Non vogliamo
vedere bruciare la Sardegna ma non vogliamo nemmeno la speculazione energetica
- Antonio Muscas
La risposta di Antonio Muscas
all’appello dei ragazzi e delle ragazze under 30 pubblicato sul manifesto sardo
dal titolo “Alla Sardegna.
Da parte di giovani che non vogliono vederla bruciare“.
Pur essendo l’appello rivolto alle forze
politiche della sinistra e dell’autodeterminazione e non essendo io attualmente
appartenente a nessuna organizzazione politica, mi sento comunque in dovere di
intervenire per via dell’accostamento fatto tra partiti e comitati e di alcune
interpretazioni, spesso erronee quando non addirittura fuorvianti, sulla lotta
in corso contro la speculazione energetica.
Parlerò in qualità di attivista
politico, ingegnere, nonché componente di lungo corso di comitati in difesa
della salute e dell’ambiente.
Intanto, prima di procedere, ritengo sia
doverosa la seguente importante premessa:
Quando nel vostro appello scrivete di
consumi energetici, sembra vi riferiate a dei valori ineluttabili, quasi un
prodotto della fatalità: è indispensabile un quantitativo calcolato
scientificamente e, perciò, tutto si riduce a scegliere tra energia sporca e
pulita. Ma l’energia non è neutra, l’energia in termini qualitativi e
quantitativi è fondamentalmente una questione politica: strettamente connessa
alle attività umane, e perciò al nostro stile di vita, all’alimentazione, alla
localizzazione delle attività produttive, ai rifiuti, al lavoro, al nostro
tempo libero. Riguarda ogni aspetto della nostra esistenza. Quanta ne
consumiamo, non è una semplice addizione di numeri, non rappresenta il nostro
reale fabbisogno, ma è quasi esclusivamente frutto di scelte, e non scelte,
politiche.
Allo stesso modo, transizione ecologica
e transizione energetica non sono sinonimi, rappresentano ambiti distinti,
intimamente connessi tra loro ma spesso in forte contrasto, in cui la seconda è
il risultato della prima e ad essa funzionale, e non viceversa.
Oggi la transizione energetica, il
passaggio dal fossile al “rinnovabile”, per come viene portata avanti, non ha
purtroppo niente di ecologico. Perché è un processo guidato totalmente dal
capitalismo consumista e neoliberista. Tra l’altro, le rinnovabili quasi mai
sono in sostituzione del fossile, ma in aggiunta. Si tratta di un vero e
proprio nuovo settore speculativo: prova ne sia il continuo incremento, nei
Paesi che maggiormente stanno investendo nella transizione, del consumo dei
combustibili fossili e conseguentemente delle emissioni inquinanti (spesso
mascherate in Occidente dalle cosiddette emissioni fantasma: il reale
contributo alle emissioni delle delocalizzazioni imputato ai Paesi in via di
sviluppo).
In questo senso, un serio ragionamento
sulla transizione energetica deve svilupparsi, anche in realtà piccole come la
nostra, a 360 gradi.
Passiamo ora ai vostri punti e ad alcune
vostre affermazioni.
– Sul negazionismo climatico
Voi chiedete di non dare cittadinanza a chi
mette in dubbio il riscaldamento globale: “coi negazionisti non si fanno
alleanze, nemmeno nei territori, nemmeno su battaglie specifiche. Benché meno
li si candida, e neppure gli si fanno generici ammiccamenti. Anche a costo di
perdere qualche voto e qualche applauso.”
Mi sembra di rivivere quanto accaduto in
epoca COVID in cui c’era una verità ufficiale e non erano ammesse critiche,
dubbi, tentennamenti. Tutto il resto era spazzatura, complottismo,
negazionismo. E, infatti, guarda caso, proprio a seguito dell’intenso dibattito
sviluppatosi attorno alla speculazione delle rinnovabili, questi giorni è
ripartita una campagna pubblicitaria della RAI contro le “chiacchiere al
vento”. Bisogna ridicolizzare e tacciare chi dissente. Voi rischiate di
trattare “i diversi” allo stesso modo. Come se la questione non fosse così
complessa e articolata da meritare un confronto approfondito e articolato, con
i relativi legittimi dubbi e critiche. Ora vi chiedo: quanti, tra i convinti
assertori del riscaldamento globale, hanno informazioni a sufficienza e sono in
grado di sostenere le loro posizioni? Io credo davvero pochi. E, in questo
caso, qual è la differenza tra loro e chi sostiene il contrario? Quanti di voi
sono in grado di dimostrare che il riscaldamento ha origini antropiche e non è
invece parte di un processo naturale?
Per me, per chiarire, il problema
neppure si pone: non ho neppure bisogno di credere nel riscaldamento globale,
mi basta vedere il disastro attorno a me per capire che, col caldo o con altre
numerose forme di inquinamento, stiamo condannando, noi e il resto del pianeta,
all’estinzione. Allo stesso tempo, non ho difficoltà a vedere come la
transizione ecologica sia diventata la nuova corsa all’oro, una nuova ghiotta
occasione per fare affari. Per questo lotto e mi oppongo con tutte le mie forze
al tentativo di cancellazione dei miei diritti e all’ennesima e più brutale
devastazione del territorio e dell’ambiente portata avanti in nome
dell’emergenza climatica. E così fanno i comitati, composti solitamente da
semplici cittadini, i quali, pur avendo spesso scarse competenze in materie
tecniche, giuridiche, ambientali e climatiche, hanno acquisito questa
consapevolezza.
– Sulla “retorica paesaggistica ormai
sempre più popolare – e non a caso portata avanti da quotidiani e realtà
pseudo-ecologiste che riteniamo distanti da qualsivoglia posizione radicale.“
C’è la transizione ecologica e poi ci
siamo noi sardi, che nella vostra descrizione sembriamo degli estranei in terra
sarda a cui è negato il diritto alla bellezza. Ma la transizione ecologica, lo
dice il termine stesso, include anche la nostra specie, quella umana, compresi
gli abitanti della Sardegna, perché anche noi siamo parte del pianeta. E,
invece, noi sardi dovremmo sacrificarci al servizio di chi? Dovremmo
rassegnarci ad una distesa monotona di pale e pannelli per salvare cosa?
Il paesaggio non è un pretesto. E non è
semplicemente un’immagine da stampare in una cartolina. È il senso della nostra
vita su quest’isola, l’espressone stessa della nostra civiltà, dei luoghi che
ci hanno ospitato, formato, nutrito in tutti i sensi, anche di bellezza, e che
abbiamo modellato e trasformato nel corso dei millenni trascorsi su questa
terra. E mi sorprende questa affermazione da parte di chi si rivolge anche agli
ecologisti. Come se nella vita non vi fosse spazio per il bello e per il
piacere di goderne. Io non potrei sopportare l’idea di vedere i miei monti
sfigurati, violentati, distrutti. Di vedere le pianure trasformate in distese
di specchi e gli orizzonti alterati da muri di aerogeneratori piazzati lì a
stravolgere inesorabilmente albe e tramonti. Perché di questo stiamo parlando
quando ci riferiamo al numero di richieste di connessione per la Sardegna. Come
fanno dei ragazzi così giovani ad affermare che la difesa del paesaggio è un
pretesto, perché tanto se, non lo cambiamo noi, lo cambierà il clima? In una
terra come la nostra che ha subito ogni sorta di violenza, quando parlate di
urgenze, non sentire l’urgenza di proteggerla? Di preservare le sue bellezze?
Cos’è la vita senza la bellezza? Siete davvero disposti a sacrificare con
questa facilità i nostri paesaggi, i nostri orizzonti, come se davvero non vi
fossero altre soluzioni, in nome di una non meglio specificata transizione
operata da terzi?
– Sulla presunta richiesta da parte dei
comitati di “una transizione senza eolico“
Questo, mi dispiace dirlo, è una
interpretazione fuorviante e dimostra la vostra scarsa conoscenza sulle
rivendicazioni dei comitati. In tutte le contestazioni sull’eolico si denuncia
la mancata concertazione con le popolazioni locali, si sollevano critiche sulla
dislocazione, il numero e la taglia degli aerogeneratori, si sollevano dubbi
sui loro reali benefici, sulle ricadute economiche, ambientali, paesaggistiche,
sociali e lavorative, sull’effettiva necessità di avere, in determinate
condizioni, nuova potenza rinnovabile. Ci è concesso mettere parola su questi
aspetti, o ritenete davvero che in nome dell’emergenza climatica dobbiamo,
senza colpo ferire, ingoiarci tutto quanto ci viene propinato?
– Sulla vostra affermazione, secondo la
quale, “Qualunque scenario di decarbonizzazione esistente (sia esso studiato
sull’Europa, sull’Italia, sulla Sardegna) prevede una crescita vigorosa e
immediata della potenza rinnovabile installata.“
Tutti i piani di transizione visti
finora si basano sul mantenimento dei consumi attuali quando non, addirittura,
pensati in una prospettiva di costante aumento dei fabbisogni energetici:
modelli puramente capitalisti, quando non addirittura estrattivisti e
neoliberisti.
Ebbene, questo lo dico da ingegnere,
questa strada non solo non è tecnicamente percorribile ma ci condurrà dritti
verso il baratro. Per la semplice ragione che la Terra non solo non ha risorse
sufficienti a mantenere o addirittura sostenere un incremento dei consumi
attuali, ma i processi di estrazione, lavorazione e trasformazione delle
risorse minerali non rigenerabili e la rapidità con cui si stanno consumando
quelle rigenerabili sta comportando un impatto sull’ecosistema devastante (vedasi
l’overshoot day). Ciò per non parlare dell’immensa occupazione di superficie
richiesta dalle installazioni rinnovabili – che hanno una vita relativamente
breve, misurabile in qualche decina d’anni, e nell’arco di una generazione
devono essere sostituite più volte – se dovessimo rispettare i numeri attuali.
In altre parole, questa transizione è la transizione dei paesi ricchi a
discapito dei paesi più poveri, una transizione che, fatta così, non avrà
effetti utili sul clima e sarà per tutti un disastro totale.
Inoltre, la crescita vigorosa e
immediata della potenza rinnovabile installata dovrebbe essere accompagnata
dalla realizzazione di impianti di accumulo, da adeguate infrastrutturazione e
gestione della rete; dovrebbe essere accompagnata da un’intensa
elettrificazione dei consumi. Altrimenti gli impianti saranno destinati a
essere sottoutilizzati o a restare inesorabilmente fermi. Come infatti già sta
capitando. Vi è infatti un altro aspetto tecnico di rilievo sul quale mai viene
soffermata l’attenzione, ed è questo: gli impianti eolici e fotovoltaici, come
è oramai risaputo, sono definiti non programmabili perché la produzione dipende
dalle condizioni metereologiche. Il problema, oltre a presentarsi quando non ci
sono né sole né vento, lo si ha anche quando un grande numero di impianti deve
funzionare tutto assieme. Se in Sardegna dovessimo installare questi 56 GW o,
se vogliamo, anche la metà, dove metteremmo l’energia prodotta nel momento in
cui dovessero produrre tutti contemporaneamente alla massima potenza? Se anche
tenessimo conto della capacità massima della rete sarda, delle reti di
trasporto verso il continente e di tutti gli impianti di accumulo previsti,
avremmo comunque un enorme surplus inutilizzabile. E questo è, infatti, quanto
già sta capitando da noi ora ma, in maniera molto più importante, con l’eolico
dei mari del nord – con costi esorbitanti per la collettività a causa dei
rimborsi dovuti alle società eoliche durante i fermi- ed è l’ovvia conseguenza
dell’installazione di elevate potenze in aree concentrate. È come se stessimo
montando il motore di una Ferrari su di una cinquecento per farla poi
percorrere delle mulattiere. Questi temi, a cui avete dedicato mezza riga, non
sono spesso neppure accennati nel dibattito odierno e comunque mai trattati con
la dovuta attenzione. In ogni caso, mancano gli investimenti e il settore
elettrico sta seguendo con la privatizzazione lo stesso destino delle
autostrade in cui la brama di profitto prevale sugli investimenti e sulla
sicurezza. Prova ne siano i numerosi collassi della rete questa estate appena
trascorsa non appena è stato acceso qualche impianto di aria condizionata in
più a causa del caldo intenso. Cosa succederà alla rete elettrica con i consumi
maggiormente elettrificati e una più ampia diffusione delle auto elettriche?
Dovremo rassegnarci a frequenti blackout? A rimanere per ore o giorni senza
elettricità? senza servizi telefonici e internet?
Perciò, la prima e più efficace risposta
all’emergenza è l’abbattimento drastico dei consumi e l’eliminazione o la
riduzione ai minimi termini degli sprechi. Qualunque persona di buon senso alla
richiesta di abbattere immediatamente le emissioni del 50% penserebbe per
cominciare ad un abbattimento i consumi per la stessa entità o per una prossima.
Una stupidaggine? Mica tanto. Pensiamo alle navi da crociera, agli aerei
privati, alle supercar, o anche i veicoli oltre un certo peso, come alcuni SUV,
al turismo (il turismo!), ai Bitcoin, al settore ICT; pensiamo alla
delocalizzazione delle attività produttive e alle relative infrastrutture
necessarie alla lavorazione, trasformazione, conservazione, trasporto e
stoccaggio delle merci; pensiamo agli sprechi, all’acquisto di prodotti in
eccesso o innecessari, allo spreco alimentare, alla produzione di rifiuti, al
loro smaltimento. Una nave da crociera mediamente emette in un giorno di
navigazione lo stesso tanto risparmiato da un aerogeneratore di 1 MW in un
anno! Ma noi siamo in Sardegna, mi direte. Dobbiamo occuparci del nostro
piccolo. Però il riscaldamento è globale e l’inquinamento della nave interessa
anche noi. E perciò dovremmo occuparci di agire localmente e, allo stesso
tempo, anche globalmente. Siamo davvero in emergenza? Bene. Pretendiamo azioni
immediate per vietare la circolazione dei mezzi di cui sopra, per impedire alle
navi da crociera e ai super yacht di attraccare in Sardegna, agli aerei privati
di atterrare nei nostri aeroporti. Chiediamo con forza che si investa in
educazione alimentare. Chiediamo lo stanziamento di fondi per lo studio e la
ricerca, per avviare nuovi corsi di studio che si occupino, per ogni singolo
settore, di studiare come abbattere i consumi e rendere quelle attività
sostenibili. Chiediamo che le aree rurali siano ridotate di servizi, siano
elaborati progetti e messi in atto programmi per renderle nuovamente
attrattive, per riabitarle e così presidiare anche i numerosi territori ora in
stato di abbandono. Alcune di queste azioni avrebbero effetto immediato, altre
nel medio e lungo termine, ma per ognuna è indispensabile agire nell’immediato.
Questa è la vera emergenza. Altrimenti, a che serviranno le pale in una
Sardegna in via di spopolamento?
So che la risposta potrebbe essere: “ma
queste cose non le faranno mai, non adesso, perlomeno. Mentre per gli impianti
FER la strada è più semplice”. Purtroppo, gli impianti così concepiti non
risolveranno il problema, potranno solo peggiorarlo, e noi avremo perso altro
prezioso tempo, con l’aggravante di aver fornito ancora una volta il fianco al
capitalismo e alla peggiore speculazione.
– “Da più parti si parla – anche nei
programmi elettorali della sinistra – di moratoria specifica sulle rinnovabili,
e in questo terreno viene posta la questione nei media. Capite bene il
paradosso di un simile provvedimento: diverrebbe illegale installare energia
pulita, ma legalissimo investire su quella sporca. Un caso più unico che raro a
livello mondiale.“
Altra affermazione non vera. Dove
l’avete letto? Noi stiamo chiedendo di darci il tempo di elaborare e mettere a
punto un piano strategico per la Sardegna. Parliamo di mesi, uno stop
provvisorio durante il quale gli impianti non industriali possono continuare ad
essere realizzati. E comunque, fossili e rinnovabili non sono in
contrapposizione. Bloccare l’uno non significa aprire le porte all’altro. Dove
c’è scritto? Non è in alternativa certamente il metano, non nei programmi di
decarbonizzazione. A nessun livello. Prova ne siano i consistenti investimenti
per la ricerca e l’estrazione di combustibili fossili, i recenti accordi
dell’Italia con i paesi arabi e africani per lo sfruttamento dei giacimenti e
per l’infrastrutturazione per il trasporto, lo stoccaggio e la rigassificazione
del gas.
– “Se noi per primi andiamo nei
territori a parlare di sventramento e stupro – per usare due termini molto
diffusi nel lessico delle proteste – di fronte a delle pale sulla collina, come
pensiamo che possano reagire quelle stesse comunità quando noi per primi
proporremo nuove pale – anche se pubbliche e non delle multinazionali?“
Qui vedo molta confusione. In merito
allo stupro, vi rimando a quanto scritto sopra a proposito di modalità,
ricadute, dislocazione, tipologia e taglia degli impianti. Sulla questione
delle comunità abbindolate da abili oratori, mi preme far presente che non sono
i comitati ad andare a parlare alle comunità contro le pale “brutte” ma sono le
comunità che stanno finalmente insorgendo e si stanno costituendo in comitati,
in reazione ad uno scempio che, come estensione e impatto permanente, non ha
precedenti nella storia della Sardegna. Forse vi siete persi qualcosa.
– “Siete disponibili a ragionare su
come sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili, e
farlo al meglio, anziché su come fermarne il maggior numero possibile?”
Ho letto bene: sbloccare? Ma come?
parlate di una battaglia contro l’assalto ma senza moratoria per poi
addirittura “sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili”! Che
tipo di battaglia intendete fare? Fatemi capire. Da quando, con il decreto Bersani
è stato liberalizzato il settore energetico, si sono susseguiti numerosi
provvedimenti che, man mano, hanno tolto competenze alle regioni e alle
autonomie locali, hanno cancellato la voce delle comunità. Quale battaglia si
può fare che non sia per la riconquista dei diritti attraverso opportune leggi?
Voi, invece, volete addirittura andare
ancora più rapidi! Magari vedreste bene un nuovo decreto del Governo Meloni che
velocizzi ancora di più le pratiche, saltando i residui passaggi democratici e
così eliminando, finalmente, anche le ultime “conservatrici” voci critiche? E
questa sarebbe una posizione radicale di sinistra?
– “Nel 2025 è prevista la chiusura
delle rimanenti centrali a carbone, e l’energia che forniscono deve essere
sostituita da pale e pannelli – non dal gas. L’obiettivo, ricordiamo, è quello
di raggiungere la neutralità carbonica nel 2035. Non solo elettricità pulita,
ma la fine dei combustibili fossili in Sardegna – comprese auto, fornelli,
industrie.” E ancora. “Noi siamo convinti l’energia debba essere pulita,
pubblica, sarda. Pulita significa 100% a basse emissioni da qui al 2035, con un
processo di decarbonizzazione che inizi immediatamente. Non solo l’elettricità
come da consumi attuali, ma tutta l’energia consumata nell’isola – distinzione
questa spesso dimenticata nelle analisi, ma fondamentale. Un obiettivo assieme
ambizioso ma indispensabile. Raggiungerlo significa non rinunciare a nessuna
fonte rinnovabile – solare, eolico in-shore e off-shore, idroelettrico,
geotermico – oltre che adeguare le reti, creare accumuli, elettrificare i
consumi. Una sfida a tutto tondo che tocca l’edilizia, i trasporti, il lavoro.“
La fine dei combustibili fossili in
Sardegna? E La Sarlux dove la mettiamo? Ad oggi da sola soddisfa quasi il 50%
del fabbisogno elettrico sardo e, seppure non vada a carbone, è alimentata con
gli scarti di lavorazione del petrolio ed è riconosciuta come “assimilata” alle
rinnovabili. Non ho notizia di un piano per la sua dismissione o
ridimensionamento. Questo di per sé impedisce la transizione totale del settore
civile, e in ogni caso resterebbero da risolvere la questione acqua sanitaria e
riscaldamento e delle reti del gas cittadino. Di fatto, però, con un mercato
fuori controllo come quello elettrico (bruciano ancora gli oltre 800 euro a MWh
dell’agosto 2022), chi sarebbe così folle da legarsi mani e piedi
all’elettricità? In ogni caso, se anche si arrivasse alla totale transizione
rinnovabile del settore civile, ciò non sarebbe ancora possibile per il
terziario e l’industria. Ancora meno se consideriamo tutto il comparto energetico
e non esclusivamente quello elettrico. Nel qual caso dobbiamo inserire anche i
trasporti e l’agricoltura. Un ragionamento a parte merita l’industria: se
davvero puntiamo all’indipendenza (energetica? politica?) della Sardegna, non
si può prescindere da un’attenta analisi sul futuro industriale in Sardegna.
Che tipo di industria vogliamo? Come la alimentiamo? Chiudiamo? Delocalizziamo?
Trasformiamo? Tutto questo per significare l’impossibilità di liquidare
argomenti così complessi con semplici dichiarazioni di principio. Ciò detto,
non esiste produzione di energia pulita. Qualunque processo comporta degli
impatti più o meno consistenti e allora bisogna essere onesti e ragionare con i
dati reali, non limitandosi a ciò che ci piacerebbe ma valutando attentamente
ciò che si può e ciò che si deve fare. Per fare un esempio, si continua a
parlare di diffusione del trasporto elettrico, di sostituzione dei veicoli ad
alimentazione fossile con equivalenti elettriche. E allora chiedo: è sempre
indispensabile sostituire un’utilitaria a combustibile fossile con una
elettrica (sempre che uno se la possa permettere) anche quando la percorrenza
media dovesse essere di poche migliaia di chilometri all’anno? E ancora:
autovetture come la Porsche o l’Hammer elettrici sono da considerarsi comunque
ecologici e a impatto zero? Infine, dichiarate che l’energia deve essere
pulita, pubblica, sarda, però nel frattempo volete “sbloccare la realizzazione
degli impianti rinnovabili”. Impianti privati, naturalmente. Una contraddizione
non da poco.
– “Sarda è la logica conseguenza dei
primi due punti. Solo le rinnovabili possono rendere la Sardegna sovrana dal
punto di vista energetico. Solo sistemi di proprietà condivisi e pubblici
possono garantire che i profitti vadano ai cittadini – e siano redistribuiti in
bolletta o nel welfare. Solo una regia pubblica può garantire che all’avanzare
delle energie pulite corrisponda una diminuzione di quelle sporche – e non si
vadano, invece, ad affiancare come nello scenario attuale. Solo una guida
democratica e non di mercato, infine, può ragionare su quanta energia serva
alle persone, per che scopi, con che livelli di consumo. Senza paura di termini
tabù come decrescita.“
Come si arriva ad una guida democratica
senza un duro scontro con lo Stato e con i grossi gruppi di interesse che
stanno dettando le regole? Senza un ribaltamento del modello economico attuale?
Come si possono avere dei sistemi di proprietà condivisi quando non avremo più
la disponibilità della nostra terra? Come fate a parlare di decrescita quando
proponete di sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili senza alcun
limite?
È doveroso precisare che in Sardegna non
partiamo da zero. Attualmente vi sono installati oltre 1,5 GW di potenza
rinnovabile con una capacità produttiva soffocata dalla presenza delle centrali
termoelettriche, dalla Sarlux in particolare, e da una rete in pessime
condizioni. Ciò nonostante, l’energia prodotta soddisfa quasi l’80% del
fabbisogno elettrico domestico. Affinché la transizione elettrica possa
effettivamente compiersi, sono necessari consistenti investimenti sulla rete
elettrica di cui però, eccetto i comitati e associazioni come Italia Nostra,
nessuno fa cenno. In queste condizioni, ogni ulteriore aggiunta di potenza
potrà solo peggiorare le cose, impedendo agli impianti Fer di funzionare
adeguatamente e richiedendo ancora maggiore supporto da parte delle centrali
termoelettriche. Sull’impressionante numero di richieste di connessione, pari
al 30 giugno a 718, e la relativa potenza di 56,08 GW, che non desta molto la
vostra attenzione, vi è da far presente un aspetto fondamentale: un numero così
grande di impianti non ha alcuna possibilità di essere sfruttato, sia per i
limiti della rete di cui sopra, sia per il ridotto fabbisogno della Sardegna,
sia, infine, per la limitata capacità di trasporto verso il continente delle
attuali e future infrastrutture. Perciò, a che pro tutti questi impianti? Per i
soldi. Tanti soldi. Un ritorno economico spettacolare a fronte di qualche
miliardo di euro di investimenti. C’è chi, diversi anni fa, si spinse ad
affermare che le rinnovabili rendono più della droga. Questa è una partita
nella quale tutti vincono: tra incentivi per le rinnovabili – sia quando
funzionano sia quando stanno ferme per esubero di disponibilità – e incentivi
per le fossili con funzione ancillare e per quelle “assimilate”. Diversi di
questi progetti sono finanziati con fondi del PNRR e della banca europea per
gli investimenti. Poi ci sono quelli finiti sotto la lente della DIA e numerose
sono state le inchieste in questi anni sul riciclo di denaro sporco per via
dell’ovvio interesse delle organizzazioni criminali. La più famosa fu
probabilmente quella sulla P4. Davvero, quindi, siete convinti che una volta
investiti tutti quei soldi, quando il nostro territorio sarà oramai disseminato
di pale e pannelli, sarà ancora possibile per noi scegliere una nostra strada
per l’indipendenza energetica?
Dico la verità, mi fa un po’ sorridere
ma molto riflettere che, mentre nei poligoni sardi si addestrano eserciti di
tutto il mondo che stanno contribuendo a devastare interi Paesi e negare il
futuro a milioni di persone, inclusi, beninteso, il nostro territorio e il
nostro futuro, mentre eserciti e industrie di tutto il mondo sperimentano in
casa nostra ordigni e dispositivi di qualunque specie con il loro lascito di
inquinamento e miseria, mentre una fabbrica di bombe del Sulcis Iglesiente si
rende responsabile della morte di migliaia di civili inermi, voi pensate che la
salvezza nostre e della Sardegna passi attraverso ulteriori concessioni, con lo
“sblocco delle rinnovabili”. Sblocco, beninteso, previa “contrattazione su
royalties e condivisione dei profitti”. Peccato che la legge in vigore
impedisca, anche per ovvie ragioni, trattative di questo tipo. Mi rammarica non
poco vedere che, alla fin fine, tutto il ragionamento si esaurisca attorno ad
una mera questione monetaria. Davvero pensate che la vostra terra non abbia
altro da offrire e voi nient’altro da pretendere?
Per concludere, e ritorno ai comitati:
noi rivendichiamo i nostri diritti e lottiamo per la tutela della terra che ci
ospita. Non abbiamo la verità in tasca ma di una cosa siamo certi: di essere
sotto assalto, il più pesante per la sua dimensione mai subito dalla nostra
isola e dalle cui conseguenze, siamo pienamente coscienti, se non facciamo
qualcosa ora, non potremmo più risollevarci. L’emergenza è la scusa con cui da
diversi decenni veniamo messi a tacere. Noi vogliamo invece concederci il
beneficio del pensiero, del ragionamento, del dubbio, e delle decisioni
meditate.
La transizione ecologica è una questione
molto complessa, non si può risolvere banalmente con una immensa e
incontrollata installazione di pale e pannelli. Affinché si possa realizzare
richiede uno sforzo enorme da parte di tutti e soprattutto la disponibilità a
metterci in discussione e cambiare radicalmente noi stessi e la nostra società.
Ci accusate di essere vittime della propaganda conservatrice. A me pare,
invece, che le vittime siate proprio voi rinunciando ad ogni pretesa,
accennando al più a qualche debole e timorosa richiesta di natura economica.
E mentre noi lottiamo con la sola arma
dei nostri corpi e delle nostre voci, vediamo voi che ci guardate dalla
finestra e ci giudicate. E, per giunta, col metro dei colonizzatori. Utilizzate
categorie che non hanno senso per noi e certamente non ci appartengono. La
nostra presenza, la nostra stessa esistenza, è la più chiara evidenza del
fallimento della politica, soprattutto di quella politica chiamata da voi
radicale, ecologista e di sinistra. La politica che più di tutte dovrebbe stare
dalla parte dei cittadini. Quella che la qualità della società la misura dalle
diseguaglianze, dalla deprivazione, dai disagi, dai soggetti più fragili, dai
quartieri degradati, dalle periferie. Noi siamo espressione di quelle persone a
cui la voce è stata levata e che se la vogliono riprendere. Scendete in piazza
con noi e venite a confrontarvi fuori dal mondo virtuale. Non si può pretendere
che un grido di disperazione sia simile a un canto. Ma voi potete unire le
vostre forze alle nostre affinché lo diventi.
Risposta ai
giovani che non vogliono vedere bruciare la Sardegna - Cristiano
Sabino
Pubblichiamo l’intervento di Cristiano Sabino dal titolo
Contro la quarta colonizzazione della Sardegna senza se, ma e però Risposta ai
giovani che “non vogliono vedere bruciare la Sardegna”.
Titolo fuorviante. Lo scorso 20 settembre sono stato chiamato in causa sui
social in un dibattito lanciato da alcuni giovani attivisti e pubblicato
su Il Manifesto sardo sulla questione “rinnovabili”,
“transizione energetica” e “moratoria”. Gli autori hanno scritto un appello
intitolato “Alla Sardegna.
Da parte di giovani che non vogliono vederla bruciare” che merita
una profonda riflessione.
Partiamo dal titolo. Non so se sia o meno il frutto degli
autori, ma si tratta di una trovata tanto giornalisticamente furba quanto del
tutto fuorviante. Infatti la Sardegna brucia da decenni e le cause accertate di
questa situazione sono l’abbandono colpevole delle campagne, la scarsissima
prevenzione e l’esiguità di mezzi antincendio a nostra disposizione (basta
vedere il rapporto con la vicina Corsica). Non dico che il cambiamento
climatico non contribuisca, ma le cause principali accertate dei roghi sono
altre! Su questo è uscito un bell’articolo su S’Indipendente di
Giuseppe mariano Delogu a cui rimando (Su fogu est unu perìculu? No, est a
mudare sas sustàntzias chi costìtuint su “perìculu”).
Ora occupiamoci delle argomentazioni contenute
nell’appello.
Appello rivolto a chi? Gli autori pongono cinque domande alle “forze
politiche della sinistra e dell’autodeterminazione” e sinceramente partirei
proprio dai destinatari perché si tratta di categorie ricche di ambiguità. Cosa
vuol dire “ forze di sinistra”? Cosa vuol dire “forze dell’autodeterminazione”.
Intendiamoci, non voglio deviare il discorso, ma proprio non capisco il senso
di queste parole se si prescinde da una precisazione di metodo, vale a dire
chiarire il rapporto che intercorre tra le soggettività politiche e il sistema
coloniale o – se si preferisce – il rapporto ineguale e combinato che esiste
tra Stato italiano, potere economico e nazione (o popolo, come preferite),
sardo. Fuori da questa precisazione, a mio parere, non ha alcun senso parlare
di “sinistra” e di “autodeterminazione”.
Lo dico perché ci sono tante forze sedicenti di
“sinistra” e perfino “indipendentiste” che non mettono in discussione il
rapporto di subalternità tra Sardegna e Stato italiano. Banalmente c’è il
Psd’Az che all’articolo 1 del suo statuto pone la questione dell’indipendenza
della Sardegna e poi mette in campo tutt’altre dinamiche. Poi ci sono le forze
che vanno alla corte del PD. Vi rivolgete anche al cosiddetto “campo largo”?
Perché in questo caso vorrei segnalarvi che storicamente proprio questi
soggetti hanno sempre osteggiato i movimenti ambientalisti, il referendum
contro le scorie (fumi di acciaieria e quant’altro), la lotta per le bonifiche,
la denuncia dei crimini ambientali condotta spesso in solitaria da
indipendentisti anticoloniali e ambientalisti non organici al sistema. È tutto
documentatabile ed esiste ampia letteratura in materia. Sui destinatari del
vostro appello è necessario fare chiarezza perché le responsabilità delle forze
legate alla “sinistra” non sono meno gravi di quelle della “destra”.
La questione assente: Sardegna «zona di sacrificio» A me sembra che nel vostro documento ci sia un
convitato di pietra che è il processo coloniale che oggi, con la scusa e il
marketing della “riconversione energetica” passa ad una nuova fase, la quarta,
se vogliamo conteggiare i processi di sfruttamento economico e non anche la
deculturazione e in particolare lo sradicamento della lingua sarda dalla società
sarda. Non ne parlate mai e invece credo che si dovrebbe partire da lì.
La Sardegna, storicamente, è una “zona di sacrificio” che
lo Stato centrale utilizza, senza trovare particolari resistenze nella classe
politica (e purtroppo anche in quella colta) servile e compiacente, a suo
vantaggio. Abbiamo subito nel corso di 160 di dominazione coloniale (prima
monarchico-liberale, poi fascista e oggi repubblicana) diversi processi di
sfruttamento intensivo, cioè di utilizzo delle nostre risorse attraverso uno
scambio del tutto ineguale e basato sull’oppressione che, in diverse fasi, ha
assunto i tratti della repressione poliziesca e militare (complotto separatista
degli anni Ottanta e operazione Arcadia del 2006) quando non del vero e proprio
«stato d’assedio» (Gramsci definisce così le varie operazioni militari
contro il “banditismo”).
Chiedete giustamente un punto di chiarezza sul fatto che
coi «negazionisti non si fanno alleanze, nemmeno nei territori, nemmeno su
battaglie specifiche». Va bene, certo, i movimenti radicali non li hanno mai
fatti. Ma esiste un’altra forma di «negazionismo» (se vogliamo usare questa
categoria che per molti versi trovo impropria) ed è quella del negazionismo
coloniale, cioè forze sociali e politiche che negano la condizione della
Sardegna ridotta a “zona di sacrificio”. Di che si tratta?
In un recente articolo, comparso lo scorso 15 dicembre
su Il Fatto quotidiano [Nuova economia ok, ma l’inquinamento?,
Il Fatto quotidiano del 15 dicembre 2022; per approfondire,
Cristiano Sabino, Decolonizzare l’ambientalismo, Filosofia de Logu], Linnea
Nelli, Andrea Roventini e Maria Enrica Virgillito mettono in luce il fatto che
«l’Europa è popolata da “zone di sacrificio”», cioè da aree geografiche
destinate a sopportare tutti i costi delle produzioni inquinanti e della
transizione energetica: «le asimmetrie non sono solo produttive e tra Paesi, ma
anche territoriali all’interno dei Paesi» e ciò avviene anche a causa del fatto
che «le comunità locali sono soggette al ricatto occupazione-salute». Precisano
gli autori:
«Attuare politiche per la transizione ecologica è una necessità
per tutti i Paesi. Ma se il processo avvenisse unicamente sotto il profilo
produttivo, senza essere accompagnato da una transizione sociale che richiede
interventi di politica economica, potrebbe esacerbare vulnerabilità e
disuguaglianze esistenti. Perché la transizione ecologica sia giusta, occorre
che un processo verso la neutralità climatica garantisca stabilità
occupazionale, sostenibilità ambientale ed eguaglianza economica. (…)»
Segue un elenco di realtà geografiche tristemente note
per essere in vetta alle statistiche epidemiologiche per quanto concerne
patologie tipiche da inquinamento ambientale. Questi territori – glossano gli
autori – «sono aree di deprivazione socio-materiale, che rischiano di restare
indietro in assenza di riconversione produttiva, caratterizzati da
spopolamento, disoccupazione e disparità di reddito che coesistono con
irreparabili danni all’ambiente e alla salute».
La Sardegna rientra ampiamente nella descrizione di
queste «aree di deprivazione», non solo per la sua storia di predazione, land
grabbing, sfruttamento intensivo e inquinamento, ma anche per il suo
presente di vastissime porzioni di territorio destinate, per decreto
governativo e compiacenza degli ambientalisti da cortile, alla produzione
energetica su vasta scala, a tutto beneficio di terzi.
I dati attuali forniti da Terna ci raccontano una realtà
allarmante: circa 700 progetti, con un trend di 30/40 nuovi progetti alla
settimana. Se si realizzassero tutti gli impianti da FER attualmente richiesti
la Sardegna produrrebbero circa 56mila GWh (cifra ancora lontana da quella che
sarà al termine della corsa all’oro “rinnovabili”), a cui bisogna aggiungere
ciò che produciamo già (circa 3mila GWh). Ricordando che ne consumiamo circa
9mila la sperequazione appare nella sua più stringente evidenza.
Con l’approvazione del Tyrrenian link la Sardegna,
insieme alla Puglia e alla Sicilia, diventerà la batteria energetica dello
Stato che garantirà il 90% di produzione elettrica da eolico e oltre il 50% di
solare. Energia – si badi bene – totalmente in mani private e senza alcun
beneficio per i sardi, come accade nei regimi coloniali classici, dove si
utilizzano le risorse locali (in questo caso terre, mare, sole e vento)
utilizzandole ad esclusivo beneficio dei colonizzatori. Non piace chiamarla
colonizzazione perché pare brutto? Allora chiamiamola scambio ineguale,
subalternità, zona di sacrifico, il concetto è lo stesso!
Buoni e cattivi. Tutto così semplice? Nel vostro testo parlare dei comitati, di alcuni
sindaci «in cerca di consenso», delle forze della destra pronte a cavalcare la
battaglia antieolico, di associazioni «pseudo-ambientaliste» retrograde dedite
alla «retorica paesaggistica». Non so bene a chi vi riferiate, ma anche su
questo, magari prima di esprimere determinati giudizi, mi fermerei un attimo a
valutare il lavoro di associazioni come il GRIG e Italia Nostra (lontanissime
da me su tante questioni) che però si battono sul campo, e soprattutto
giuridicamente, contro speculazioni ambientali, saccheggi, cementificatori,
criminali delle discariche di stato ecc.. Per non parlare di alcuni sindaci
come Maurizio Onnis di Biddanoa ‘e Forru (Villanovaforru in lingua di
imposizione statale) che ha realizzato una delle due CER in Sardegna e che,
contemporaneamente è in prima linea contro l’attuale colonizzazione “green”.
Anche lui un sindaco con «pulsioni» narcisiste? Già questo dato dovrebbe
mandare in crisi l’impianto sostanzialmente manicheo del vostro appello che
vede da una parte le forze del bene (pro rinnovabili) e dall’altra l’impero del
male dedito al lato oscuro della forza (nel senso letterale, petrolio +
carbone).
Mi spiace dirvelo ma le cose non stanno così e la vostra
mi sembra una narrazione capziosa. Faccio solo un altro esempio. Prima della
nascita dei comitati e dell’attenzione mediatica sul tema “rinnovabili” è nata
ADES, la piattaforma per la democrazia energetica, precisamente il 12 febbraio
2022, con un sit in e una conferenza stampa davanti al Palazzo della Regione.
ADES nasce da una serie di incontri promossi da diverse
associazioni, tra cui in prima linea No Metano Sardegna, con l’obiettivo di
creare un unico soggetto che ha come obiettivo una Sardegna sostenibile. Gli
obiettivi di ADES erano e sono quelli di « promuovere l’uso delle fonti
rinnovabili spingendo verso le comunità energetiche e l’autoconsumo,
ponendo molta attenzione all’evoluzione e gestione del processo affinché
rimanga nelle mani delle comunità locali. Obiettivi che tendono in
qualche modo a sottrarre la Sardegna a uno sfruttamento incontrollato da parte
di multinazionali dell’energia o comunque di grandi società che invece puntano
al profitto e non certo alla tutela dell’ambiente e dell’interesse anche
economico dei sardi» (https://www.sindipendente.com/blog/la-piattaforma-per-la-democrazia-energetica-in-sardegna-ades-presenta-il-suo-manifesto/ )
Non mi sembrano posizioni di retroguardia, ammiccanti ai
poteri forti, negazionisti del cambiamento climatico o subalterni all’egemonia
della destra. Voi invece come la collocate? ADES è stata all’avanguardia nel
denunciare la complementarietà di due forme di colonialismo energetico. Cito
dal manifesto reperibile al link:
«Da una parte, il blocco dei fautori della
metanizzazione, che spingono per l’adozione di una tecnologia obsoleta e
completamente contraria agli obiettivi di contrasto al riscaldamento climatico.
Dall’altra i fautori di una “transizione energetica” verso le fonti rinnovabili
completamente gestita dall’alto, delegata a pochi gruppi multinazionali, in un
contesto di deregolamentazione che consenta il massimo della speculazione e il
minimo del rispetto del territorio».
Si tratta di contrapposizioni apparenti e la cronaca
degli ultimi due anni lo ha ampiamente dimostrato! Prosegue ADES:
«Questi due presunti blocchi contrapposti sono in realtà
profondamente solidali, nello stabilire il principio che il futuro energetico
debba essere deciso da pochi, per l’interesse economico di pochi, nella totale
indifferenza verso i bisogni delle comunità e verso l’imprescindibile rispetto
del territorio».
Scrivo il 24 settembre 2023, quando da poco Stato e
Regione si sono dati la mano e hanno approvato il Tyrrhenian link, nel silenzio
generale di molte – se non di tutte – quelle realtà che voi definite “di
sinistra” e “per l’autodeterminazione”. In che modo questo fatto, di cui non
trovo traccia nella vostra narrazione, rientra nell’immaginario di una
«politica di palazzo» arroccata sulle posizioni dei petrolieri e dei fautori
della carbonizzazione e del tutto ostile alle rinnovabili? Il cavo sottomarino
servirà infatti a pompare dalla Sardegna un enorme surplus energetico, frutto
di centinaia di impianti rinnovabili, imposti grazie al decreto Draghi (con
l’attuale complicità del governo Meloni) alle comunità sarde, molti dei quali
sono già in costruzione.
Metano contro rinnovabile? A smascherare la favoletta green sulla Sardegna
isola all’avanguardia nella lotta al climate change propugnata da Legambiente
WWF e FAI (su questo punto rimando alla lettura del mio articolo scritto per
Filosofia de Logu “Decolonizzare l’ambientalismo. Come la ragion coloniale si
tinge di verde”) sta la più cruda realtà di una schiera di progetti (tra
approvati, presentati e in funzione) di depositi / rigassificatori di gnl
assolutamente complementari e sinergici all’invasione di rinnovabili.
Del legame tra il metano da una parte e il far west delle
rinnovabili dall’altra, vale a dire delle sempre più numerose richieste di
autorizzazione per impianti eolici e fotovoltaici, si è occupato (con maggiori
competenze rispetto alle mie) Piero Loi sul periodico di approfondimento e
inchiesta Indip nell’articolo “Sardegna, la giungla dell’energia, e l’oligarca
russo va a tutto gas”, a cui rimando per approfondimenti specifici. Il punto
politico, in ogni caso, è chiaro: più la Sardegna verrà dotata di
infrastrutture per il trasporto di energia verso il Continente, più aumenterà
la produzione da fonti rinnovabili e più si avrà bisogno di metano per
stabilizzare le rinnovabili, la cui produzione è intermittente. Di questo nel
vostro appello non si parla!
Si tratta di un processo già in atto, che è possibile
mappare. Nel Porto industriale di Oristano sono previsti almeno quattro
depositi costieri (Higas, in funzione), Edison (approvato – si pensa ad un
ampliamento – ma non ancora realizzato), Ivi petrolifera (due autorizzati). Poi
ci sono le famose FSRU della Snam, vale a dire le navi gasiere dotate di rigassificatori:
oltre a Porto Torres, una seconda FSRU è prevista a Portovesme. Un secondo
deposito costiero a Porto Torres è stato previsto dal Consorzio industriale, ma
il progetto appare dormiente. Infine sono previsti un deposito costiero con
rigassificatore e centrale a metano ad Olbia e un deposito/rigassificatore di
Giorgino a Cagliari. Da nord a sud, da est ad ovest la Sardegna sta diventando
un enorme ormeggio per navi gasiere. Tutti progetti ad altissimo impatto
ambientale e a rischio incidente rilevante, che vanno a stratificarsi su
territori già fortemente segnati da attività inquinanti pregresse (come per
esempio Porto Torres che è un S.i.n in cui tutte le matrici ambientali
risultano irrimediabilmente compromesse secondo la stessa ARPAS).
Dove li mettiamo questi impianti nella favoletta green
che ci raccontano Governo e Legambiente?
Basterebbe chiedersi se tutta quest’infrastrutturazione
serva al territorio e ai sardi per inquadrare il problema: basti pensare che la
sola nave deposito-rigassificatore prevista a Portovesme è in grado di
rigassificare 5 mld di mc di gas/anno, mentre il fabbisogno della Sardegna
(sovrastimato dal Piano energetico ambientale della regione Sardegna, Pears) è
pari a circa 900 milioni di mc/anno. Si capisce che il trend politico di Stato
italiano (della sua alleanza atlantica) e multinazionali è quella di
trasformare la Sardegna in un hub energetico, indipendentemente dal carattere
pulito o meno che implica la produzione e questo dipende da tanti fattori, non
ultimo il precipitare della nuova guerra fredda con Russia e Cina e il bisogno
di mettere a regime zone considerate sacrificabili perché poco propense alla
ribellione e alla resistenza, esattamente come è stato fatto in passato con la
militarizzazione selvaggia dell’isola da parte di EI e NATO.
Questa programmazione energetica, volta a trasformare la
Sardegna in un hub coloniale del gas, è foriera di pesanti conseguenze. Ad
esempio, un rischio concreto è lo sfruttamento futuro di giacimenti locali di
idrocarburi (sul modello del famoso progetto Eleonora della Saras, a cui la
Sardegna si era opposta con successo), on e off shore. Inoltre, uno degli
effetti più che probabili di questo disegno è lo sviluppo di colture
energetiche (land grabbing e conflitto con le colture alimentari) per la
produzione di biometano (metano a tutti gli effetti).
Per ora lasciamo da parte la questione nucleare (deposito
unico di scorie e possibilità di diventare una piattaforma per il nucleare
civile). Su questo sono intervenuto recentemente su S’Indipendente (Al 20,9% la
Sardegna diventerà una discarica nucleare, 26 luglio 2023), ma è necessario
rimanere all’erta!
Passiamo ora a quei punti del vostro appello che mi
sembrano davvero centrali.
1.
Siamo disposti a non fare alcun patto con i «negazionisti,
nemmeno nei territori, nemmeno su battaglie specifiche»?
No, le lotte si fanno con chi c’è. Ho fatto tante lotte
con chi non riconosceva nemmeno l’esistenza del popolo sardo (anche con alcuni
firmatari del vostro manifesto) su specifici punti, se li si ritiene
strategici, non si fanno le analisi del sangue, specialmente se stiamo parlando
di comitati che per loro natura sono assolutamente trasversali. Solo un
esempio: sapete nelle lotte dei pastori per un giusto prezzo del latte quante
volte mi è toccato discutere con gente che iniziava il discorso con “quando c’era
lui!”?. Nelle lotte bisogna sporcarsi le mani e – come ricordava Lenin – non si
può fare una frittata senza rompere le uova. Da una parte bisogna avere un
atteggiamento pragmatico, dall’altra svolgere un lento lavoro egemonico, perché
le idee non cascano dal cielo, ma sono il frutto di una prassi lenta e
costante. Questo lavoro non lo si fa dando patenti, soprattutto se stiamo
parlando di comitati popolari che difendono il proprio territorio da una vera e
propria aggressione barbarica e non di personaggi prezzolati ed etero diretti
come lo sono gli agenti che cercano di adescare coltivatori e pastori per
comprargli le terre a basso costo, approfittandosi della crisi agricola e
seminarla di gigantesche torri eoliche. Allora il discorso è diverso e non si fanno
prigionieri!
·
Chiedere
una transizione che non impatti sul paesaggio significa, di fatto, non chiedere
la transizione
A mio avviso impostate il discorso in maniera fuorviante.
Magari ci sono anche gli ambientalisti da cartolina, anche se io non ne ho visti
nelle lotte contro le speculazioni energetiche. La vera questione è una
transizione non coloniale e autodeterminata e questa si può fare solo se si
blocca quella che il sistema Stato-multinazionali chiamano “transizione” ma che
in realtà è a tutti gli effetti una nuova fase della colonizzazione della
Sardegna, precisamente la quarta, dopo estrazione taglio selvaggio dei boschi,
estrazione mineraria, industria pesante – occupazione militare (che vanno
insieme perché sono coeve).
·
«Siete
disposti a formulare una proposta di transizione energetica basata su dati,
evidenze e scelte praticabili nell’immediato, che sia, in una parola, una
proposta di governo»
La prima transizione che deve essere perseguita in
Sardegna è quella dalla condizione coloniale a quella autodeterminata,
ovviamente meglio se fondata su un modello a zero emissioni. Ciò che non siamo
disposti a fare è fiancheggiare la “transizione” (che come abbiamo visto
transizione non è visto che implica metano e rigassificatori) a qualunque
costo, perché ad oggi la fantomatica “transizione energetica” (a parte i pochi
esempi virtuosi di CER) in Sardegna implica l’aggravarsi della dipendenza
coloniale dell’isola e l’utilizzo delle nostre risorse per arricchire regioni e
circuiti economici esogeni. Non esistono progetti di governo alternativi se
prima non si ferma la colonizzazione in atto per volontà di Stato,
multinazionali dell’energia e Regione Autonoma.
·
Moratoria.
Voi siete contro «questo strumento» perché lo ritenete «inefficace agli scopi
di un progetto ecologista e democratico, ma addirittura dannoso».
Questo di fatto è il filo scoperto di tutto il vostro
ragionamento e la cartina di tornasole dell’approccio (credo inconsapevolmente)
coloniale del vostro manifesto. Quando parlate di «agenzia sarda dell’energia»
per un sistema energetico «pulito, pubblico, sardo» dobbiamo per forza di cose
premettere una moratoria energetica su tutti i progetti in corso di
realizzazione che non sono «pubblici» (né tanto meno democratici), non sono
«sardi» e sono coloniali perché servono a realizzare un rapporto subalterno tra
la Sardegna e il sistema Repubblica italiana-UE-multinazionali.
Di grazia, come volete raggiungere il meraviglioso “regno
dei fini” (per citare Kant) rappresentato da un sistema energetico siffatto,
senza bloccare lo stupro in atto verso le nostre terre, le nostre comunità e i
nostri diritti di popolo? Davanti ad una lotta oggettivamente anticoloniale
come quella condotta dalle comunità che stanno difendendo con i denti e con le
unghie la propria terra, non si può vestire i panni dell’imparzialità o
rimandare ad una palingenesi futura dove verranno piantate solo pale belle,
pulite e sarde. Questa è pura retorica! La colonizzazione in atto adesso è una
pura macchina di violenza e va fermata ad ogni costo e subito, esattamente come
un saccheggio o uno stupro in corso. Assumere una posizione neutrale di fronte
a questo significa solo schierarsi dalla parte del più forte e cioè in questo
caso dello Stato e delle multinazionali. Spero ve ne rendiate conto..
·
Non
utilizzare il lessico “sventramento e stupro di fronte a delle pale sulla
collina”
Si, ho scritto “stupro”, perché di questo si tratta,
anche se non vi piace. E parliamo di «stupro» non perché – come voi scrivete –
ci si indigna «di fronte a delle pale sulla collina», ma perché la
pantagruelica quantità di campi eolici e fotovoltaici che sta invadendo le
nostre terre, i nostri monti, le nostre valli, perfino le aree archeologiche
rappresenta un preciso disegno di dominio brutale e non consensuale tra alto e
basso, tra dominatori e subalterni, esattamente come lo è lo stupro. Quando uso
questa categoria, oltre che ai classici riferimenti a Fanon, Sankara e Aime
Césaire sulla brutalità e i dispositivi dei processi coloniali, mi riferisco
alle più recenti ricerche della studiosa femminista e antimilitarista Cynthia
Cockburn. La ricercatrice e attivista britannica ha studiato i movimenti
femministi e antimilitaristi individuando un nesso tra «violenza di genere» e
«violenza sistemica» e questo si realizza nella normalizzazione e nella
banalizzazione delle pratiche violente da parte del sistema politico, economico
dominante. Nella prospettiva femminista antimilitarista si stabilisce una
connessione inestricabile tra neoliberismo, militarismo, patriarcato e
depredazione delle risorse naturali che vanno intese come facce di un unico
modello dominante.
Cito da un testo facilmente reperibile on line che mette
in relazione gli studi femministi intersezionali con le lotte femministe
antimilitariste in Sardegna:
«La lettura femminista di tale processo di organizzazione
socio-spaziale ha privilegiato nel tempo l’uso esemplificativo dell’immagine
dello stupro. Si è analizzato l’utilizzo della violenza sessuale come effettiva
arma bellica, comune a conflitti in ogni angolo del pianeta, ma, già negli anni
novanta con Cyntia Enloe (1993), evidenziando come la peculiare risonanza tra
razionalità e discorsi nazionalisti e militaristi, in un ambiente sociale
patriarcale, crei le condizioni per l’uso “scientifico” della violenza come
atto di guerra sui corpi delle donne, territorio nemico materiale e simbolico
sul quale si articolano peculiari geografie transcalari dell’aggressione
(Mayer, 2004). È un punto essenziale, dunque, della critica operata dagli studi
di genere verso il modello sociale egemone, nel quale la violenza sessuale è
effetto di relazioni autoritarie, gerarchiche, di possesso e controllo in
funzione dell’ordinamento dominante» (Carlo
Perelli, Fuori posto, fuori norma. pratiche femministe antimilitariste in Sardegna).
Di fatto, quella che stiamo vivendo, è una colonizzazione
in processo, assolutamente complementare con quelle in atto (occupazione
militare, modelli industriali esogeni, sradicamento culturale) e il discorso di
Cynthia Cockburn sui modelli militaristi e bellici è applicabile ai più recenti
processi di accumulazione capitalistica e sfruttamento coloniale rappresentanti
dalla cosiddetta “transizione energetica”, così come la stiamo imparando a
conoscere in Sardegna, basata su «relazioni autoritarie, gerarchiche, di
possesso e controllo in funzione dell’ordinamento dominante» (cit.).
L’aut aut da porre con forza e urgenza non
è dunque “rinnovabili” o “fossili” ma “colonialismo” o “decolonizzazione”?
Conclusioni.
Gli ultimi due quesiti che ponete sul piatto sono fondamentali per comprendere
la scelta di campo che ogni sarda e sardo deve fare:
·
Essere
«pronti a dichiarare con nettezza la contrarietà ad ogni infrastruttura
climalterante, in primis quelle relative al gas metano, e a creare
mobilitazione su questo tema»
·
La
questione relativa all’egemonia e cioè il pericolo da voi segnalato che le
forze alternative subiscano l’egemonia altrui, invece di creare la propria.
Anche a questo proposito la prospettiva va a mio parere
ribaltata. È condivisibile porre la questione dell’egemonia, ma l’egemonia –
che è un concetto che per sua natura richiama le analisi gramsciane fra potere
e consenso – non riguarda la scelta tra uno strumento di produzione e un altro,
ma il rapporto tra dominatori e dominanti, cioè tra chi detiene il potere (in
questo caso Stato e multinazionali) e chi lo subisce (gruppi subalterni,
comunità, popolo sardo). In questo senso, visto che tirate in ballo una
categorie non neutra come “egemonia”, più che essere «pronti a dichiarare con
nettezza la contrarietà ad ogni infrastruttura climalterante, in primis quelle
relative al gas metano, e a creare mobilitazione su questo tema», bisognerebbe
allargare di parecchio il discorso che fate e dichiararsi pronti a contrastare
ogni infrastruttura energetica, militare, economica che rafforzi il dominio
coloniale e che riduca gli spazi di autodeterminazione, autogoverno,
autodecisione delle comunità e delle persone sarde, contrastando il saccheggio,
lo stupro, il prelievo energetico forzoso, lo sfruttamento becero della
Sardegna e dei sardi, da parte di un potere sempre più convinto di avere carta
bianca in questa terra.
La cosa più grave è che proprio la vostra proposta di
“agenzia sarda dell’energia” risulta uno spettro senza alcuna possibilità di
determinazione, proprio grazie al processo di “transizione energetica” in
corso. Mi spiego meglio. La destinazione dell’isola ad hub energetico sta
portando i sardi a non sviluppare un sistema energetico sotto il nostro
controllo e basato sulle necessità della nostra isola, realmente rispettoso
dell’ambiente e della salute, e capace di far risparmiare gli utenti o
addirittura di far guadagnare loro qualcosa. Vale a dire un modello
essenzialmente basato sull’elettrificazione dei consumi,
l’autoproduzione-autoconsumo di energia (generazione distribuita e smart grid),
utilizzo dell’idroelettrico per stabilizzazione le rete elettrica, comunità
energetiche e – in generale – un ripensamento generale dei modelli di
produzione e consumo. Inoltre, come ho accennato sopra, il gas non è
alternativo alle rinnovabili, ma risulta funzionale al più ampio disegno della
trasformazione della Sardegna in un gigantesco hub coloniale nella piena disponibilità
delle regioni ricche, dei privati, dello Stato italiano e – in buona sostanza –
della parte europea del blocco NATO in funzione anti Russa e anti Cinese.
Fondamentalmente si vuole sacrificare il nostro territorio destinandolo a
corridoio di transizione di enormi flussi di energia, variamente assortita. Se
questo progetto va in porto e non trova una forte opposizione popolare,
diventeremo una monocultura energetica intensiva diffusa in tutti i territori e
a beneficio di aree della Repubblica ed europee industrializzate e ricche,
senza alcuno scambio paritario. Tutto questo si tradurrà in ancora più
significativi impatti sulla salute, sugli ecosistemi, sulle matrici ambientali
e sul paesaggio e, soprattutto, si arriverà ad una profonda trasformazione
della proprietà fondiaria che avrà impatti devastanti su tanti versanti. La
presenza di grossi impianti, infatti, attiverà operazioni di vendita o di
cessione trentennale dei diritti di superficie. Il rischio, dunque, è che il
già incrinato rapporto tra i sardi e la terra s’indebolisca ulteriormente. In
altre parole, le campagne – sempre più abbandonate – potrebbero non essere più
concepite come un’opportunità di reddito (per quanto riguarda le colture
alimentari o la pastorizia) e, in definitiva, di radicamento sociale. E allora
sì che la Sardegna brucerà come non ha mai bruciato finora e la vostra profezia
rischierà di avverarsi, nonostante la presenza di enormi porzioni di territorio
sacrificate alla produzione energetica per conto terzi e anzi proprio in virtù
di quella presenza.
Dopo aver risposto a tante vostre domande ve ne faccio
una io. Davanti a questo destino di schiavi della colonizzazione in tanti
abbiamo già scelto da che parte stare. E voi?
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