Assimilando il nostro SSN a un paziente in codice rosso, diremmo:
“emorragia massiva con compromissione emodinamica”. Il sangue sono gli
esercenti le professioni sanitarie, l’emorragia è la fuga dei sanitari dal
pubblico verso il privato e la compromissione emodinamica sono le gravi
conseguenze sistemiche che questo esodo provoca sulla copertura dei bisogni di
salute della popolazione.
Prendiamo ad esempio l’ospedale Manzoni di Lecco dove si contano 1,6
abbandoni al giorno a gennaio 2022, 1,5 a febbraio 2022″, riferisce Francesco
Scorzelli, 63 anni, infermiere da 37, dirigente sindacale Usb e delegato nella
Rsu dell’ospedale di Lecco, che ha spulciato una per una tutte le delibere e le
determine per tirare la somma della conta delle defezioni. Nel 2021 gli
“abbandoni” sono stati 321 e il trend del 2022 è addirittura superiore. “I concorsi
di ogni ordine e grado vengono banditi, non solo per i tecnici di radiologia,
anche per infermieri, medici, tecnici di laboratorio, amministrativi, ma
rapidamente le graduatorie vengono consumate – prosegue il sindacalista -. Per
quanto riguarda quello degli infermieri, in pochi mesi, siamo già arrivati alla
400ª posizione in graduatoria”. Significa che non si riesce a rimpiazzare chi
se ne va perché i nuovi arrivi spesso durano poco e non vogliono terminare
nemmeno il periodo di prova. “E’ da tempo che denunciamo la scarsissima volontà
di rendere “appetibile“ lavorare nelle strutture sanitarie pubbliche della
nostra provincia”, spiega il dirigente dell’Usb dell’ospedale di Lecco(1).
Non è appetibile di certo un corpo professionale che, dopo la pandemia,
soffre di quello che possiamo ribattezzare “disturbo post-traumatico da stress
di categoria”. A fornire la radiografia di come stanno i nostri medici e
infermieri è la survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti
ospedalieri, su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti
sanitari e presentata a Milano al 28esimo Congresso Nazionale della
Federazione.
In totale a dichiararsi in “burnout” è il 49,6% del campione ma
la percentuale sale al 52% quando si parla di medici, per
ridiscendere al 45% nel caso degli infermieri. E in entrambi i casi
l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permane la difficoltà di
coniugare il tempo di lavoro con quello assorbito dai figli e la famiglia in
genere.
Ad influire sullo stato di stress cronico è anche il fattore età, visto che
sotto i trent’anni la percentuale di chi è in burnout cala al 30,5%. Fatto è
che proiettando i dati più che significativi delle medicine interne
sull’universo mondo dei professionisti della nostra sanità pubblica abbiamo
oltre 56mila medici e 125.500 infermieri che lavorano in burnout. E
che per questo motivo incappano in qualche inevitabile errore. Uno studio
condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic
del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno nel 36%
dei camici bianchi in burnout. Percentuale che proiettata sul totale dei nostri
medici da un totale di oltre 20mila errori gravi.
Discorso analogo per gli infermieri. Qui una serie di studi internazionali
raccolti dalla Fnopi, la Federazione degli ordini infermieristici, stima siano
addirittura il 57% gli errori clinici più o meno gravi
commessi nell’arco di un anno. Dato che applicato sul numero degli infermieri
pubblici operanti in Italia in burnout da altri 71.500 errori in fase di
assistenza per un totale di almeno di 92mila, sicuramente qualcuno in più
considerando che uno stesso operatore può essere incappato in più di un errore
nel corso dell’anno (2).
Non solo errori, nella mia pratica clinica ho constatato empiricamente che
il burnout dei sanitari ha un impatto sui processi di cura: non si cura la
causa di una malattia andando alla ricerca dei fattori scatenanti profondi, ma
si prescrivono decine e decine di farmaci allo scopo di gestire superficialmente
i sintomi, mettendo pezze su pezze ai problemi di salute sottostanti. Noto
inoltre come rispetto a tre anni fa, oggi c’è una certa facilità a
intraprendere la strada della palliazione, al primo aggravamento dello stato
clinico di una persona.
Il burnout dei sanitari non è un problema categoriale, del singolo medico o
del singolo infermiere bensì un problema di sanità pubblica poichè ha un
impatto sugli esiti di salute degli assistiti. Per questo motivo, alcuni ordini
professionali stanno organizzando percorsi di cura per i professionisti
sanitari. Tuttavia l’ansia, la depressione, l’irritabilità, la mancanza di
energie motivazionali, vengono curate esclusivamente in maniera
individuale-biografico-familiare; questi percorsi di cura non considerano che
sta crollando un intero sistema di mondo e che di conseguenza il peso di quei
disagi non può essere affrontato riduzionisticamente in maniera individuale,
addossando la colpa al singolo professionista sanitario. Questi processi di
elaborazione, quasi mai coinvolgono, i fattori storici e politici che
influiscono in maniera determinante sulla salute dei sanitari e rappresentano
le con-cause delle loro sofferenze. Se non si esprimono questi collegamenti, si
rischia di far soffrire e di far sopportare l’enorme drammaticità della
questione collettiva, come se fosse solo un problema di natura individuale,
astratta e sciolta dai legami con i fattori storico-politici contemporanei. Per
curare chi cura, servono percorsi di condivisione terapeutica, di socializzazione
e politicizzazione del dolore, per collegare quei disagi alla fase
storico-collettiva che viviamo e guarire con una terapia sistemica.
La terapia per fermare l’emorragia e il burnout che proponiamo al governo è
il rifinanziamento del fondo sanitario nazionale per reggere la concorrenza con
il privato. Le misure del governo per la sanità in manovra finanziaria sono,
per tornare ai paragoni con la clinica, come un antibiotico sottodosato per un
paziente in sepsi conclamata, ovvero nulle rispetto al fabbisogno.
Noi suggeriamo al ministro Schillaci la
tassazione degli extraprofitti delle case farmaceutiche per smaltire le
lunghissime liste d’attesa e rianimare il corpo professionale delle professioni
sanitarie.
NOTE
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