La sofferenza dei poveri e la
transizione di Niamey
Niamey, settembre 2023. L’apparenza inganna, lo sappiamo. La vita sembra
scorrere come sempre e, almeno in città, c’è l’abitudine di vivere grazie a un
antico mestiere imparato fin da bambini. Si tratta dell’arte sottile della
quotidiana sopravvivenza nella quale dal niente si tira fuori tutto quanto
basta per arrivare al giorno dopo. Dal 26 luglio fino a oggi, la prima decade
di settembre, è in vigore una non annunciata e ben definita transizione di
regime. Le sanzioni economiche e sociale approvate e applicate in fretta da un
parte dei Paesi confinanti il Niger, specie quelli avendo lo sbocco sul mare,
aggiungono sofferenze al già temibile quotidiano della povera gente. ‘Siamo
nella sofferenza’, diceva un artigiano il cui lavoro si è di colpo interrotto
da un mese a causa della situazione creatasi a seguito del golpe militare
citato. ‘Mancano i soldi per i condimenti’, aggiunge e allora si sparisce fino
a sera per non vedere i figli e i nipoti soffrire la fame.
‘Fino a quando’, chiede lo stesso artigiano che, prima di congedarsi,
chiede che anche nelle chiese si preghi perché le cose ‘si rimettano a posto’
quanto prima. C’è infatti qualcosa di straordinario che sta accadendo nel Paese
e che, a guardarlo da vicino, desta ammirazione e stupore. Si tratta della
quotidiana resistenza dei ‘piccoli’ che, soprattutto in silenzio, realizzano
un’autentica rivoluzione sociale. Stanno pagando un prezzo molto alto al
cambiamento impresso alla storia del Niger tramite il golpe, in parte inatteso,
di fine luglio. Soffrire in silenzio in genere non fa notizia eppure è questo
uno dei pilastri su cui si regge l’attuale transizione politica. Un silenzio
che dovrebbe interpellare chi ha assunto per scelta o per necessità di
instaurare un regime di eccezione nel Paese e attorno a esso. Non è accettabile
che, senza alcuna remora, si penalizzi un popolo, anzi ‘il popolo’ e cioè i piccoli
e fragili di sempre, i poveri e i giovani in particolare.
Nessuno dovrebbe osare confiscare il loro futuro perché, intessuto com’è di
sogni, speranze e ideali è qualcosa di sacro, Non rubare il verbo vivere
coniugato al futuro con dignità è ciò che dovrebbe costituire la ragione
d’essere di ogni autentica politica. Da questo frutto si riconosce l’albero che
ha scelto di piantare la transizione nel Paese. Non accada mai più che la
sofferenza dei poveri sia resa vana e le nascoste utopie germogliate in questi
anni assenti siano svendute al miglior truffatore di sogni. Ecco perché il
silenzio nascosto si trasforma in un grido rivolto a chi ha il coraggio e
l’incoscienza di accoglierlo. Nella complicità di coloro che non hanno voce si
tratta di dare una risposta accorata alla sofferenza , a livello locale e
internazionale. Sarà questo il nome da dare alla transizione che dovrà sfociare
nella Conferenza Nazionale aperta a tutti per dare un volto nuovo alla
politica. Assumere la sofferenza dei poveri perché trasformi il linguaggio
politico del Paese sarà la base della nuova Costituzione della Repubblica,
fondata sul silenzio.
* * * *
Il golpe migrante di Niamey
Niamey, 17 settembre 2023. C’è stata una migrazione geografica che solo il
Sahel, l’altra riva secondo l’etimologia del termine, ha saputo annotare sulla
polvere dal 26 luglio scorso, data del golpe di Niamey. Il Mali, il Burkina
Faso e, ultimo arrivato per ora, Il Niger che il colpo di stato attraversa a
tutt’oggi senza darlo troppo a vedere. Variegate le manifestazioni di appoggio
ai golpisti, il presidio permanente alla zona deve sono stazionati i militari
francesi, il nuovo governo installato e le bandiere nazionali esibite da
tassisti e incauti motociclisti. Ai lontani confini del Paese permangono le
frontiere chiuse a persone e mercanzie. Detenuto da allora al suo domicilio il
presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Dal golpe migrante ai
migranti del golpe che si realizza nell’invisibile presenza e transito degli
‘esodanti o avventurieri’, come si dice qui.
In effetti ogni migrazione infligge, a suo modo, un colpo di stato fatale
al sistema. Le frontiere, le culture e le identità si spostano grazie a
persone, storie e progetti di vita che sfidano in permanenza l’ordine (o il
disordine) stabilito. C’è da prender atto che, nell’apparente banalità del
viaggio, il più efficace golpe dell’umana avventura, è costituito dalle
migrazioni. Folli imprese dove si rischia l’esistente per l’incertezza di un
futuro immaginato differente. Per raggiungerlo si soffre e si rimpiange quanto
si ha lasciato. C’è chi si accampa in strada, alle porte dell’Organizzazione
Internazionale delle Migrazioni o non lontano dalle stazioni dei bus in città.
Il golpe dei migranti dura da millenni e continuerà malgrado i sistemi di
sorveglianza, le frontiere armate, gli accordi di cooperazione coi fondi
fiduciari di sostegno ai progetti di sviluppo. Il tutto giustificato per
arrivare alle ‘cause profonde delle migrazioni’.
Ogni golpe è, di fatto, il tentativo del progetto migratorio da un regime
all’altro, da una repubblica all’altra e da una democrazia all’altra. Migrano i
militari e transumano i partiti politici. Migrano con loro anche gli
opportunisti che, come sempre, non perdono l’occasione per salvarsi. Migra
soprattutto il lavoro perduto, i soldi che non bastano, il cibo fattosi raro, i
salari occasionali e i prezzi in aumento dei generi alimentari. Migrano le ong
limitate nell’azione umanitaria, gli imprenditori di violenza armata che
operano dove si offrono prospettive di occupazione e migrano i sogni che
passano la frontiera con la piroga. Migrano i sogni di un’altra società
possibile e gli ideali di un mondo in procinto di nascere da quello antico.
Migrano, infine, le parole di verità prese in prestito dalla speranza che,
forse domani, ci sarà una giustizia per i poveri.
* * * *
Il ‘Nunca mas’ nel deserto del Sahara
Niamey, settembre 2023. Niamey, settembre 2023. Mai più. Recitava il titolo
del rapporto sui ‘desaparecidos’ della guerra ‘sporca’ in Argentina negli anni
’70. Il documento in questione metteva in evidenza i nomi delle vittime, il
sistema organizzato di prigionia, il tipo di tortura inflitto ai ‘dissidenti’
del regime militare che aveva preso il potere nel Paese. Migliaia di persone
‘scomparse’ da casa, dal lavoro, in strada, nelle scuole o università avevano
trovato un ultimo e definitivo eco nel rapporto citato. Mai più (Nunca mas) era
intitolato come per affermare solennemente che quanto accaduto non avrebbe più
dovuto riprodursi nel futuro. Purtroppo gli scomparsi continuano a perpetuare
le liste nelle frontiere dove la mobilità umana sembra incompatibile con la
marcia della globalizzazione. Soldi, mercanzie, giocatori di calcio,
diplomatici, turisti e commercianti possono viaggiare e spostarsi liberamente e
felicemente. Per chi è nato ‘dalla parte sbagliata’, come ricordava una vecchia
canzone di Jean Jacques Goldman, è destinato, d’ufficio, a scomparire e, se
possibile, senza lasciare tracce alcuna.
Da anni, ormai, siamo stati testimoni di queste quotidiane sparizioni di
migranti nel deserto di sabbia e nel deserto di mare. Tra i due non c’è
soluzione di continuità perché il primo e ‘fontale’ deserto si trova nel cuore
del sistema stesso, nato per escludere chi non è nato ‘dalla parte giusta’ del
mondo. Si è creata una sorta di complicità tra i processi di esternalizzazione
delle frontiere europee e le politiche dei Paesi del Maghreb. I controlli delle
frontiere, le espulsioni e deportazioni più in là, in pieno deserto verso il
Paese confinante, hanno, in questi anni, prosperato anche grazie alle comuni
politiche di ‘collaborazione’ nella gestione delle migrazioni. Gli scomparsi a
volte tornano e raccontano l’accaduto nella fossa che separa l’Algeria dal
Marocco a Oujda e le reti metalliche installate a Ceuta e Melilla, ‘enclaves’
spagnole in Marocco e soprattutto le quotidiane forme di morte sociale cui sono
destinati i migranti sub sahariani. I loro nomi e le loro storie ci arrivano di
prima mano, solo quando esse trovano uno sguardo e un orecchio libero
all’ascolto che ‘umanizza’ quanto è stato sistematicamente tradito durante il
viaggio intrapreso.
Mai più, scrivono sulla sabbia quanti hanno patito e sofferto a causa di
ciò che sono e cercano. Il sistema sembra incapace di leggere ciò che l’umana
mobilità porta e comporta come radicale novità di vita e di pensiero. I
migranti arrivano dal deserto con le mani nude il cuore gonfio di attese e
speranze di un mondo differente. Fanno di tutto per non scomparire tra i fondi
fiduciari affidati alle grandi ONG che finanziano progetti di sviluppo che
dovrebbero toccare le radici profonde delle cause delle migrazioni. Oppure, in
cambio, la formazione offerta da Eucap Niger (espressione dell’Unione Europea)
per imparare a controllare meglio le frontiere, i documenti e i traffici
frontalieri. Poi ci sono le politiche delle autorità del Marocco, l’Algeria, la
Tunisia senza dimenticare l’inferno libico (finanziato per esistere e
riprodursi) che prendono i migranti come ostaggio per negoziare contratti,
geopolitiche e soprattutto manna finanziaria. Mai più scrivono sulla sabbia gli
‘esodanti’ e gli avventurieri di questo mondo altro che fatica a partorire il
nuovo.
Lei, Sadamata, arriva con la sua piccola Fatima di un anno. Nata in Sierra
Leone e portata con loro in Algeria. Hanno vissuto per sei mesi lavorando
finche il papà della bimba è stato ucciso e la mamma espulsa e deportata al
confine. Per qualche giorno rimane ospite della locale compagnia di trasporto
Rimbo di Niamey e poi, con una valigia e una borsa dove ha custodito la memoria
del suo viaggio di fuga dal Paese natale, dorme fuori, sulla strada. Con lo
sguardo mite attende che si apra una porta per entrare, finalmente, nel futuro
dove sua figlia, bella come lei, possa disegnare il profilo di un’umanità degna
di questo nome. Mai più, scrisse il rapporto sulle sparizioni in Argentina. Mai
più ha appena sussurrato la piccola Fatima, nella braccia di sua madre.
* * * *
Due mesi dopo il colpo di stato e il
sapore della libertà
Niamey, 26 settembre 2023. Era il mercoledì 26 luglio quando l’inattesa
chiamata sul cellulare di un giornalista italiano sconosciuto chiedeva com’era
la situazione in città dopo il colpo di stato. Sorpreso dalla notizia all’ora
di pranzo non è stato difficile appurare la veridicità della notizia tramite le
agenzie informative nazionali e internazionali. Era tutto vero perché Il
presidente riconosciuto era fatto prigioniero dalla guardia presidenziale a
casa sua, assieme alla moglie e al figlio. La giunta militare che ha preso il
potere annunciava la sua destituzione come condizione per la salvaguardia della
patria messa in pericolo, secondo gli autori del golpe, dal regime deposto.
Concitate le reazioni nazionali e soprattutto internazionali che accusavano i
putschisti di un colpo di stato di ‘troppo’ nel Niger, abituato a questo
sistema di riavvii atipici delle vita democratica e politica del Paese. Da
allora passano i giorni tra sanzioni economiche, frontiere chiuse alle
mercanzie e alle persone che comunque e di frodo le attraversano con mezzi di
fortuna e onerosi sistemi di arrangiamento con militari e doganieri. In città è
lo stadio nazionale che raccoglie migliaia di simpatizzanti della giunta e soprattutto
la marea umana che ha invaso, pacificamente finora, i dintorni della base dove
sono stazionati i militari francesi e di altre nazionalità. Quanto ai militari
degli Stati Uniti si trovano attualmente presso l’aeroporto di droni di Agadez,
a un migliaio di chilometri della capitale, verso il deserto.
Pochi giorni dopo il colpo di stato una parte dei cittadini europei,
sospettando il rischio di un attacco armato dall’esterno, è stata invitata dai
propri Paesi a evacuare Niamey. Diverse centinaia di stranieri occidentali, per
misura precauzionale, sono tornati nei Paesi rispettivi di origine e nel
frattempo, dopo la scelta di un nuovo primo ministro, è stata la volta
dell’installazione di un nuovo governo. Da allora passano i giorni e succede
che, presi come si è dalla sopravvivenza, ci si dimentica di trovarsi in un
regime di eccezione militare. Ci si abitua all’incertezza e alla precarietà
perché entrambe, degne figlie della polvere e della sabbia, erano già presenti
nel quotidiano dei cittadini. Che per alcune ore ogni giorno manchi la luce,
salgano i prezzi del necessario per nutrirsi, si complichi la vita per i
genitori che devono provvedere per la scuola dei figli, non si sappia cosa
riservi il domani, tutto ciò era parte del bagaglio del cittadino comune. Col
tempo ci si adatta al colpo di stato e, segno evidente di apparente
normalizzazione, il Paese bruscamente scompare dalle prime pagine delle notizie
di agenzia e si passa ad altre cronache e notizie più avvincenti. La caparbia
capacità di resistere del popolo non merita menzione alcuna da parte dei media
più influenti che, con poche eccezioni, sono pagati per essere al servizio dei
potenti e dei loro interessi. Com’è noto, il verbo resistere solo si può
coniugare al tempo presente ed è ciò che la gente ha imparato da allora.
Siamo a due mesi dal colpo di stato che si organizza per durare nel tempo.
Nel frattempo si registrano arresti di ex ministri del regime precedente e
dall’esecuzione di campagna di smascheramento dei crimini economici perpetrati
negli anni passati. Erano gli anni del ‘rinascimento’ e degli slogan dove i
‘nigerini che nutrono i nigerini’ andava di moda, così come gli hotel di lusso
e l’Africa del mercato unico. Libera volpe in libero pollaio e libere bandiere
del Niger che sventolano sui tricicli al suono delle trombe di plastica che
accarezzano il sapore, amaro, della libertà.
* * * *
La pedagogia degli oppressi nel colpo di
stato del Niger
…‘Ecco il grande compito umanista e storico degli oppressi: liberare se
stessi e i loro oppressori'…
Niamey, 1 ottobre 2023. Così scriveva il grande pedagogista brasiliano
Paulo Freire nell’altro millennio col suo noto ‘ La pedagogia degli oppressi’.
Sono parole, concetti, idee, utopie e provocazioni che neppure ci passano più
per la mente, tanto sembrano lontane dall’odierno e appiattito pensiero. Tra i
punti positivi di un colpo di stato atipico come quello di Niamey a fine luglio
scorso, c’è proprio questo. Il tentativo e l’ambizione di uno smascheramento
del sistema che sembrava essersi identificato con la realtà naturale delle
cose. Nulla di nuovo sotto il sole perché sembra proprio di ogni regime
politico, religioso e sociale, apparire come ‘naturale’ e dunque divinamente
installato. L’ideologia che ‘naturalizza’ la politica, l’economia e la
religione che offre loro da supporto si presenta come immutabile e ‘garantita’
dalla consuetudine, l’andazzo o semplicemente dalla ‘colonizzazione’ dello
sguardo. Appare come del tutto naturale che ci siano persone nella miseria e
altre nella prosperità od opulenza. Così come apparirà del tutto naturale che i
figli dei potenti si formino nelle migliori scuole e che siano poi loro a
governare i poveri, notoriamente ‘incapaci’ di autogoverno e di democrazia. Il
colpo di stato è là anche per ricordare che in politica non c’è nulla di
naturale.
Oppressi e oppressori sembrano una coppia ormai tramontata perché non solo
le grandi narrazioni della storia sembrano sfumate ma anche perché,
apparentemente, chi tira le fila del sistema scompare dalla scena. Sembra
proprio che il sistema, come un … ‘carrozzone (che) va avanti da sé con le
regine, i suoi fanti, i suoi re’ … come recitava il testo di una canzone
dl’altra epoca. Il mondo umanitario, presente capillarmente nel Niger e in
genere nel Sahel non fa in fondo che confermare la versione naturalizzata delle
dinamiche sociali. Si parlerà al massimo di sviluppo sostenibile e si
pregheranno i potenti perché siano più generosi coi miseri. Il grande imbroglio
del ‘fatto compiuto’ può durare anni e generazioni, molto dipende da chi
ammaestra i mezzi di comunicazione e riesce a comprare le coscienze degli
intellettuali, di per sé attenti scrutatori dei segni dei tempi. La
mistificazione della realtà a volte dura molto ma non per sempre. Lo sappiamo
per esperienza e Abramo Lincoln lo ricorda … ’si può ingannare tutti per un
tempo, una parte del popolo per tutto il tempo ma non si riesce a ingannare
tutto il popolo per tutto il tempo’. Le maschere cadono, un giorno e questo
accade quando l’imprevisto raggiunge l’ordine costituito.
….Solo il potere che nascerà dalla debolezza degli oppressi sarà
sufficientemente forte per liberare gli uni e gli altri …
Ed è esattamente questo il paradosso che accompagna la storia umana. Il
potere di dominazione è incapace di creare novità che umanizzi perché è reso
cieco dalla propria arroganza e potenza (hybris). L’esperienza insegna che, se
di cambiamento si tratta, esso non potrà che scaturire da chi si accorge di non
aver più nulla da perdere se non la propria vita. L’oppresso di oggi, come
quello di ieri e di sempre, potrà trasformare la realtà quando farà della sua
debolezza la sola forza di cambiamento possibile. Da decenni il Niger è
classificato tra i Paesi più poveri del pianeta e saranno vani tutti i
tentativi di ‘rinascimento’, tentato a parole da molti. Così continuerà finché
la coscienza degli oppressi, i poveri, emarginati, assenti, invisibili, venduti
o tenuti in ostaggio aprirà orizzonti nuovi tramite il potere dei deboli che
sarà sufficientemente forte per liberare gli uni e gli altri. Come ricorda
ancora Freire nel libro citato. … ‘Chi, più di loro, può capire la necessità
della liberazione? Liberazione a cui non arriveranno per caso, ma … conoscendo
e riconoscendo la necessità di lottare per ottenerla. Lotta che, in forza
dell'obiettivo che gli oppressi le daranno, sarà un atto di amore’.
Solo a questa condizione il colpo di stato nel Niger non sarà accaduto
invano.
* * * *
Dare il nome giusto alle cose.
Istruzioni per l’uso nel Sahel
Niamey, 8 ottobre 2023. Ci siamo conosciuti dopo il suo soggiorno nella
sezione femminile della prigione di Niamey mentre era incinta. Samira Sabou è
giornalista e presidente dell’associazione di coloro che si esprimono
pubblicamente tramite i ‘blog’. Dopo aver avuto problemi col figlio dell’allora
presidente del Niger e tenuta sott’occhio dal regime precedente, sembra che
pure con le attuali autorità militari del Paese le cose non vadano molto
meglio. Scrive infatti un sito informativo della la capitale...
‘Il 30 settembre 2023 è stata arrestata nel domicilio di sua madre a Niamey
da diversi uomini col volto coperto che si sono presentati come membri delle
forze di sicurezza. Essi, dopo aver esibito i loro documenti, hanno insistito
perché Samira li segua nell’auto. Dopo essere stata a sua volta incappucciata è
stata condotta in un luogo sconosciuto. Da allora non ci sono tracce di lei e
del luogo eventuale di detenzione. Il servizio delle inchieste criminali della
polizia di Niamey afferma di non possedere nessuna informazione a proposito’.
(Actuniger)
Samira riportava spesso sul suo blog articoli di varia origine e natura.
D’abitudine cercava di pubblicare notizie da fonti certe. Secondo il detto di
alcuni, in questi giorni era stata verbalmente minacciata e attaccata sui mezzi
di comunicazione informale più utilizzati in città. Difficile parlare di un
tragico errore, di semplice noncuranza giuridica o di squallida messa in scena
per intimidire le parole. Ci troveremmo, anche in questo caso, in ciò che
ricordava Karl Marx: quando la storia si ripete è dapprima tragica e poi
diventa una farsa. Sarebbe dunque un caso di attitudini speculari al regime
precedente, riconosciutosi nella parola ‘Rinascimento’ di qualcosa o qualcuno
che in realtà non è mai nato. In questi ultimi anni le parole si sono
gradualmente mutate in sabbia, polvere e vento che tutto ha cancellato al suo
passaggio. Quanto scritto, promesso, affermato, assicurato e garantito è stato
sistematicamente tradito nella menzogna delle parole. Questo è il peggior
delitto che una persona possa commettere: manomettere le parole e dunque la
realtà che di esse è l’esatta misura. Per questo motivo ogni regime al potere,
peggio se totalitario, nulla teme quanto le parole.
Non accada che Samira, ossia la parola che ha tentato di dare un nome
giusto alle cose è rivoluzionaria, come ricorda opportunamente Rosa Luxemburg.
Portata via col viso coperto per impaurirla, la parola, sottratta dalla propria
casa materna, deportata in un luogo tenuto segreto, la parola che è quanto di
più serio e sacro ci sia perché le parole creano, fanno e disfanno il mondo.
‘Morte e vita sono in potere della lingua: chi l’ama ne mangerà i frutti’,
scrisse il saggio nel libro dei Proverbi. Dire la verità significa chiamare le
cose con il loro nome.
… ‘Dal profondo di te stesso nascono i tuoi pensieri con quattro risultati
diversi: il bene e il male, la vita e la morte, eppure su tutte queste cose
domina la lingua’…, scrissi il saggio nel libro del Siracide. Liberare Samira è
come tornare a liberare la parola che poi è l’unica rivoluzione che meriti
davvero questo nome.
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