Secondo la Corte dei Conti dopo la pandemia i conti della sanità pubblica sono fuori controllo. Non per nuove assunzioni o ritocchi agli stipendi dei medici, rimasti spesso al palo, ma perché le commesse pubbliche sono andate a cooperative e società private che hanno raddoppiato il fatturato incrementando l’uso, sempre più privatistico, delle strutture pubbliche
“Si è
cominciato con i consulenti. All’inizio si trattava di medici in pensione che
davano una mano nei reparti. Oggi questa prassi è diventata sistematica: senza
esterni non si va avanti”. È un grido di dolore, quello di M., medico
oggi in pensione, ma che ha lavorato a lungo nell’ospedale di Castiglione del
Lago, comune di quindicimila abitanti sul Lago Trasimeno, in provincia di
Perugia. “I colleghi mi spiegano che impiegare professionisti a gettone è
l’unico modo per mandare avanti i pronto soccorso e mi raccontano di
guadagni assurdi per turni di 12 ore e più – racconta ancora a Today.it – La
domanda che io faccio è: come è possibile fare queste turnazioni nella medicina
di emergenza e che un medico in malattia lavori come gettonista in un
altro ospedale pubblico senza che nessuno se ne accorga? E soprattutto dov’è
chi deve controllare sulla qualità del servizio e sui lavoratori?”.
L’ospedale
di Castiglione del Lago è finito nell’occhio del ciclone nell’ultima inchiesta
dei carabinieri del Nas sullo scandalo delle liste di attesa pilotate. Qui
i militari hanno scoperto infatti una radiologa, dipendente della Asl ma
formalmente in malattia, che lavorava come medico a gettone in ospedali veneti
per conto di due cooperative. Domicilio in Spagna, per evitare così le visite
fiscali, certificati di malattia firmati da un medico probabilmente
connivente e turni di lavoro di 12 ore profumatamente pagati. Il tutto mentre
diventavano sempre più lunghe le liste di attesa per accertamenti diagnostici
nell’ospedale dove doveva lavorare. Il caso insospettisce prima i
vertici dell’ospedale e successivamente i nuclei anti-sofisticazione dei
carabinieri che riescono a ricostruire le strategie della donna e indagarla per
truffa.
Si tratta
di una delle storie più emblematiche emerse dall’inchiesta. La
dimostrazione di come il business dei medici a gettone sia stato, nel post
Covid, particolarmente ghiotto per i privati e non privo di
ripercussioni per la sanità pubblica. Anche quando viene
effettuato, come nella stragrande maggioranza dei casi, alla luce del
sole.
Un business fiorente per pochi che però paghiamo tutti
Quando
parliamo di medici a gettone parliamo di professionisti che lavorano a
cottimo e guadagnano quasi sempre – a parità di ore lavorate – più degli
assunti. Per un solo turno di lavoro i ‘medici in affitto’ possono arrivare
anche a più di 1.000 euro, fino a 3.600 euro per 48 ore di lavoro in caso di
turni accorpati. E a mancare sono spesso standard orari e qualitativi, con
tutti i rischi che ne conseguono, anche per i pazienti. Vengono spesso reclutati
in chat su internet da cooperative o società di consulenza che, da anni,
hanno fiutato il business e lo cavalcano legittimamente.
Per
rendersene conto è possibile visionare, online, le visure di alcune delle
aziende che forniscono servizi di intermediazione sanitaria. Ci si accorge
così di incassi quasi raddoppiati nel giro di 3 anni. È il caso, ad
esempio, della ‘Medical Line Consulting’, società di consulenza romana, a
cui sono stati affidati, tra gli altri, i turni dei pronto soccorso di
Fondi, Latina e Terracina per sopperire alla drammatica carenza di personale
(l’ultima delibera da 100mila euro firmata il 29 maggio 2023 dalla Asl di
Latina per il solo servizio estivo). La società fa registrare un fatturato
che supera i 20 milioni di euro nel 2022 e che raddoppiato rispetto al
pre-pandemia. Ma sono molte le cooperative nate per fornire prestazioni di
tipo medico-infermieristico dal 2020 a oggi. Ad alimentare il business c’è un
giro di affari considerevole alimentato dai soldi pubblici, dalla drammatica e
strutturale carenza di personale sanitario e da un paradosso tutto italiano che
si chiama “tetto di spesa”.
Lo spiega in
modo esaustivo Pierino Di Silverio, segretario di Anaoo Assomed, il più
rappresentativo sindacato di categoria per medici e dirigenti medici: “Si
ricorre ai gettonisti perché c’è un tetto di spesa rigido per l’assunzione di
personale che impedisce alle aziende ospedaliere, pur se volessero, di
assumere. I medici a gettone ricadono invece in una voce denominata di ‘beni e
servizi’, non sottoposta a queste limitazioni”. Il paradosso è che, per un
semplice gioco amministrativo delle tre carte, spendiamo tutti di più,
ottenendo servizi di qualità inferiore.
Il report della Corte dei Conti: boom delle consulenze negli ultimi 3
anni
A
certificarlo c’è il report annuale della
Corte dei Conti sul monitoraggio della spesa sanitaria. Per rendersi conto di
quanto poco ci sono convenuti i professionisti a gettone in sanità è
sufficiente guardare a due voci di spesa: da un lato il costo del personale,
dall’altro ai cosiddetti “costi intermedi” per beni e servizi. Se i fondi
statati destinati ai redditi da lavoro dipendente nella Sanità sono
aumentati del 2% dal 2013, quelli per “i costi intermedi”
sono aumentati del 10%. Nel corso di quasi dieci anni si passa così
da 30 a 43 miliardi di euro di spesa destinati a “beni e servizi”.
Componente |
2013 |
2014 |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
2021 |
Redditi da
lavoro dipendente |
-1,3% |
-0,7% |
-1,3% |
-0,7% |
-0,1% |
2,5% |
2,7% |
1,8% |
2,2% |
Consumi
intermedi |
-1,4% |
3,9% |
3,1% |
4,2% |
3,0% |
2,7% |
0,1% |
11,2% |
10,1% |
Spesa
sanitaria corrente di CN |
-0,6% |
1,7% |
0,3% |
0,9% |
1,1% |
2,0% |
1,1% |
6,1% |
4,2% |
Una
percentuale enorme su cui sicuramente incidono una grande pluralità di costi e
attrezzature mediche, necessarie soprattutto nei difficili anni dalla pandemia,
ma influenzata sicuramente anche dal business delle consulenze d’oro nella
sanità. A scriverlo sono nero su bianco gli stessi magistrati contabili: “la
crescita dei consumi intermedi è influenzata anche dal consistente ricorso alle
forme di lavoro flessibile, previsto da specifiche disposizioni normative
emergenziali intervenute nell’ultimo biennio”. Soldi su cui si sarebbe potuto
forse assumere e formare nuovo personale, ma che si è preferito utilizzare per
pagare, a peso d’oro, cooperative e aziende private.
Un business
fiorente di cui si sono avvantaggiati in pochi e che ha costituito spesso un
problema, sia in termine di qualità che di spese, anche indirette, come spiega
Di Silverio: “Con i medici a gettone si spende di più anche in maniera
indiretta, anche perché non si può avere la continuità delle cure con un medico
che lavora a cottimo – osserva Di Saverio – Se si avvicendano due medici, il
secondo potrebbe chiedere al paziente di svolgere altri esami perché non
conosce la sua storia clinica. Il rischio è quello di una lievitazione delle
spese diagnostiche e terapeutiche” spiega a Today.it il segretario di Anaoo
Assomed.
La stretta sul personale a gettone del Governo e i problemi aperti
Un’evidenza
di cui si è reso conto anche il Governo che dallo scorso aprile ha predisposto una stretta sull’utilizzo
dei cosiddetti gettonisti nella sanità con il decreto bollette. I medici a
gettone possono ora essere utilizzati solo in caso di necessità e urgenza,
in un’unica occasione e senza possibilità di proroga, dopo aver
attentamente verificato che sia impossibile utilizzare personale già in
servizio. La commessa non può durare più di dodici mesi e viene istituito
un tetto alla loro retribuzione. Inizialmente si pensava di confinarli ai
pronto soccorso, ma l’endemica carenza di personale medico ha indotto il
governo a ritornare sui suoi passi ed estendere la possibilità del loro
utilizzo a tutti i reparti.
È presto per
capire quali saranno gli effetti della norma: attualmente sono essenziali
in molte strutture ospedaliere. Solo negli ospedali veneti questa tipologia di
professionisti ha coperto circa 42mila turni .
Ed è proprio nei pronto soccorso dove
vengono maggiormente utilizzati.
“Nei pronto
soccorso c’è più presenza di medici a gettone perché c’è più carenza di
personale. È un settore che è molto gravato, in questa fase storica, dai rischi
correlati alle aggressioni, dalle potenziali denunce e da un carico di lavoro
impressionante. Un medico di pronto soccorso deve gestire più di 90 pazienti
che sono spesso critici o acuti che potrebbero cambiare codice, ovvero
aggravarsi, da un momento all’altro” spiega Di Salverio presidente di
Anaoo-Assomed.
“Il decreto del
governo è un segnale, ma è al momento una goccia nel mare. Il problema è
che attualmente senza queste figure non si va avanti” gli fa eco Antonio Voza,
presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza, che
estende il problema a tutto il nostro sistema sanitario. “È un problema
generalizzato a 360 gradi, noi siamo la rosa del vigneto, i primi ad ammalarci.
Ma è tutto il sistema ospedaliero a essere in crisi. Ci sono sempre più
specialisti che lasciano il lavoro pubblico per gli ambulatori privati”
aggiunge Voza.
Quello che è
certo è che più si fa ricorso a queste figure, più a risentirne è la qualità
con conseguenze che possono essere anche drammatiche: “Un’organizzazione, come
quella della medicina di emergenza, che fa ricorso sistematico a professionisti
delle cooperative è sicuramente più debole e avrà una qualità inferiore in un
campo molto delicato dove diagnosticare una patologia immediatamente può
salvare una vita” chiosa.
È indubbio
però che, quando parliamo di medicina d’urgenza, ci troviamo di fronte
medici spesso sottoposti a turni più stressanti rispetto
al resto del personale medico e che spesso non hanno le stesse opportunità di
arrotondare che hanno gli altri con le visite intra ed extra-moenia. Due
caratteristiche che rendono la professione sempre meno appetibile da parte dei
giovani e il ricorso ad esterni sempre più probabile.
Strutture pubbliche, affari privati
Ma è anche
il proliferare delle visite (pienamente legittime) svolte “privatamente”
da dipendenti delle Asl all’interno di strutture pubbliche o convenzionate
a segnalarci che la presenza di affari privati in strutture pubbliche è un
problema complesso. Sono sempre i Nas, nel corso della già citata inchiesta
sulle liste d’attesa, a segnalare la storia di un dirigente
medico responsabile di un ambulatorio di gastroenterologia e colonscopia
di Roma. Nonostante le liste pubbliche con ticket fossero bloccate da mesi, il
medico esercitava le stesse prestazioni in attività intramoenia
extramuraria -regolarmente autorizzata – presso un poliambulatorio privato con
una programmazione fino ad 8 esami giornalieri. Tradotto: l’unico modo per
effettuare un accertamento diagnostico, spesso essenziale per la salute, era
pagare.
“Tra i
suggerimenti che abbiamo sottoposto al ministero c’è anche quello di calibrare
le visite in intramoenia ed extramoenia – sottolinea Dario Praturlon, portavoce
dei Nas commentando gli esiti dell’inchiesta degli scorsi giorni –
intendiamoci, è tutto alla luce del sole, e non c’è nessun profilo penale
contestato, resta da considerare se sia deontologico” spiega ancora
Praturlon.
“È paradossale che non ci sia
disponibilità di prestazioni col ticket e poi ci si possa far visitare in
intramoenia, dove il medico percepisce guadagni extra utilizzando la
struttura pubblica o in un’altra struttura convenzionata dall’Asl”.
L’utente fa
di fatto una visita privata, ma invece di ritrovarsi sei mesi di attesa attende
pochi giorni, a patto di pagare. Una situazione ben testimoniata
da Nord a Sud con
inchieste portate avanti anche dal nostro gruppo editoriale.
C’è poi il
problema della mancata adesione di cliniche e ambulatori privati, già
convenzionati, al sistema di prenotazione unico delle aziende sanitarie o a
livello regionale. Una scelta dettata da convenienze economiche, ma che riduce
la platea di strutture utili per l’erogazione delle prestazioni mediche
specialistiche e diagnostiche. Nel Lazio dovrebbero coprire il 70% delle
prestazioni, nella realtà ne coprono solo il 10%.
“Abbiamo notato come in molte Regioni non sempre nel Cup ci siano tutte le
strutture private accreditate: il paziente non ha a disposizione tutta la
platea di strutture, devono chiamarle direttamente. In molte Regioni questo
aspetto è un problema” spiega ancora Dario Praturlon a Today.it.
Eppure le
convenzioni sono fatte in forma sussidiaria per supportare un servizio pubblico
che spezzo zoppica. Segno che quello dei medici a gettone è solo la punta
dell’iceberg di un Sistema Sanitario Nazionale sempre più ostaggio di logiche
più privatistiche che pubbliche, che stanno trasformando lentamente un diritto
costituzionale in un privilegio.
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