A Fiesole, con Laboss, una importante discussione a tutto campo sui
problemi della sanità. Tra interdisciplinarità, partecipazione
intergenerazionale e le tante mobilitazioni europee a difesa della sanità
pubblica.
Una intensa partecipazione laboratoriale
ha segnato i tre giorni di discussione sulle sorti del servizio sanitario
nazionale organizzati dal Laboratorio su salute e sanità (LABOSS) a Fiesole. Grande
era la fame di un luogo libero da condizionamenti nel quale poter affrontare
una delle più grandi tragedie italiane: la progressiva erosione della salute
pubblica italiana.
Proprio quest’anno si celebra il 45mo
anniversario della legge 883/78 istitutiva del servizio sanitario nazionale
(SSN). Una legge decisiva per lo sviluppo socioeconomico del nostro paese, con
cui il Parlamento italiano – seppur con oggettivo ritardo – dava piena
attuazione all’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute,
svincolato dalla cittadinanza.
Gavino Maciocco ha tratteggiato il farsi
di queste straordinarie intuizioni della politica nel dopoguerra (1946- 1948),
tra negoziato internazionale sulla costituzione dell’Oms, affermazione del
sistema sanitario pubblico in Gran Bretagna e dibattito della Costituente
italiana.
Percorsi che hanno dialogato tra loro
con irripetibile reciproca contaminazione di principi vincolanti: universalità,
gratuità, effettività, equità di accesso, uniformità territoriale,
finanziamento pubblico, partecipazione democratica, li ha ricordati più volte
Chiara Giorgi.
Tre sono stati i tratti distintivi della
sessione fiesolana. La intenzionale interdisciplinarità, la partecipazione
intergenerazionale e la apertura alle esperienze europee di mobilitazione a
difesa della sanità pubblica.
Appare sempre più evidente come la
complessità crescente intorno ai determinanti della salute – sociali,
commerciali, ambientali, legali – collida fragorosamente con la
medicalizzazione della salute così cara alle industrie del farmaco, la sua
riduzione alla logica delle prestazioni sanitarie, il soluzionismo tecnologico
a discapito di una strategia di prevenzione a tutto campo.
La prevenzione è la chiave della salute
E’ la prevenzione la chiave della salute
e questa richiede diversità di competenze e molteplicità di approcci, non solo
in ambito sanitario: una visione prismatica, insomma, che è l’opposto della
rigidità medica dei protocolli e dei criteri di sostenibilità finanziaria che
hanno strangolato l’accesso alla salute in Italia – 37 miliardi di tagli e
39.000 operatori perduti dal 2010.
Questo è anche il tempo di consolidare e
aggiornare una consegna intergenerazionale alle future leve interessate alla
salvaguardia della sanità pubblica. Occorre non solo irrobustire la formazione
universitaria di specializzandi e dottorandi scientemente plasmati alla
medicalizzazione della salute. Indispensabile è la costruzione di una sponda
operativa di senso – ben oltre le analisi storiche e le nostalgie del passato –
ai nuovi dirigenti sanitari costretti ad operare oggi negli interstizi sempre
più irrisori della sanità pubblica.
“Dove trovare le crepe dentro cui
insinuarsi – ha chiesto una dirigente dell’Emilia-Romagna – quando il pubblico
avrebbe gli strumenti per regolamentare i contratti di committenza con il privato,
e invece delega a quest’ultimo la determinazione della tipologia di prestazione
da erogare, e il relativo utilizzo del budget?”.
La privatocrazia è la vera cancrena del
sistema sanitario nazionale
La privatocrazia è la vera cancrena del
sistema sanitario nazionale, appunto, si è detto a Fiesole in tutte le lingue.
La presenza del privato in sanità, ha spiegato un veterano come Marco Geddes,
interessa una infinita molteplicità di aspetti non solo in Italia, man mano che
si assiste a una contrazione e riconfigurazione del ruolo dello Stato in ambiti
di produzione di beni e servizi, ricerca, regolamentazione e formazione. Una
percolazione culturale micidiale e inarrestabile. Un assalto e poi un assedio,
con la metafora di Nerina Dirindin, dimenticando però di citare le gigantesche
responsabilità del centrosinistra in Italia.
Nel segno della più freudiana rimozione
del conflitto di interessi, l’aggiornamento del personale sanitario sta in capo
ad attori privati sia un ambito farmaceutico che di competenze gestionali e
finanziarie delle aziende sanitarie, alla faccia dei “civil servants”.
Dotarsi di una scuola di formazione del
personale sanitario è la proposta di Silvio Garattini, che ha fatto un
ampio excursus sulle disfunzioni strutturali della
ricerca farmaceutica, e delle lacune di un’indagine scientifica consegnata
nelle mani delle multinazionali. Il blocco del turnover non è più in vigore dal
2019, eppure non si fanno assunzioni, le regioni continuano ad esternalizzare
la partita dei servizi piuttosto che assumere personale direttamente.
11 miliardi di euro versati per il welfare
aziendale
La pandemia ha aggravato la situazione e
la attuale metastasi dei “gettonisti” – assai costosa al servizio sanitario – è
un tema da sfidare normativamente impugnando la sicurezza dei pazienti, la
effettiva conoscenza dei singoli protocolli ospedalieri, la possibilità di
contatti diretti con gli specialisti delle aziende in cui costoro si trovano ad
operare.
E poi c’è l’intramoenia introdotta
dal governo Amato nel 1992, una non più tollerabile atipicità del sistema
sanitario che ha effetti assai distorsivi sulla attività ambulatoriale e
diagnostica.
La corposa presenza dei rappresentanti
sindacali alla iniziativa di LABOSS – CGIL, CISL e ANAO – ha messo criticamente
a tema il welfare aziendale, ovvero l’insieme di beni e servizi che
sostituiscono gli incrementi salariali, e i suoi effetti distorsivi sulla
sanità pubblica in quanto ad essa sostitutivo.
Parliamo di oltre 300 fondi sanitari
(oltre 10 milioni di iscritti), l’85% dei quali riassicurati e/o gestiti da
compagnie assicurative. I contributi versati ai fondi da persone fisiche
ammontano a oltre 11 miliardi di euro, con un onere di deduzioni per la
fiscalità generale di 3,5 miliardi di euro. Va invertita la rotta.
Le lotte in Europa. E in Italia?
La tavola rotonda finale con
rappresentanti di Germania, Inghilterra, Francia, Portogallo, Grecia, paesi
europei dove si agitano – al contrario dell’Italia – importanti mobilitazioni
per la sanità pubblica, consegna un quadro di analogie piuttosto desolante. In
Germania, usata spesso come modello di riferimento, l’industrializzazione
sanitaria si traduce nella massiccia chiusura dei reparti di pediatria e
ostetricia.
Se ha pesato come un macigno la domanda
del come siamo arrivati fin qui, ben più soverchiante è il quesito sul che
fare.
L’incontro seminale di Fiesole demarca
il punto di partenza di un itinerario fondato sull’universalismo, non un
semplice evento. A LABOSS ora la responsabilità di non deludere le aspettative
di un incontro ricco di domande e di proposte.
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