La Commissione Europea ha inviato una lettera di “costituzione in mora” all’Italia in merito alla mancata messa a “gara europea” delle concessioni balneari. Il suo obiettivo è fornire a tutti i “prestatori di servizi” europei, attuali e futuri, “la possibilità di competere per l’accesso” a questa nostra importante risorsa economica, costituita dalla “gestione” delle “spiagge”. Benché questo atteggiamento, di pura matrice neoliberista, che aiuta i ricchi a carico dei poveri, sia stata ribadita anche da una sentenza della Corte di giustizia europea (cause riunite C-458/14 e C-67/15), è agevole controbattere che essa è in palese contrasto con gli intoccabili “principi e diritti fondamentali” sanciti nella nostra Costituzione, i quali, come costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale cosiddetta dei “contro limiti”, “prevalgono” sul diritto europeo.
Sorprendente è peraltro l’atteggiamento che su questo argomento sembra abbiano
assunto la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e il Ministro delle
infrastrutture Matteo Salvini, i quali, secondo notizie di stampa, vorrebbero
risolvere il problema posto dalla Commissione Europea, lasciando in vita le
“concessioni” già in atto e ponendo “a gara europea”, soltanto quelle poche
“spiagge libere”, che sono rimaste a disposizione degli italiani. Una
inaccettabile scelta che, mantenendo fede agli ignobili principi neoliberisti,
che avvantaggiano i ricchi e danneggiano i poveri, toglierebbe ai cittadini
meno abbienti, che non sono in grado di pagare gli esosi prezzi imposti dai
“concessionari”, l’uso comune e diretto delle “spiagge libere”.
La verità è che, sia alla Commissione europea, sia ai nominati esponenti del
nostro governo, è sfuggito un fatto estremamente importante: la circostanza
che, con il passaggio, sancito in Costituzione, dallo Stato persona, soggetto
singolo e astratto, allo Stato comunità, soggetto plurimo e concreto, anche il
concetto di “appartenenza” ha cambiato il suo schema di riferimento, che non
può essere più quello della “proprietà privata” (che può essere compressa, ad
esempio, dalla costituzione di un usufrutto), ma la “proprietà pubblica”,
da considerare, come subito notò il Giannini all’indomani dell’avvento della
Costituzione, “una proprietà collettiva demaniale”, come tale non “svuotabile
del suo contenuto” e cioè della “gestione” e dei conseguenti “profitti” che
questa produce, poiché quello che è di tutti non può, evidentemente, essere
dato a un singolo soggetto.
E non è chi non veda come, in questo nuovo assetto costituzionale, l’istituto
della “concessione” dei beni demaniali, non ha più cittadinanza giuridica,
poiché, come appena accennato, la sua attuazione comporterebbe una
“compressione” della “proprietà pubblica demaniale” del Popolo, una
compressione che è esplicitamente vietata dall’ articolo 42 della Costituzione,
che, nel sancire che “la proprietà è pubblica o privata”, chiaramente si
riferisce a una proprietà pubblica “piena”, nonché dal successivo articolo 43
Cost., secondo il quale “i servizi pubblici essenziali (tra i quali rientrano i
servizi balneari), le fonti di energia e le situazioni di monopolio” devono
essere in mano pubblica o di comunità di lavoratori o di utenti.
In altri termini, nell’attuale assetto costituzionale, i beni demaniali devono
restare (con i loro cospicui guadagni) nell’ambito della “pubblica
Amministrazione”, che è da ritenere l’”organo” del quale si serve lo Stato
comunità, per il perseguimento dei suoi fini , tra i quali primeggia quello
della “eguaglianza economica e sociale”, come solennemente prescrive il
secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione.
Dunque, si potrà parlare di contratti di appalto per la prestazione dei singoli
servizi, come quelli di ristorazione, di uso di sedie a sdraio o di spogliatoi,
per realizzare le cosiddette “spiagge attrezzate”, ma non si potrà di certo
costituire un pressoché gratuito “diritto di impresa” ai “concessionari dei
servizi balneari”.
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