Le navi a fine vita vengono smantellate principalmente in Asia meridionale e in Turchia. Ma raramente in questi cantieri ci sono standard di sicurezza adeguati. I lavoratori spesso si ammalano a causa delle sostanze tossiche contenute nelle carcasse delle navi. Una su tutte, l’amianto
I fumi dell’acciaio fuso si alzano in cielo nella città costiera di Alang, nello stato del Gujarat in India occidentale. Sulla costa, decine di navi giacciono immobili spiaggiate sulla riva sabbiosa, dal colore rugginoso, pronte per essere smantellate. Armati di fiamme ossidriche, con occhiali da sole e stracci per coprirsi naso e bocca come unica protezione, i lavoratori dei cantieri di demolizione iniziano a sciamare attorno e sopra le navi per tagliare via le lamiere che le compongono. Gli incidenti sono all’ordine del giorno: ogni anno i cantieri reclamano la vita di decine di operai. All’alba, quando le gru sono solo braccia immobili alzate contro il cielo appena schiarito dalla luce, nelle capanne dei lavoratori attorno al cantiere aleggiano i fumi dell’incenso usato nelle loro preghiere alla dea Kali, divinità protettrice del porto di Alang: «Guidami attraverso questo oceano di sofferenze, oh Kali, distruggi la mia tristezza».
L'inchiesta in breve
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Lo smantellamento delle navi a fine vita è una pratica pericolosa per i
lavoratori e l’ecosistema.
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Nel Nord globale, normative stringenti rendono poco conveniente la
demolizione in cantieri regolamentati e ben attrezzati. Per questo motivo circa
l’80% delle navi nel mondo finisce in cantieri di smantellamento nell’Asia
meridionale e in Turchia
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Alang, Chittagong e Gadani sono le mete preferite dai proprietari delle
navi. In questi cantieri i lavoratori rischiano la vita ogni giorno, estraendo
pezzi di nave a mani nude ed entrando in contatto con diverse sostanze
pericolose per la salute umana. Una su tutte l’amianto
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Complice una regolamentazione internazionale opaca, i proprietari delle
navi si rivolgono a intermediari detti cash buyer che
offrono “pacchetti ultimi viaggi” per navi che devono essere smaltite,
aggirando le normative e procurando ulteriori danni con il solo obiettivo del
profitto
La città del Gujarat rappresenta, insieme a Chittagong (Bangladesh) e
Gadani (Pakistan), la destinazione finale per l’80% delle navi nel mondo. Si
stima che circa il 90% delle navi di proprietà europea finisca in uno di questi
cantieri nonostante, secondo la legge, non ce ne dovrebbe finire nessuna. In
questi luoghi le condizioni precarie di lavoro portano alla morte non solo per
incidenti ma anche per avvelenamento, attraverso il contatto diretto con le
varie componenti tossiche all’interno delle navi, una su tutte l’amianto.
Questo materiale, particolarmente pericoloso per la salute specialmente quando
movimentato, viene gestito con pochissima cura per la sicurezza. In alcuni casi
i lavoratori rimuovono le fibre che contornano le tubature o le lastre
metalliche delle imbarcazioni addirittura a mani nude.
I rottami degli oceani
Il 2 aprile 2022 sbarca a Chittagong la Race, una nave cargo battente
bandiera liberiana. Ha vent’anni ed è pronta per essere smantellata: nel tempo
ha cambiato nome e proprietario molte volte, si è chiamata Mineral Sines, e dal
2013 Abml Grace, quando ha indossato la bandiera maltese
sotto la proprietà dalla società marittima italiana Cafiero Mattioli. Subito
prima di essere spedita in Asia meridionale però, la nave ha cambiato ancora
una volta bandiera e proprietà: nel 2020 è stata venduta alla Continental
Vessel Brokering, che le ha assegnato la bandiera liberiana. Sulle implicazioni
di questa compravendita torneremo più tardi.
Come centinaia di sue compagne, la Race viene spiaggiata nell’area
intertidale, quel punto del litorale soggetto alle maree. Qui, per condizioni
morfologiche e geografiche, si alza giornalmente una marea che copre centinaia
di metri di spiaggia, permettendo alle navi di avvicinarsi. Quando le acque si
ritirano, l’imbarcazione si trova sul basso fondale, pronta per essere
smantellata. Il beaching, lo spiaggiamento, è il
metodo utilizzato nei cantieri di smantellamento lungo le coste del Bangladesh,
dell’India e del Pakistan. Il terreno su queste spiagge è fangoso, molto
instabile e impedisce l’uso di macchinari come le gru, che servirebbero per
sollevare i pezzi più grossi della nave.
Tecniche di smantellamento di una nave
Una volta spiaggiata la nave, gli operai iniziano a setacciare i ponti,
rimuovendo tutto ciò che può essere rivenduto, dai mobili alle radio, ai
giubbotti di salvataggio. Poi inizia il processo di demolizione fisica della
nave. Si tratta di una pratica pericolosa sia per la sicurezza dei lavoratori
sia per l’ecosistema. Le squadre di demolitori cominciano a dissaldare la nave
in grandi pezzi, che vengono trasportati a riva per il taglio secondario. I
blocchi piombano sulla sabbia o nell’acqua sottostante utilizzando quello che
in gergo tecnico, con forse un filo di ironia, chiamano il “metodo della
gravità”: cioè semplicemente lasciandole cadere in mare. In questa fase schegge
di vernice contenenti metalli pesanti e altri rifiuti si depositano sul fondo e
risulta impossibile pulirli prima che la marea ritorni, portandoli via con sé.
Le acque di sentina, situate nella parte più bassa dello scafo della nave e
che contengono gli scarti del motore, possono rilasciare in mare olio, sali
inorganici, arsenico, rame, cromo, piombo e mercurio. Inoltre, se inalati, i
fumi di scarico del motore rimasti intrappolati causano gravi danni alla
salute. Raggiunte ormai le viscere della nave, gli operai si imbattono
nell’amianto, un materiale considerato nell’800 un “minerale magico” per le sue
capacità di utilizzo quasi illimitate…
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