tra retaggi pagani e la cristianizzazione. Laureato in lettere moderne, collabora con università, centri di studio e ricerca, settimanali e riviste. Tra le esperienze più particolari ha realizzato numerosi reportage per Panorama, cura una rubrica sulle case abbandonate per Casantica, ha tenuto corsi di etno-medicina ai medici tirocinanti sulla figura delle “guaritrici” ed è tra gli organizzatori del Piccolo Festival di Antropologia della Montagna (PFAM) di Berceto. Ha pubblicato i romanzi La voce delle case abbandonate (Ediciclo), La ballata del vento (Ediciclo), e con Giacomo Agnetti, dedicato ai ragazzi, I mostri d’aria (Ediciclo). Nel 2022 ha pubblicato L’ autunno in cui tornarono i lupi (Bottega Errante Edizioni) sul ritorno del lupo sull’Appennino; nel 2023 ha pubblicato La lepre e la luna. Sulle tracce delle guaritrici d’Appennino (Exòrma) sulla figura delle guaritrici, mentre la sua ultima fatica è L’alfabeto delle anime. Piccola incursione nell’aldilà (Ediciclo) sul tema della morte.

Saltuariamente i quotidiani locali, spesso finanziati dalla lobby venatoria, rilanciano notizie allarmistiche sulla presenza e sul bisogno del contenimento del lupo. Quanti sono i lupi in Italia? Quale è la reale situazione in Italia? 

C’è questo allarmismo che periodicamente ritorna parlando appunto di contenimento del lupo. In realtà la popolazione del lupo in Italia non è così allarmante. Dalle ultime stime si parla di circa 4.000 esemplari in tutta Italia, anche se ascoltando gli esperti la forbice è molto amplia. Ma questo non è importante: il lupo è un animale che si auto-contiene, autoregola laddove ci sono disponibilità alimentari e territori disponibili, la sua popolazione si espande. Laddove non ci sono territori disponibili, sono gli stessi lupi che fan parte di un territorio ad aggredire e scacciare ed uccidere altri individui che tentassero di entrare nel loro territorio. Il leit motiv del “ci sono troppi lupi” è un concetto anomalo ed arbitrario che noi umani tendiamo ad applicare alle prede, ma che non vale per i predatori, che si autocontrollano. Ciò che spaventa nei quotidiani locali non è tanto il ricorso all’abbattimento dei lupi. Il 7 dicembre 2023 farò un intervento in Svizzera dove lo stesso WWF si è espresso a favore di un contenimento di quattro branchi di lupi senza conoscere la situazione. Evidentemente  una posizione assurda ed inutile che viene portata avanti per attenuare polemiche e problemi sociali scaturiti dai mezzi di comunicazione che ogni tanto ritornano con l’ “allarme lupo”. Il problema allarmistico è sempre un problema forte legato al populismo e alla sua cultura che cerca di aggredire allo stomaco le persone senza farle riflettere, giocando con le paure primordiali per poi presentarsi come risolutori e gestori di quella paura stessa. Un gioco che vien comodo ad alcune forze politiche che non riescono a parlare di altro e che trovano nella gestione della paura un’arma fondamentale per raccogliere voti. Spesso purtroppo i quotidiani li seguono, un po’ perché sono legati a queste forze politiche, un po’ anche per vocazione di alcuni tipi di giornali che seguono linee politiche conservatrici se non puramente di destra.

Oltre agli allarmi mediatici, ciò che fa da cassa di risonanza, nell’inconscio collettivo, è tutto il retaggio culturale e simbolico negativo legato al lupo. Cosa significava il lupo nei racconti dei nostri nonni? 

Il lupo nel racconto dei nostri nonni – lo “zio grigio” – era una figura di cui aver paura ma che, in qualche modo, rientrava in un assetto naturale ben preciso e faceva parte di una realtà che non era anomala, che non era straordinaria e particolare. Con la perdita del “lupo fisico”, quello scientifico e reale, si è perso anche il racconto del “lupo metafisico”, quello surreale e fantastico. Se la tradizione orale faceva paura e il suo scopo era quello di spaventare è anche vero che aveva scopo di educare. Sull’Appennino – dove ho condotto i miei studi sul lupo – esistono due tipi di paure: una cattiva, che è equiparata ad una malattia, ad una situazione ingestibile che ci blocca, che non ci fa procedere e che le guaritrici “lavavano” al fine di scorporare il male che ci ha aggrediti; ed una buona e necessaria che aveva una grande funzione educativa. Tutti i racconti della tradizione orale mirano ad un estro pedagogico, occorrendo insegnare come vivere, come sopravvivere nei territori montani spesso difficili e quindi anche una “buona dose di paura” faceva parte del bagaglio culturale necessario di un individuo che apparteneva a quella società. Era giusto essere spaventati, perché la paura buona induce al rispetto, alla percezione della propria fragilità ed una cultura del senso del limite, abbandonando la tracotanza tipica di chi ha tutto sotto controllo. È un po’ la paura di Ulisse nell’Odissea che è consapevole che ci sono creature più grandi e potenti di lui, pur continuando il viaggio, trovando risposte nella sua cultura, nella sua consapevolezza, scaltrezza e conoscenza. Con un bagaglio di conoscenze adeguate la società tradizionale ti dice: “Tu devi avere paura, ma devi anche saperti difendere, devi saper gestire la tua paura in situazioni di pericolo reale”. Ora, la paura che oggi viene inculcata nel mondo contemporaneo dai giornali e dalla televisione e dagli apparati mediatici, è una paura cattiva che blocca e non insegna e non dà soluzioni. È una paura cavalcata dalle forze populiste senza renderti partecipe e protagonista della soluzione, ma piuttosto si propongono come risolutori della nostra paura e calano la loro proposta dall’alto, tenendoci in balia degli eventi. Il discorso sul lupo, e sui grandi carnivori in generale, è tipico: si sparge paura come contaminazione, come una malattia a scopi specifici con il fine di terrorizzare le persone. Questa retorica populista, messa in atto dal mondo venatorio, sostiene che il lupo è ovunque, che il lupo è un animale terribile, che il lupo non è legittimato a stare dove si trova ma piuttosto che è stato introdotto, che il lupo attuale è uno “straniero” o “extracomunitario”, un “lupo ibrido”: una visione in cui il “lupo nero” si sovrappone alla figura dell’ “uomo nero”. Di fronte a questa narrazione alcune forze politiche, come la Lega Nord in passato e la Lega attualmente, ti garantisce una soluzione affinchè l’elettore possa votare per sentirsi al sicuro. Questo è l’atteggiamento tipico che non viene messo in atto solo con i lupi ma anche con tutto ciò che mina o contamina la nostra cultura e la nostra sicurezza, la nostra arroganza e la nostra convinzione di essere gli unici autorizzati a stare in alcuni posti, a vivere in alcuni posti e a gestire ciò che abbiamo attorno. Il ritorno del lupo mette in crisi tutto questo perché è un animale ingestibile e nello stesso tempo, la paura del lupo è una paura atavica che riporta l’essere umano ad essere animale tra gli animali ed ha a che fare con il nostro senso di vulnerabilità. Questo ci insegna tantissimo e per la società tradizionale era un elemento prezioso che faceva parte del bagaglio culturale di ogni individuo, mentre la paura cattiva induce alla paralisi e alla rabbia. La gestione della rabbia e della paura suggerita da altri, esattamente come il combustibile e il comburente, porta ad un incendio che genera violenza. Se ci si spaventa a morte e ci viene detto che nessuno, nemmeno chi di dovere, si sta muovendo per aiutarci, ciò alimenta la rabbia e genera violenza. Ciò è preoccupante non solo in relazione ai lupi ma anche a tutto ciò che ci circonda e che minimamente ci mette in difficoltà.

La lobby venatoria da decenni impone la narrazione tossica del lupo come “specie invasiva” che distrugge la biodiversità. Quali sono le falsità a riguardo? Può darsi che la lobby venatoria lo utilizzi come capro espiatorio, essendo un possibile competitore naturale dei cacciatori? 

La lobby venatoria racconta un animale che non è reale, ma costruisce un animale fantastico per indurre a sentimenti che sono lontani dalla conoscenza reale. Chi cavalca il populismo venatorio ha tutto l’interesse che non si entri mai nella discussione concreta dialogica, molto probabilmente perché non riuscirebbe a reggere il confronto e non riuscirebbe a controbattere con temi adeguati. Se si confrontano un ricercatore con un politico che cerca di condizionare la paura delle persone, il ricercatore avrebbe la meglio perché risponde con profonda cognizione di causa. Le parole che utilizzano i giornali per raccontare il lupo non hanno fondamenta e non hanno uno spessore scientifico e di “buonsenso”. La lobby venatoria sta cercando di presentarci il lupo con aspetti deteriori come il “lupo ibrido”, come un lupo che non è legittimato a stare dove si trova, come una specie alloctona senza alcuna appartenenza ad un territorio, facendo passare l’idea che, esattamente come è stato introdotto, si può sradicare abbattendolo. Questo è uno dei temi cardini del populismo venatorio che spesso invade la politica. Naturalmente il lupo fa parte del nostro territorio e la sua è stata una riconquista assolutamente naturale, anche se dà molto fastidio. Il lupo è un sele-controllore che agisce in modo molto più efficace di qualsiasi cacciatore e quindi è un competitore fortissimo per la lobby venatoria. Un competitore talmente bravo che il tentativo di eliminarlo e di ucciderlo è anche dato dal fatto che non sarebbero più utili i cacciatori: il controllo che esercita il lupo è più naturale, efficacie ed importante di qualsiasi altro animale umano che presume di esercitare lo stesso controllo sull’ecosistema, sparpagliando errori.

Anche i pastori e i contadini delle zone montane e pedemontane gettano fuoco su queste narrazioni. Il problema è il lupo o è la gestione antropocentrica del territorio?

Gli allevatori e i contadini rispondono a quelle che sono le dinamiche venatorie. Io ho ricevuto lettere anonime in cui si accusa il lupo di distruggere i campi di patate. Ora, è talmente assurda questa accusa che chi distrugge i campi di patate sono i cinghiali. La lobby venatoria è riuscita ad inculcare talmente bene agli agricoltori la storia che i cacciatori sono nel giusto, a tal punto da spostare il problema su altri soggetti. Sappiamo benissimo che chi oggi si propone di liberare i nostri boschi dalla “piaga” dei cinghiali, sono gli stessi cacciatori che li hanno introdotti. Sarebbe logico che gli agricoltori se la prendessero con i cacciatori, mentre quest’ultimi sono stati talmente bravi a deviare il problema da non figurare come responsabili. Paradossalmente gli stessi agricoltori se la prendono con il lupo, quando sarebbe il loro miglior alleato perché uccide cinghiali e caprioli dannosi per le colture. Si tratta di una situazione assurda e anomala. È anche vero che il lupo non garantisce il business delle munizioni e delle armi e non inquina nemmeno con il piombo. È evidente che il problema è la gestione antropocentrica del territorio.

Ci siamo abituati ad essere l’unica specie animale a vivere il territorio. Il problema è il lupo o l’allevamento e l’addomesticazione innaturali degli animali ad uso e consumo umano?

È chiaro che si tratta di interessi. Quando non c’erano i lupi gli allevatori erano soliti a condurre i loro allevamenti senza alcun tipo di controllo. In Lunigiana le pecore erano lasciate allo stato brado dalla mattina alla sera sul Monte Gottero, fino a quando naturalmente non è arrivato il lupo che ha fatto una piccola carneficina. I lupi si sono trovati le pecore libere a totale disposizione senza nessuna protezione. Non c’erano più cani da difesa, ma solo cani da conduzione; non c’erano più le reti anti-lupo, ma solo reti che non permettevano alle pecore di uscire. I pastori avevano completamente dimenticato l’esistenza del lupo, soprattutto a livello culturale. Il lupo si era perso come soggetto, come entità e come figura abitante la Natura, a tal punto che nel dialetto dei pastori, il gaì – una sorta di esperanto antichissimo parlato solo dai pastori con termini criptici e misteriosi – la parola “lupo” era già scomparsa negli anni Sessanta, per dire quanto i pastori avessero abbandonato la prospettiva di dover ritornare in contatto con il lupo. Il lupo è scomodo, per i pastori e per gli allevatori di oggi, perché sono costretti a tornare a controllare i loro animali. Il problema è che, con l’addomesticazione, abbiamo completamente modificato molti animali, li abbiamo “portati nella domus” ed accasati. Abbiamo creato pecore che producono più lana e vacche che producono più latte; abbiamo contagiato e destrutturato razze a nostro uso e consumo con una visione antropocentrica; ma ancora peggio abbiamo annullato ed annientato in loro l’istinto di fuga. Oggi se lasciamo vacche, pecore ed animali domestici liberi in un bosco, non sarebbero in grado di riadattarsi alla vita selvatica e non avrebbero la capacità di scappare dai predatori proprio perché li abbiamo addomesticati per i nostri fini. In questo modo ne siamo diventati i custodi, ovvero coloro che si devono prendere cura di questi animali. A me sembra sempre strano sentire i pastori che, rispondendo a chi si oppone ad una eventuale mattanza di lupi, afferma: “Ma come, devo prendermi cura delle mie pecore? Ma come, devo rinchiuderle?”. La risposta dovrebbe essere: “Sì, se vuoi fare il pastore”. Esattamente come qualsiasi massaia sa bene che deve rinchiudere le sue galline la sera, altrimenti volpi e faine se le mangiano, un pastore dovrebbe fare altrettanto. I pastori oggi devono recuperare, attingendo dalla loro cultura, tutte quelle attenzioni che una volta mettevano in pratica in presenza del lupo. Se ritornano i lupi non bisogna dichiarargli guerra, non bisogna pensare come ammazzarli, ma piuttosto partire dai presupposti che in quel territorio ci sono anche loro. Ci sono esperienze contemporanee di pastori che intendono convivere con il lupo e possono benissimo farlo, con i dovuti stratagemmi. Con il ritorno del lupo si sono creati nuovi problemi, che sono problemi solo per chi gestisce un’attività economica: ogni imprenditore sa che, nella valutazione dei rischi che ogni pastore e allevatore deve mettere in atto, ci deve essere anche la voce “lupo”. Ovviamente questo ci deve far pensare che non siamo più i padroni, gli unici controllori e gestori di una parte del sistema ecologico. Dobbiamo pensare ad una convivenza pacifica con i lupi, ritornare ad una visione eco-centrica, tornando consapevoli che non siamo l’unica specie vivente delle montagne.

Oltre ai falsi miti sul lupo, in moltissime zone è stato riscontrato il contrario: laddove è ritornato, il territorio si è ripopolato di flora e fauna locali…

Nei territori in cui è tornato, il lupo è stato preziosissimo. C’è il bellissimo documentario “Come i lupi possono cambiare il corso dei fiumi” sul Parco di Yellowstone[1] – unico parco al mondo dove è stato davvero prevista ed attuata l’introduzione del lupo – dove si è documentato[2] come il suo ritorno abbia favorito il ripristino delle cascate trofiche[3] in un ecosistema che era ormai degenerato per l’insistenza e il sovrannumero di ungulati che, non avendo nessun nemico naturale, si erano riprodotti in modo sconsiderato. Ciò portò alla perdita a lungo termine della vegetazione ripariale[4], favorendo l’erosione delle rive, la formazione di meandri e l’allargamento dei letti dei fiumi, soprattutto nelle zone di pianura. Con il tempo tutto questo portò inevitabilmente alla modifica della geografia dei corsi d’acqua. Quando nel 1995 il lupo grigio venne introdotto, portò a piccoli miracoli naturali. In breve tempo i lupi tornarono a cacciare i cervi. Questi ultimi, abituati a pascolare senza timore cominciarono ad allontanarsi per trovare rifugi migliori tra gli alberi nel bosco. Dall’impoverimento della fauna e della flora fluviale, la vegetazione ripariale ricominciò a crescere e, con essa, aumentò il numero di castori, lontre, alcuni uccelli di fiume passeriformi e animali che vivono lungo le sponde dei corsi d’acqua. La morfologia dei corsi d’acqua cambiò nuovamente: fiumi e ruscelli ripresero gradualmente a scorrere meno, le loro rive si stabilizzarono e i canali, non più soggetti a erosione continua, si strinsero. Uno stravolgimento completo in termini assolutamente positivi grazie al ritorno del lupo[5].

Nel tuo libro “L’autunno in cui tornarono i lupi”, racconti anche esperienze italiane. Ci puoi raccontare degli esempi di rinascita ecosistemica, grazie al ritorno del lupo, che hai documentato sull’Appennino?

Sul nostro territorio ho riscontrato degli atteggiamenti positivi di piccoli e grandi ecosistemi laddove la presenza del cinghiale e del capriolo era ormai fuori da qualsiasi tipo di tolleranza da parte dell’ambiente. In molte zone collinari, dove c’era un’insistenza notevole di queste specie che mettevano a rischio una buona parte di agricoltura e, anche dal punto di vista di percezione, erano diventati animali quasi fin troppo confidenti, il ritorno del lupo ha completamente cambiato il loro comportamento. I lupi, oltre ad aver ridotto il numero degli ungulati, hanno instillato la paura di un predatore, portandoli a frequentare i loro ambienti originari, ambienti più riparati, con una conseguente diversificazione, il ritorno di altre specie e molti miglioramenti ecologici.

Ad oggi è possibile una convivenza tra essere umano e lupo? Quale può essere una soluzione per superare stereotipi e luoghicomuni insediati nella stratificazione socio-culturale? Un’educazione ambientale eco-centrica?

È assolutamente possibile una convivenza uomo-lupo, ma dobbiamo capire se siamo in grado di attuarla e metterla in atto concretamente. Noi, come umani, siamo di fronte ad un bivio: davvero vogliamo eliminare tutto ciò che minimamente ci mette in crisi o in difficoltà? Davvero vogliamo distruggere tutto ciò che minimamente va a contaminare la nostra cultura e la nostra sicurezza? Se ragioniamo così il lupo potrebbe essere uno dei tanti capitoli che si potrebbero aprire. Paradossalmente potremmo trovare una minoranza di pescatori che, infastidita dalle onde del mare, richiede di appiattire il mare; o addirittura una piccola minoranza di aviatori che richiede di eliminare le nuvole del cielo. In sostanza se dovessimo da retta a chi porta avanti i suoi esclusivi interessi privati, mossi da economie di loro pertinenza che sono assolutamente secondarie rispetto alla visione della comunità intera, dovremmo stare molto attenti. Se dovessimo piegarci a queste volontà, non riusciremmo a prendere decisioni serie in difesa degli ecosistemi e della nostra sopravvivenza. Affidarsi a chi gestisce la paura per imbastire campagne elettorali dei politici locali, sarebbe molto pericoloso. La convivenza con il lupo è possibile e sono molteplici le testimonianze dei pastori veri e seri che, dopo le prime difficoltà, hanno preso in mano la situazione, hanno iniziato a mettere in atto una vigilanza attiva con l’aiuto delle istituzioni e dei Parchi con risultati ottimi, azzerando attacchi dei lupi suoi loro greggi. Occorre, come suggerisci, un’educazione eco-centrica che parte da lontano e che non riguarda solo il lupo, ma anche gli orsi o addirittura, su un piano umano, e tutto ciò che non riguarda la nostra cultura. Nella tradizione orale dell’Appennino, chi vuole andare nei boschi deve portarsi appresso un pezzo di specchio per proteggersi dal regle, il leggendario biscione ipnotizzatore, perché l’unico modo per difendersi da lui è riflettergli lo sguardo. Il pezzo di specchio è il simbolo della conoscenza che di fronte alla difficoltà sa come comportarsi e non ha la presunzione di eliminare, distruggere, annientare. Convivere con ciò che è altro da noi e ci mette in difficoltà è uno stimolo, una sfida importantissima che si deve portare avanti a livello culturale.

Il video che conferma la presenza dei lupi in Val Seriana, a Gandellino                      https://primabergamo.it/cronaca/il-video-che-conferma-la-presenza-dei-lupi-in-val-seriana-a-gandellino/

[1] Beschta R.L. e Ripple W.J., “River channel dynamics following extirpation of wolves in northwestern Yellowstone National Park, USA”

[2] Musiani M. e Paquet P.C., “The Practices of Wolf Persecution, Protection, and Restoration in Canada and the United States”

[3] Una cascata trofica è un processo ecologico che avvia un cambiamento all’apice della catena alimentare che genere un “effetto domino” su tutti i livelli sottostanti. Questo, per esempio, è quanto accaduto nel Parco Nazionale di Yellowstone (USA), dopo la reintroduzione del lupo nel 1995. Studi a riguardo:

·         Beschta R.L. e Ripple W.J., “Wolves, trophic cascades, and rivers in the Olympic National Park, USA”

·         Ripple W.J., Beschta R.L. et al., “Trophic cascades from wolves to grizzly bears in Yellowstone”

[4] La vegetazione ripariale è molto importante per la struttura del territorio, perché influenza la stabilità delle sponde di fiumi e ruscelli, modera i microclimi e la temperatura dell’acqua e, di conseguenza, il ciclo dei nutrienti e la correlata rete alimentare per molti animali terrestri e acquatici.

[5] Come i lupi cambiano i fiumi https://www.youtube.com/watch?v=bnN8f3Hcp9k

da qui

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