sabato 23 settembre 2023

Il lavoro da mille euro al giorno: così i privati si mangiano gli ospedali pubblici - Daniele Tempera

 

Secondo la Corte dei Conti dopo la pandemia i conti della sanità pubblica sono fuori controllo. Non per nuove assunzioni o ritocchi agli stipendi dei medici, rimasti spesso al palo, ma perché le commesse pubbliche sono andate a cooperative e società private che hanno raddoppiato il fatturato incrementando l’uso, sempre più privatistico, delle strutture pubbliche

 

“Si è cominciato con i consulenti. All’inizio si trattava di medici in pensione che davano una mano nei reparti. Oggi questa prassi è diventata sistematica: senza esterni non si va avanti”. È un grido di dolore, quello di M., medico oggi in pensione, ma che ha lavorato a lungo nell’ospedale di Castiglione del Lago, comune di quindicimila abitanti sul Lago Trasimeno, in provincia di Perugia. “I colleghi mi spiegano che impiegare professionisti a gettone è l’unico modo per mandare avanti i pronto soccorso e mi raccontano di guadagni assurdi per turni di 12 ore e più – racconta ancora a Today.it – La domanda che io faccio è: come è possibile fare queste turnazioni nella medicina di emergenza e che un medico in malattia lavori come gettonista in un altro ospedale pubblico senza che nessuno se ne accorga? E soprattutto dov’è chi deve controllare sulla qualità del servizio e sui lavoratori?”.

L’ospedale di Castiglione del Lago è finito nell’occhio del ciclone nell’ultima inchiesta dei carabinieri del Nas sullo scandalo delle liste di attesa pilotate. Qui i militari hanno scoperto infatti una radiologa, dipendente della Asl ma formalmente in malattia, che lavorava come medico a gettone in ospedali veneti per conto di due cooperative. Domicilio in Spagna, per evitare così le visite fiscali, certificati di malattia firmati da un medico probabilmente connivente e turni di lavoro di 12 ore profumatamente pagati. Il tutto mentre diventavano sempre più lunghe le liste di attesa per accertamenti diagnostici nell’ospedale dove doveva lavorare. Il caso insospettisce prima i vertici dell’ospedale e successivamente i nuclei anti-sofisticazione dei carabinieri che riescono a ricostruire le strategie della donna e indagarla per truffa. 

Si tratta di una delle storie più emblematiche emerse dall’inchiesta. La dimostrazione di come il business dei medici a gettone sia stato, nel post Covid, particolarmente ghiotto per i privati e non privo di ripercussioni per la sanità pubblica. Anche quando viene effettuato, come nella stragrande maggioranza dei casi, alla luce del sole. 

Un business fiorente per pochi che però paghiamo tutti 

Quando parliamo di medici a gettone parliamo di professionisti che lavorano a cottimo e guadagnano quasi sempre – a parità di ore lavorate – più degli assunti. Per un solo turno di lavoro i ‘medici in affitto’ possono arrivare anche a più di 1.000 euro, fino a 3.600 euro per 48 ore di lavoro in caso di turni accorpati. E a mancare sono spesso standard orari e qualitativi, con tutti i rischi che ne conseguono, anche per i pazienti. Vengono spesso reclutati in chat su internet da cooperative o società di consulenza che, da anni, hanno fiutato il business e lo cavalcano legittimamente.

Per rendersene conto è possibile visionare, online, le visure di alcune delle aziende che forniscono servizi di intermediazione sanitaria. Ci si accorge così di incassi quasi raddoppiati nel giro di 3 anni. È il caso, ad esempio, della ‘Medical Line Consulting’, società di consulenza romana, a cui sono stati affidati, tra gli altri, i turni dei pronto soccorso di Fondi, Latina e Terracina per sopperire alla drammatica carenza di personale (l’ultima delibera da 100mila euro firmata il 29 maggio 2023 dalla Asl di Latina per il solo servizio estivo). La società fa registrare un fatturato che supera i 20 milioni di euro nel 2022 e che raddoppiato rispetto al pre-pandemia. Ma sono molte le cooperative nate per fornire prestazioni di tipo medico-infermieristico dal 2020 a oggi. Ad alimentare il business c’è un giro di affari considerevole alimentato dai soldi pubblici, dalla drammatica e strutturale carenza di personale sanitario e da un paradosso tutto italiano che si chiama “tetto di spesa”. 

 

Lo spiega in modo esaustivo Pierino Di Silverio, segretario di Anaoo Assomed, il più rappresentativo sindacato di categoria per medici e dirigenti medici: “Si ricorre ai gettonisti perché c’è un tetto di spesa rigido per l’assunzione di personale che impedisce alle aziende ospedaliere, pur se volessero, di assumere. I medici a gettone ricadono invece in una voce denominata di ‘beni e servizi’, non sottoposta a queste limitazioni”. Il paradosso è che, per un semplice gioco amministrativo delle tre carte, spendiamo tutti di più, ottenendo servizi di qualità inferiore. 

Il report della Corte dei Conti: boom delle consulenze negli ultimi 3 anni 

A certificarlo c’è il report annuale della Corte dei Conti sul monitoraggio della spesa sanitaria. Per rendersi conto di quanto poco ci sono convenuti i professionisti a gettone in sanità è sufficiente guardare a due voci di spesa: da un lato il costo del personale, dall’altro ai cosiddetti “costi intermedi” per beni e servizi. Se i fondi statati destinati ai redditi da lavoro dipendente nella Sanità sono aumentati del 2% dal 2013, quelli per “i costi intermedi” sono aumentati del 10%. Nel corso di quasi dieci anni si passa così da 30 a 43 miliardi di euro di spesa destinati a “beni e servizi”.

Componente

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

Redditi da lavoro dipendente

-1,3%

-0,7%

-1,3%

-0,7%

-0,1%

2,5%

2,7%

1,8%

2,2%

Consumi intermedi

-1,4%

3,9%

3,1%

4,2%

3,0%

2,7%

0,1%

11,2%

10,1%

Spesa sanitaria corrente di CN

-0,6%

1,7%

0,3%

0,9%

1,1%

2,0%

1,1%

6,1%

4,2%

Una percentuale enorme su cui sicuramente incidono una grande pluralità di costi e attrezzature mediche, necessarie soprattutto nei difficili anni dalla pandemia, ma influenzata sicuramente anche dal business delle consulenze d’oro nella sanità. A scriverlo sono nero su bianco gli stessi magistrati contabili: “la crescita dei consumi intermedi è influenzata anche dal consistente ricorso alle forme di lavoro flessibile, previsto da specifiche disposizioni normative emergenziali intervenute nell’ultimo biennio”. Soldi su cui si sarebbe potuto forse assumere e formare nuovo personale, ma che si è preferito utilizzare per pagare, a peso d’oro, cooperative e aziende private. 

Un business fiorente di cui si sono avvantaggiati in pochi e che ha costituito spesso un problema, sia in termine di qualità che di spese, anche indirette, come spiega Di Silverio: “Con i medici a gettone si spende di più anche in maniera indiretta, anche perché non si può avere la continuità delle cure con un medico che lavora a cottimo – osserva Di Saverio – Se si avvicendano due medici, il secondo potrebbe chiedere al paziente di svolgere altri esami perché non conosce la sua storia clinica. Il rischio è quello di una lievitazione delle spese diagnostiche e terapeutiche” spiega a Today.it il segretario di Anaoo Assomed. 

La stretta sul personale a gettone del Governo e i problemi aperti 

Un’evidenza di cui si è reso conto anche il Governo che dallo scorso aprile ha predisposto una stretta sull’utilizzo dei cosiddetti gettonisti nella sanità con il decreto bollette. I medici a gettone possono ora essere utilizzati solo in caso di necessità e urgenza, in un’unica occasione e senza possibilità di proroga, dopo aver attentamente verificato che sia impossibile utilizzare personale già in servizio. La commessa non può durare più di dodici mesi e viene istituito un tetto alla loro retribuzione. Inizialmente si pensava di confinarli ai pronto soccorso, ma l’endemica carenza di personale medico ha indotto il governo a ritornare sui suoi passi ed estendere la possibilità del loro utilizzo a tutti i reparti. 

 

È presto per capire quali saranno gli effetti della norma: attualmente sono essenziali in molte strutture ospedaliere. Solo negli ospedali veneti questa tipologia di professionisti ha coperto circa 42mila turni . Ed è proprio nei pronto soccorso dove vengono maggiormente utilizzati. 

“Nei pronto soccorso c’è più presenza di medici a gettone perché c’è più carenza di personale. È un settore che è molto gravato, in questa fase storica, dai rischi correlati alle aggressioni, dalle potenziali denunce e da un carico di lavoro impressionante. Un medico di pronto soccorso deve gestire più di 90 pazienti che sono spesso critici o acuti che potrebbero cambiare codice, ovvero aggravarsi, da un momento all’altro” spiega Di Salverio presidente di Anaoo-Assomed. 

 

“Il decreto del governo è un segnale, ma è al momento una goccia nel mare. Il problema è che attualmente senza queste figure non si va avanti” gli fa eco Antonio Voza, presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza, che estende il problema a tutto il nostro sistema sanitario. “È un problema generalizzato a 360 gradi, noi siamo la rosa del vigneto, i primi ad ammalarci. Ma è tutto il sistema ospedaliero a essere in crisi. Ci sono sempre più specialisti che lasciano il lavoro pubblico per gli ambulatori privati” aggiunge Voza.

Quello che è certo è che più si fa ricorso a queste figure, più a risentirne è la qualità con conseguenze che possono essere anche drammatiche: “Un’organizzazione, come quella della medicina di emergenza, che fa ricorso sistematico a professionisti delle cooperative è sicuramente più debole e avrà una qualità inferiore in un campo molto delicato dove diagnosticare una patologia immediatamente può salvare una vita” chiosa.

È indubbio però che, quando parliamo di medicina d’urgenza, ci troviamo di fronte medici spesso sottoposti a turni più stressanti rispetto al resto del personale medico e che spesso non hanno le stesse opportunità di arrotondare che hanno gli altri con le visite intra ed extra-moenia. Due caratteristiche che rendono la professione sempre meno appetibile da parte dei giovani e il ricorso ad esterni sempre più probabile. 

Strutture pubbliche, affari privati 

Ma è anche il proliferare delle visite (pienamente legittime) svolte “privatamente” da dipendenti delle Asl all’interno di strutture pubbliche o convenzionate a segnalarci che la presenza di affari privati in strutture pubbliche è un problema complesso. Sono sempre i Nas, nel corso della già citata inchiesta sulle liste d’attesa, a segnalare la storia di un dirigente medico responsabile di un ambulatorio di gastroenterologia e colonscopia di Roma. Nonostante le liste pubbliche con ticket fossero bloccate da mesi, il medico esercitava le stesse prestazioni in attività intramoenia extramuraria -regolarmente autorizzata – presso un poliambulatorio privato con una programmazione fino ad 8 esami giornalieri. Tradotto: l’unico modo per effettuare un accertamento diagnostico, spesso essenziale per la salute, era pagare. 

“Tra i suggerimenti che abbiamo sottoposto al ministero c’è anche quello di calibrare le visite in intramoenia ed extramoenia – sottolinea Dario Praturlon, portavoce dei Nas commentando gli esiti dell’inchiesta degli scorsi giorni – intendiamoci, è tutto alla luce del sole, e non c’è nessun profilo penale contestato, resta da considerare se sia deontologico” spiega ancora Praturlon.

“È paradossale che non ci sia disponibilità di prestazioni col ticket e poi ci si possa far visitare in intramoenia, dove il medico percepisce guadagni extra utilizzando la struttura pubblica o in un’altra struttura convenzionata dall’Asl”.

L’utente fa di fatto una visita privata, ma invece di ritrovarsi sei mesi di attesa attende pochi giorni, a patto di pagare. Una situazione ben testimoniata da Nord a Sud con inchieste portate avanti anche dal nostro gruppo editoriale. 

 

C’è poi il problema della mancata adesione di cliniche e ambulatori privati, già convenzionati, al sistema di prenotazione unico delle aziende sanitarie o a livello regionale. Una scelta dettata da convenienze economiche, ma che riduce la platea di strutture utili per l’erogazione delle prestazioni mediche specialistiche e diagnostiche. Nel Lazio dovrebbero coprire il 70% delle prestazioni, nella realtà ne coprono solo il 10%. “Abbiamo notato come in molte Regioni non sempre nel Cup ci siano tutte le strutture private accreditate: il paziente non ha a disposizione tutta la platea di strutture, devono chiamarle direttamente. In molte Regioni questo aspetto è un problema” spiega ancora Dario Praturlon a Today.it.

Eppure le convenzioni sono fatte in forma sussidiaria per supportare un servizio pubblico che spezzo zoppica. Segno che quello dei medici a gettone è solo la punta dell’iceberg di un Sistema Sanitario Nazionale sempre più ostaggio di logiche più privatistiche che pubbliche, che stanno trasformando lentamente un diritto costituzionale in un privilegio. 

da qui

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