La lotta per
la dismissione dei poligoni militari in terra sarda, che da decenni
caratterizza le attività dei movimenti antimilitaristi, disarmisti e
ambientalisti presenti sul territorio, si svolge sempre di più anche nelle aule
di giustizia. Aule penali, come quella del tribunale di Cagliari, dove il
giudice Giuseppe Pintori ha in carico il processo che vede imputati i vertici
militari dello Stato, nientemeno che per disastro ambientale, causato dalle
ricorrenti e perduranti esercitazioni a fuoco nel poligono di Capo Teulada.
Aule amministrative, come quella del TAR Sardegna, dove il prossimo 8 novembre
verrà discusso il ricorso sull’illegittimità del decreto del Ministero della
difesa che autorizza le esercitazioni belliche, nonostante la totale assenza di
una valutazione di impatto ambientale.
Il ricorso,
presentato materialmente dall’avvocato Carlo Augusto Melis Costa, per conto
dell’associazione ambientalista Gruppo d’Iniziativa Giuridica, è stato
fortemente voluto dall’organizzazione assembleare di “A FORAS”, attiva
nell’ultimo decennio, assieme ad altri gruppi e movimenti contrari alle basi di
guerra sull’isola. A Foras, in un suo comunicato ci informa che “l’avvocato ha
ritenuto fondate le nostre motivazioni e ha scritto un ricorso che è stato
depositato al TAR di Cagliari, con richiesta di sospensiva immediata delle
attività addestrative (ricorso n. 692/2023). Il ricorso è stato firmato dal
Gruppo di Intervento Giuridico, per ragioni di legittimità”.
All’interno
dei territori concessi alle installazioni militari, nonché nei territori
immediatamente adiacenti, sono situate diverse zone SIC (Siti di Importanza
Comunitaria) che per legge dovrebbero essere salvaguardati da qualunque forma
di inquinamento. Ad esempio l’Isola Rossa a Capo Teulada (riserva dell’avifauna)
o la spiaggia di Murtas, nel poligono di Quirra, solo per citarne alcune. La
tutela di questi siti è compatibile con le esplosioni che rilasciano torio,
cesio, uranio impoverito, sostanze altamente inquinanti e cancerogene?
L’impressione
è che il mondo militare e quello delle armi siano protetti non solo dai
reticolati, ma anche da un muro invisibile che li rende in qualche modo
ingiudicabili. Come se le leggi della Repubblica non valessero anche per loro,
casta privilegiata, al di fuori del popolo. Dietro il mito della difesa della
patria prosperano gli intricati legami fra generali ed amministratori delegati
delle industrie di armamenti, in rapidi giri di poltrone.
Ne è riprova
la decisione del ministro Crosetto di festeggiare il 4 novembre la “festa delle
forze armate” in Sardegna. Forse gli farà da spalla il presidente della
repubblica Mattarella. Il tutto solo quattro giorni prima dell’udienza del TAR
che dovrà pronunciarsi sulla legittimità o meno delle esercitazioni. Indebita
influenza? Abuso di potere?
“Storie
d’ordinaria follia”, direbbe Charles Bukowsky. Se non fosse che in questo
conflitto tra istituzioni e cittadini sono questi ultimi a soffrirne le
conseguenze. Perché la distruzione sistematica dell’ambiente naturale (vedi
Penisola Delta a Capo Teulada, giudicata “non bonificabile” dagli stessi
militari) incide inevitabilmente sulla salute di tutti gli esseri viventi. Ma
di questo chi si occupa di preparare la guerra e la morte, certo non può
curarsi.
Il compito
della cura del territorio, della salute, del benessere collettivo, in assenza
spesso delle istituzioni delegate, spetta ai cittadini attivi, ai movimenti,
alla società civile. Diventa inutile parlare ancora di pace, senza venire qui a
capire cosa significhi la devastazione del preparare la guerra. Ma non so se il
ministro Crosetto abbia i lineamenti ideali per capirlo.
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