A metà ottobre scorso, il Parlamento ha approvato in via definitiva il
“decreto aria” con il quale il Governo ha tolto le castagne dal fuoco alla
Regione Piemonte sul pasticcio del blocco dei veicoli diesel euro 5,
rinviandolo alla fine del 2024 e dando un anno alle Regioni del bacino padano
per rivedere i propri piani di qualità dell’aria. Nel corso della discussione,
il deputato di Azione Enrico Costa ha presentato una proposta di mozione,
approvata con il solo voto contrario del Movimento 5 stelle e di Alleanza Verdi
Sinistra, e con l’astensione del PD. La mozione prende spunto dal processo che
si aprirà a breve a Torino, e che vede imputati gli ex sindaci Fassino e
Appendino, l’ex presidente regionale Chiamparino e i rispettivi assessori
all’ambiente, accusati del reato di inquinamento ambientale colposo per non
aver preso misure sufficienti per il rispetto della normativa sulla qualità
dell’aria. Secondo Costa, la magistratura «si propone di valutare l’adeguatezza
e l’efficacia di scelte adottate dagli amministratori locali nella loro piena e
legittima discrezionalità politica e di far discendere da tale valutazione
conseguenze penali, in spregio al principio della separazione dei poteri». La
tesi di Costa e della maggioranza del Parlamento, è che esisterebbe una sorta
di insindacabilità dell’azione amministrativa, la cui discrezionalità diventa
“piena e legittima” probabilmente grazie alla “sacralità” del voto popolare.
L’inchiesta richiamata e la denuncia di una coppia di genitori di un
bambino affetto da gravi patologie legate all’inquinamento atmosferico (https://volerelaluna.it/ambiente/2022/11/29/il-diritto-allaria-pulita-approda-in-tribunale/) sono tentativi di
accertare le responsabilità penali e civili degli amministratori in materia di
tutela della salute dei cittadini dagli effetti dell’inquinamento. Si tratta di
due casi pilota, che si inseriscono nel solco della cosiddetta strategic
litigation, una pratica che si sta diffondendo ampiamente anche nel
campo della tutela del clima, con centinaia di cause avviate in ogni parte del
mondo, compresa l’Italia, e ad ogni livello di governo e di giurisdizione.
Per capire la fondatezza delle preoccupazioni di chi si batte anche in sede
legale per la qualità dell’aria, è utile ricordare che l’Italia è il Paese
europeo con il maggior numero di vittime dell’inquinamento atmosferico, oltre
53.000 all’anno su un totale di circa 300.000, principalmente localizzate nelle
aree urbane della pianura padana. È una situazione che allarma in modo
crescente anche i medici, al punto che, nella primavera scorsa, le associazioni
dei pediatri italiani hanno fatto appello ai sindaci per introdurre misure per
tutelare i bambini dai rischi di sviluppare patologie croniche legate
all’inquinamento nei loro primi mille giorni di vita.
La situazione della pianura padana ha alcune ragioni oggettive. Qui vivono
oltre 23 milioni di persone e viene prodotto il 50% del PIL nazionale, e la
pianura è circondata da tre lati da montagne che limitano la circolazione
dell’aria e creano le condizioni perché l’inquinamento si accumuli. A queste
ragioni però si somma la cronica inerzia della politica nell’affrontare le due
principali cause dell’inquinamento atmosferico: da un lato il traffico e
dall’altro l’agricoltura e l’allevamento intensivi. I 23 milioni di abitanti,
infatti, usano circa 17 milioni di veicoli a motore, e convivono con 3,7
milioni di mucche, 7,4 milioni di maiali e oltre 100 milioni di polli e
tacchini, che consumano la gran parte del mais che viene prodotto nelle regioni
del nord con grande uso di acqua e fertilizzanti. Tutto questo genera un carico
di emissioni che ha pochi eguali in Europa e che andrebbe fortemente ridotto
con interventi strutturali: da un lato una riduzione del numero di auto
private, delle quali l’Italia ha il più alto numero pro-capite in Europa, e
dall’altro una regolamentazione più efficace degli allevamenti e una riduzione
del loro numero.
Fin dal 2017 le Regioni del bacino padano hanno siglato accordi tra loro e
con il Ministero dell’Ambiente per ridurre le emissioni, accordi però ai quali
hanno fatto seguito ben poche azioni incisive nei due settori chiave. L’inerzia
della politica italiana nell’affrontare questi problemi è già stata ampiamente
sanzionata dalla Corte di Giustizia Europea, che ha condannato l’Italia tre
volte per il superamento dei limiti fissati dalla direttiva europea sulla
qualità dell’aria, mentre una quarta causa è ancora aperta. È forse questa
inerzia che Costa e la maggioranza del Parlamento difendono come
“discrezionalità piena e legittima”? Quella che porta da oltre vent’anni
milioni di cittadini ad essere esposti a livelli pericolosi di inquinamento?
Quella che ne porta decine di migliaia ogni anno alla morte prematura, o a
ricorrere a cure mediche e ricoveri? Quella che porta un intero Paese a
rischiare di pagare miliardi di euro di sanzioni per la violazione delle
direttive europee?
Nel suo ordine del giorno, Costa chiede al Governo di mettere al riparo gli
amministratori da responsabilità penali per inquinamento atmosferico e
cambiamento climatico «non direttamente prevedibili ed evitabili». Con
quest’ultima ingenua qualificazione in realtà Costa svuota di senso il suo
atto, perché le conseguenze dell’inquinamento atmosferico e del cambiamento
climatico sono direttamente prevedibili ed evitabili. Sono prevedibili al punto
che il numero di morti causati dall’inquinamento atmosferico è riportato nei
piani di qualità dell’aria regionali, e le conseguenze del cambiamento
climatico sono descritte chiaramente in rapporti ufficiali del Governo. Per
capire, poi, quanto siano evitabili basta guardare a quanto ha fatto l’Unione
europea per migliorare i carburanti e i motori, contro potentissime lobby
industriali, e cosa viene fatto dai sindaci di città come Londra e Parigi
spesso contro l’opinione di tanti loro cittadini. La “discrezionalità piena e
legittima” degli amministratori italiani sembra quindi consistere nel girarsi dall’altra
parte di fronte a problemi scomodi, nell’ignorare i fatti e la scienza e nel
dimenticarsi che il sindaco è prima di tutto responsabile della salute e della
sicurezza dei cittadini e a questo obiettivo dovrebbe orientare le sue priorità
e dedicare le sue energie.
Spiace poi che di altrettanto garantismo la maggioranza del Parlamento non
faccia sfoggio quando a subire il peso della legge sono i giovani che
protestano per il clima, avendo dalla loro parte sia la scienza che la
consapevolezza di subire una colossale ingiustizia. Così bendare una statua può
costare una denuncia per “deturpamento di bene culturale” con il rischio di una
pena fino a cinque anni, arrampicarsi su un palo per mettere delle bandiere una
denuncia per “violenza privata”, appendere uno striscione all’Altare della
Patria una per “vilipendio alle tombe”, senza contare le decine di sanzioni
amministrative e fogli di via obbligatori comminati durante atti dimostrativi
non violenti e le minacce di inasprimento delle pene. Due pesi e due misure
decisamente inaccettabili.
Nessun commento:
Posta un commento