mercoledì 13 settembre 2023

Le crepe profonde del servizio sanitario nazionale - Nicoletta Dentico

  

A Fiesole, con Laboss, una importante discussione a tutto campo sui problemi della sanità. Tra interdisciplinarità, partecipazione intergenerazionale e le tante mobilitazioni europee a difesa della sanità pubblica.

 

Una intensa partecipazione laboratoriale ha segnato i tre giorni di discussione sulle sorti del servizio sanitario nazionale organizzati dal Laboratorio su salute e sanità (LABOSS) a Fiesole. Grande era la fame di un luogo libero da condizionamenti nel quale poter affrontare una delle più grandi tragedie italiane: la progressiva erosione della salute pubblica italiana.

Proprio quest’anno si celebra il 45mo anniversario della legge 883/78 istitutiva del servizio sanitario nazionale (SSN). Una legge decisiva per lo sviluppo socioeconomico del nostro paese, con cui il Parlamento italiano – seppur con oggettivo ritardo – dava piena attuazione all’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute, svincolato dalla cittadinanza.

Gavino Maciocco ha tratteggiato il farsi di queste straordinarie intuizioni della politica nel dopoguerra (1946- 1948), tra negoziato internazionale sulla costituzione dell’Oms, affermazione del sistema sanitario pubblico in Gran Bretagna e dibattito della Costituente italiana.

Percorsi che hanno dialogato tra loro con irripetibile reciproca contaminazione di principi vincolanti: universalità, gratuità, effettività, equità di accesso, uniformità territoriale, finanziamento pubblico, partecipazione democratica, li ha ricordati più volte Chiara Giorgi.

Tre sono stati i tratti distintivi della sessione fiesolana. La intenzionale interdisciplinarità, la partecipazione intergenerazionale e la apertura alle esperienze europee di mobilitazione a difesa della sanità pubblica.

Appare sempre più evidente come la complessità crescente intorno ai determinanti della salute – sociali, commerciali, ambientali, legali – collida fragorosamente con la medicalizzazione della salute così cara alle industrie del farmaco, la sua riduzione alla logica delle prestazioni sanitarie, il soluzionismo tecnologico a discapito di una strategia di prevenzione a tutto campo.

La prevenzione è la chiave della salute

E’ la prevenzione la chiave della salute e questa richiede diversità di competenze e molteplicità di approcci, non solo in ambito sanitario: una visione prismatica, insomma, che è l’opposto della rigidità medica dei protocolli e dei criteri di sostenibilità finanziaria che hanno strangolato l’accesso alla salute in Italia – 37 miliardi di tagli e 39.000 operatori perduti dal 2010.

Questo è anche il tempo di consolidare e aggiornare una consegna intergenerazionale alle future leve interessate alla salvaguardia della sanità pubblica. Occorre non solo irrobustire la formazione universitaria di specializzandi e dottorandi scientemente plasmati alla medicalizzazione della salute. Indispensabile è la costruzione di una sponda operativa di senso – ben oltre le analisi storiche e le nostalgie del passato – ai nuovi dirigenti sanitari costretti ad operare oggi negli interstizi sempre più irrisori della sanità pubblica.

“Dove trovare le crepe dentro cui insinuarsi – ha chiesto una dirigente dell’Emilia-Romagna – quando il pubblico avrebbe gli strumenti per regolamentare i contratti di committenza con il privato, e invece delega a quest’ultimo la determinazione della tipologia di prestazione da erogare, e il relativo utilizzo del budget?”.

La privatocrazia è la vera cancrena del sistema sanitario nazionale

La privatocrazia è la vera cancrena del sistema sanitario nazionale, appunto, si è detto a Fiesole in tutte le lingue. La presenza del privato in sanità, ha spiegato un veterano come Marco Geddes, interessa una infinita molteplicità di aspetti non solo in Italia, man mano che si assiste a una contrazione e riconfigurazione del ruolo dello Stato in ambiti di produzione di beni e servizi, ricerca, regolamentazione e formazione. Una percolazione culturale micidiale e inarrestabile. Un assalto e poi un assedio, con la metafora di Nerina Dirindin, dimenticando però di citare le gigantesche responsabilità del centrosinistra in Italia.

Nel segno della più freudiana rimozione del conflitto di interessi, l’aggiornamento del personale sanitario sta in capo ad attori privati sia un ambito farmaceutico che di competenze gestionali e finanziarie delle aziende sanitarie, alla faccia dei “civil servants”.

Dotarsi di una scuola di formazione del personale sanitario è la proposta di Silvio Garattini, che ha fatto un ampio excursus sulle disfunzioni strutturali della ricerca farmaceutica, e delle lacune di un’indagine scientifica consegnata nelle mani delle multinazionali. Il blocco del turnover non è più in vigore dal 2019, eppure non si fanno assunzioni, le regioni continuano ad esternalizzare la partita dei servizi piuttosto che assumere personale direttamente.

11 miliardi di euro versati per il welfare aziendale

La pandemia ha aggravato la situazione e la attuale metastasi dei “gettonisti” – assai costosa al servizio sanitario – è un tema da sfidare normativamente impugnando la sicurezza dei pazienti, la effettiva conoscenza dei singoli protocolli ospedalieri, la possibilità di contatti diretti con gli specialisti delle aziende in cui costoro si trovano ad operare.

E poi c’è l’intramoenia introdotta dal governo Amato nel 1992, una non più tollerabile atipicità del sistema sanitario che ha effetti assai distorsivi sulla attività ambulatoriale e diagnostica.

La corposa presenza dei rappresentanti sindacali alla iniziativa di LABOSS – CGIL, CISL e ANAO – ha messo criticamente a tema il welfare aziendale, ovvero l’insieme di beni e servizi che sostituiscono gli incrementi salariali, e i suoi effetti distorsivi sulla sanità pubblica in quanto ad essa sostitutivo.

Parliamo di oltre 300 fondi sanitari (oltre 10 milioni di iscritti), l’85% dei quali riassicurati e/o gestiti da compagnie assicurative. I contributi versati ai fondi da persone fisiche ammontano a oltre 11 miliardi di euro, con un onere di deduzioni per la fiscalità generale di 3,5 miliardi di euro. Va invertita la rotta.

Le lotte in Europa. E in Italia?

La tavola rotonda finale con rappresentanti di Germania, Inghilterra, Francia, Portogallo, Grecia, paesi europei dove si agitano – al contrario dell’Italia – importanti mobilitazioni per la sanità pubblica, consegna un quadro di analogie piuttosto desolante. In Germania, usata spesso come modello di riferimento, l’industrializzazione sanitaria si traduce nella massiccia chiusura dei reparti di pediatria e ostetricia.

Se ha pesato come un macigno la domanda del come siamo arrivati fin qui, ben più soverchiante è il quesito sul che fare.

L’incontro seminale di Fiesole demarca il punto di partenza di un itinerario fondato sull’universalismo, non un semplice evento. A LABOSS ora la responsabilità di non deludere le aspettative di un incontro ricco di domande e di proposte.

da qui

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