venerdì 22 dicembre 2023

Musei, una questione privata - Lorenzo Bagnoli, Lorenzo Buonarosa

 

Da anni gli ingressi sono gestiti da società private. Le rivendite non autorizzate e la gestione delle concessioni spingono per soluzioni diverse. Il Pnrr ha messo sul piatto milioni per una nuova piattaforma. I dubbi però restano su cosa potrà davvero migliorare

A Roma, ogni mattina, in qualsiasi stagione, centinaia di turisti fanno la fila per comprare un biglietto per il Parco Archeologico del Colosseo. Il rituale, dopo la parentesi della pandemia, ha ripreso a maggio 2023, quando ha riaperto anche la biglietteria fisica. Trovare un titolo d’ingresso è quasi impossibile: anche le prevendite online si esauriscono già un mese prima della data prevista per la visita. A comprare gran parte dei tagliandi sono speculatori che li rivendono a prezzi maggiorati. Ci sono i classici bagarini, ma persino piattaforme online che sparano prezzi alle stelle almeno da novembre 2022, aggiungendo al singolo biglietto altri servizi “imposti”: dall’audioguida al “saltafila”, dal prelievo in albergo fino al giro turistico della città. La discrepanza dai prezzi nominali è enorme: dai 16 euro più due di prevendita, previsti per l’ingresso, si passa ai 68 euro per una visita guidata esposti da una delle piattaforme il 28 aprile 2023.

Dalla metà del 2022 in alcuni siti archeologici, Colosseo compreso, sono stati introdotti dei biglietti nominali, ma per ora la soluzione non è sufficiente, secondo quanto denuncia l’Associazione guide turistiche abilitate (Agta): «I biglietti nominativi da soli non potranno risolvere la situazione, perché il problema vero è che la domanda supera l’offerta», scrive l’associazione in una nota del 18 ottobre.

Con l’arrivo dei 4,28 miliardi destinati alla cultura all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), i governi prima Draghi e poi Meloni vorrebbero mettere un freno a ogni forma di bagarinaggio attraverso 32 milioni di euro previsti per la digitalizzazione della cultura da investire in un progetto che comprende una piattaforma per semplificare l’acquisto e la prenotazione dei biglietti per i visitatori. Il problema però è che oltre agli abusivi c’è un sistema di gestione delle attività museali, che ormai da trent’anni ha costituito un oligopolio.

Con la legge del 1993 firmata da Alberto Ronchey, all’epoca ministro della Cultura, sono stati infatti affidati a enti gestori privati i servizi aggiuntivi dei musei, inclusa la vendita dei biglietti. Società che adesso difficilmente si faranno da parte. Di questo gruppo di società si parla già in una relazione del 2005 della Corte dei Conti, relativa alla «gestione sui servizi d’assistenza culturale e d’ospitalità per il pubblico negli istituti e luoghi di cultura dello Stato»: «Solo otto società concessionarie gestiscono oltre il 90% dei servizi nei musei, delle quali una soltanto è presente in ben 24, con ricavi che si avvicinano al 24% degli introiti totali», si legge nella relazione.

LE SOCIETÀ CHE GESTISCONO I MUSEI ITALIANI

Nel 2013 e nel 2014 la Corte dei Conti si è espressa per segnalare proprio l’aumento del costo dei biglietti del Colosseo, con la ripartizione degli introiti tra pubblico e privato completamente sbilanciata verso quest’ultimo: 30,2% al primo e 69,8% al secondo. Nel 2014 la Corte ha segnalato le irregolarità di ripartizioni in alcune mostre organizzate alla Galleria D’arte Moderna di Roma e a Villa Adriana. I magistrati contabili hanno sottolineato che «non sono rispettati i tetti percentuali di ripartizione tra amministrazione e società concessionarie dei servizi di biglietteria delle entrate rivenienti dalla vendita dei biglietti»…

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