Ne sono rimaste poche e quelle ancora in attività faticano a trovare la propria identità nello spazio che occupano. Garantirne l’esistenza significa ripensare il mercato editoriale e ragionare in termini di prossimità, attribuendo una rinnovata rilevanza ai quartieri.
Mi sono sempre chiesto perché, in tutti questi anni,
ci siano state così poche idee indirizzate a rivoluzionare o almeno a dare un
futuro a quei chioschi (roventi d’estate, gelidi d’inverno) chiamati edicole.
Quando facevo il direttore di riviste, un tentativo di pensare a cosa sarebbero
diventate le edicole, una volta che la crisi della carta stampata avrebbe
strangolato la distribuzione dei giornali, l’avevo innescato. Ricordo ancora un
editoriale d’apertura di Rolling Stone Italia, scritto forse nel
2011, in cui segnalavo il progetto di una società svedese che proponeva di
trasformare le edicole degli aeroporti in distributori automatici on demand, in
grado cioè di stampare sul momento il giornale scelto dal cliente: niente più
catena distributiva, ma un semplice invio di file digitali da parte
dell’editore a un sistema automatizzato che avrebbe “sputato” la copia stampata,
al momento e nelle mani del lettore. Niente più tirature, niente più
distribuzione.
Quell’editoriale ricordo che provocò la reazione del
rappresentante italiano degli edicolanti, che mi scrisse una lettera di fuoco
(ma devo dire anche cordiale) per accusarmi di essere un sabotatore degli
edicolanti: in pratica stavo – seppur involontariamente – alimentando con idee
nuove la crisi di un mestiere antico. È sempre così: la tecnologia semina il
panico, e viene accusata di mangiarsi i posti di lavoro – basta guardare cosa
sta accadendo oggi con le polemiche su ChatGPT e sull’Intelligenza Artificiale.
Il problema, però, non è la tecnologia in sé, ma l’evoluzione della società
e dei costumi, che chi si occupa di tecnologia cerca di cavalcare e alla quale
vuole anche dare risposte.
Allora ne nacque un acceso scambio epistolare, dove la
controparte “edicolanti” muoveva critiche legittime: «Voi giornalisti, ma
soprattutto i vostri editori, non venite mai a parlare con noi, che
rappresentiamo la parte finale della vostra filiera e siamo gli unici davvero a
contatto con i vostri lettori: conosciamo tutti i loro gusti, conosciamo le
lamentele, sappiamo cosa vogliono. Eppure, con noi, nessuno parla». Avevano
ragione. Come sono andate le cose lo sappiamo: i grandi editori hanno fatto
un’immensa fatica a capire e ad adattarsi ai cambiamenti, il modello di
business tradizionale non ha retto e ora – nel mondo della carta stampata –
quelli che erano i titoli più autorevoli faticano molto e le uniche cose
davvero interessanti e vivaci – perché fatte con passione e cuore – sono i
prodotti della stampa indipendente.
Se guardiamo agli Stati Uniti, il mercato delle
riviste di carta è florido per quelle indipendenti (che hanno strutture
leggere, nate oggi) e drammatico per gli editori tradizionali, i vecchi
dinosauri. Il problema distributivo resta: se la stampa indipendente vive di un
circuito proprio – che non sfrutta il sistema delle edicole – tutto il resto
della stampa tradizionale boccheggia da anni. L’emorragia di edicole sul
territorio italiano è evidente: a leggere i dati, si apprende che il 25 per
cento dei Comuni italiani non ha più un’edicola in attività. Oltre a questo,
un altro 30 per cento (l’equivalente di circa 2500 Comuni) possiede una sola
edicola aperta.
In base alla ricerca condotta dal Sindacato Nazionale
Autonomi Giornalai, aderente alla Confcommercio, in Italia a oggi ci sono poco
meno di dodici mila edicole in attività (il numero esatto – al momento della
ricerca – dice che erano 11.904), con ben 844 punti vendita chiusi nel 2021.
Solo a Roma, sono ben 54 le edicole che hanno cessato l’attività nello stesso
anno, ma il numero sale a 77 se si considera l’intera provincia. Un dato
interessante è questo: circa il 40 per cento delle edicole sono imprese
femminili. Per fortuna non ci sono solo chiusure: tra subentri e nuove imprese,
il numero delle aperture è di circa 500: più di un quarto di queste, hanno
come titolare un under 40.
E qui arriviamo alla mia esperienza personale:
nonostante siamo ben oltre i quaranta anni di età, con quattro amici (Martina,
Alioscia, Paolo e Alessandro) ho deciso di comprare un’edicola. Non è proprio
un acquisto: tecnicamente si tratta di rilevare una licenza da edicolante,
perché il suolo sul quale poggia l’edicola non si può comprare, essendo del
Comune di Milano, che lo dà in concessione. Il tema è simile a quello delle
spiagge – con tutti i problemi e le polemiche legate alla direttiva Bolkestein
relativa ai servizi nel mercato europeo – ma in sostanza la cosa più
importante è che un’edicola non può cambiare destinazione d’uso, e quindi
deve continuare con la sua attività di vendita giornali e non può essere
trasformata in qualche cosa d’altro, tipo baretto, chiringuito o altro.
Ampliando la licenza si possono vendere anche altri beni di consumo, ma non si
può fare mescita: per intendersi, si può vendere un succo di frutta chiuso,
sigillato, ma non lo si può servire in un bicchiere. Per capirci, non si può
fare concorrenza ai bar.
Quando abbiamo visto che l’edicola del nostro
quartiere (a Milano, Lambrate, in via Conte Rosso) aveva definitivamente tirato
giù le saracinesche cessando l’attività, abbiamo deciso di intervenire
rilevandola. Quindi non per trasformare il chiosco in un negozietto di souvenir
o in un chiringuito, ma semplicemente per cercare di salvare e ridare slancio
al ruolo sociale dell’edicola all’interno della nostra comunità: per
immaginare sul campo, soprattutto, cosa possono diventare le edicole oggi. Ci
siamo subito infatti accorti di quanto l’edicola di via Conte Rosso mancasse a
tanti residenti: agli anziani – che, non utilizzando i supporti digitali, con
la chiusura non potevano più leggere un quotidiano – ma anche ai bambini, che
in quell’edicola compravano riviste per l’infanzia, i libri e qualche
giocattolo. Da sempre le edicole hanno un ruolo importante come punto
d’incontro dei quartieri, ma anche come punto d’ascolto. Noi siamo infatti
partiti dal concetto di lettura, non solo della carta stampata, ma anche del
territorio. L’edicola della quale oggi siamo proprietari è una bella struttura
longilinea, adagiata sulle mattonelle rosa che delimitano l’angolo tra viale
delle Rimembranze di Lambrate e via Conte Rosso. Quando abbiamo notato il
cartello «Vendesi», era da tempo che stavamo cercando un progetto da sviluppare
insieme, qualcosa che ci permettesse di essere utili al quartiere, e che
potesse darci la possibilità anche di divertirci.
Nelle prime riunioni, a casa di Alioscia, frontman dei
Casino Royale e gestore di Elita Bar in zona Navigli, eravamo davvero a zero:
abbiamo cercato di capire quale potesse essere la via giusta, trovando un
equilibrio tra l’attività di vendita di riviste e giornali e un’attività
culturale di più ampio respiro. Abbiamo studiato, incontrato i responsabili
del Comune di Milano che ci hanno spiegato. Il nostro obiettivo era,
soprattutto, l’evitare che quel chiosco diventasse «un residuato del passato,
come una sorta di cabina telefonica nell’epoca dei cellulari» (la frase è di
Andrea Innocenti, del Sindacato dei Giornalai). Adesso non ci resta che
partire.
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