In questi giorni in provincia di Pavia si è proceduto all’uccisione di decine di migliaia di maiali (34.000 quelli già abbattuti, secondo la terminologia usata dai responsabili) perché alcuni focolai di peste suina negli allevamenti stanno portando le autorità a eliminare tutti gli animali presenti per evitare che il contagio si espanda: sani o malati fa lo stesso, come è ininfluente la certezza che gli umani non possono essere colpiti dal virus. Semplice prudenza, atta a proteggere la filiera alimentare, attuata con i metodi particolarmente spicci usati in questi casi: altro che stordimento preventivo.
La furia da abbattimento non ha risparmiato il Rifugio Cuori Liberi di
Sairano, dove le forze dell’ordine e i veterinari sono entrati di forza e hanno
ucciso i nove maiali lì ancora presenti: a nulla è valsa la resistenza portata
avanti per quindici giorni da attiviste e attivisti che hanno difeso
fisicamente gli animali presidiando senza sosta la situazione. Ci sono state
suppliche, richiamo alla compassione, sollecitazione a non obbedire a ordini
ingiusti, esortazione a esaminare soluzioni diverse: e senza sosta la
resistenza passiva delle persone, in buona parte donne, che hanno
frapposto i propri corpi tra le forze dell’ordine, in assetto di battaglia, e
gli animali minacciati. Per altro le richieste non potevano raggiungere i
veri responsabili: ministri, amministratori, vertici della sanità, che
gestiscono il potere a grande distanza, lasciando prudentemente allo scoperto i
“soldati semplici”, ultime pedine del gioco, per i quali le conseguenze
personali da pagare per un atto di disobbedienza sarebbero state
presumibilmente gravosissime. L’”operazione” si è conclusa con attacchi fisici
a chi stava opponendo resistenza passiva, e l’uccisione dei maiali ha avuto
luogo nella disperazione delle volontarie e dei volontari presenti e di tutti
coloro che hanno assistito a distanza agli avvenimenti grazie ai filmati
postati sui social: l’indignazione, il dolore, la rabbia sono dilagati a
macchia d’olio.
Per capire il senso di tutto questo è necessario un passo indietro, fino
alla nascita dei cosiddetti Santuari, collegati tra loro attraverso una rete,
sparsi in varie località soprattutto del nord e centro Italia: si tratta di
sorta di oasi che raccolgono e ospitano animali normalmente definiti da
reddito, quindi maiali, galline, capretti… salvati in vari modi dal destino
di morte a cui erano destinati, e portati a vivere una vita in libertà, nel
rispetto delle loro caratteristiche, protetti da qualsiasi forma di
sfruttamento. La loro individualità viene sancita anche dall’attribuzione di un
nome di battesimo, Pumba, Crusca, Freedom, Ursula… che li designa come
individui unici e non semplicemente appartenenti a una specie. Chi gestisce
questi luoghi li conosce uno per uno, sa dire delle loro caratteristiche e
della loro personalità, ne conosce le preferenze e i gusti, sa che possiedono
un’enorme ricchezza di capacità cognitive nonché un mondo interiore animato da
emozioni e sentimenti specie-specifici. Ed è sulla base di questa
conoscenza e della progressiva fiducia degli animali che si vanno stabilendo a
livello interspecifico rapporti affettivi, amicali, rispettosi, gioiosi:
molto simili, per intenderci, a quelli che si sviluppano tra un cane o un gatto
e il loro compagno umano.
Il grande significato che i Santuari hanno acquisito sta anche nel loro
essere testimonianza necessaria: esiste il modo, ed è questo, per conoscere
davvero gli animali nonumani, abbattendo la rappresentazione di comodo che ne
viene normalmente diffusa, che sempre li svilisce: non certo a caso, perché la
denigrazione delle vittime è sempre fondamentale per sdoganare il trattamento
di sfruttamento, tortura e morte che viene regolarmente loro destinato, per altro
nell’incredibile misconoscimento di tutte le progressive conoscenze degli
etologi. Meglio ignorare che si tratta di esseri senzienti, esposti senza
difese alle atrocità a cui vengono quotidianamente destinati, dotati di
autoconsapevolezza: non solo i mammiferi, categoria a cui anche noi umani
apparteniamo, ma gli uccelli, e anche invertebrati quali il polpo, che pure in
tantissimi continuano serenamente a trattare come gustoso ingrediente di
un’insalata. Molto più funzionale continuare a sostenere la rappresentazione
delle galline come stupide, dei maiali come sporchi, brutti e persino immorali
, delle oche…beh lo dice il nome stesso, come per altro degli asini o dei muli,
solo per citare. Riconoscerne le virtù o semplicemente la bellezza,
l’affettività, l’insospettato mondo di emozioni e sentimenti che li anima,
renderebbe decisamente più arduo continuare a trattarli come cose o esseri
spregevoli e quindi destinatari perfetti di tutto il male che viene fatto loro.
Come diceva l’etologo Mainardi
“anche il maiale possiede una sua
intelligenza, ha capacità sociali e affettive: ma preferiamo non venirlo a
sapere, perché quest’ignoranza indubbiamente ci facilita la digestione”.
Il gioco è facilissimo: tutte le istituzioni e le forme di comunicazione
procedono compatte nel sostenere una visione del mondo in cui gli animali
nonumani restano saldamente ancorati nella posizione dei senza diritti,
gli ultimi degli ultimi: vengono dopo i poveri che, diceva Anna Maria
Ortese, almeno qualche volta possono reagire. Il gioco è facilissimo
perché la moltitudine umana, anche quella non sadica e non brutale,
resta inerte magari non per cattiveria, ma in quanto immersa in uno stato delle
cose in cui la violenza è normalizzata, sistemica, ubiquitaria e quindi
neppure riconosciuta e le abitudini sembrano vivere di vita propria, senza
essere sottoposte a vaglio critico.
I Santuari, che la denominazione stessa ammanta di una dimensione
spirituale, si oppongono e abbattono il pensiero dilagante dando dignità
propria ai più diseredati: da alcuni mesi, si sono visti riconoscere uno status
che non li equipara più agli allevamenti, ma li definisce rifugi
permanenti che esercitano un’attività di ricovero degli animali, un
passo in avanti di cui però gli esperti hanno subito evidenziato i limiti
riscontrabili in una insufficiente tutela degli animali stessi: come i fatti di
questi giorni hanno drammaticamente confermato.
Gli animali ospitati nei Santuari sono i pochissimi individui salvati dalla
smisurata moltitudine di esseri messi al mondo per essere fecondati artificialmente,
obbligati alla innaturale separazione madre-figli; reclusi a vita in gabbie che
li immobilizzano; incatenati; costretti ai viaggi della morte; alimentati a
forza; frustati; spiumati; vivisezionati; cacciati; pescati; modificati;
estinti…: tutto lungo il filo di un orrore e di un raccapriccio che termina
solo con la morte; spesso nei macelli, sorta di inferno in terra per quei 65 miliardi di
esseri viventi uccisi ogni anno che diventano molto più del doppio se si
considerano gli abitanti delle acque, normalmente riconosciuti solo a peso:
riusciamo infatti a sfruttare tormentare e uccidere ogni anno un numero di
animali che corrisponde più o meno a venti volte il numero di noi umani: una
terra trasformata in un immenso mattatoio all’interno del quale si
applicano a norma di legge violenza, sopraffazione, crudeltà su esseri inermi.
I Santuari oltre al merito impagabile di mettere in salvo dall’orrore un
numero per quanto infinitesimale di individui, hanno anche quello di animare
una relazione con i dannati della terra, che abbatte il diritto del più forte
come bussola di ogni comportamento e gli sostituisce la possibilità di una
relazione in cui se superiorità umana esiste è solo per essere declinata come
responsabilità: come succede con i bambini, la cui fragilità non giustifica
abuso, ma pretende protezione.
A Sairano insieme alla vita di nove esseri viventi è stata violata la
sacralità del luogo e quell’idea di mondo pacificato che sprofonda le sue
radici nella convinzione che una buona società non può che escludere la
violenza in tutte le sue forme verso tutti gli esseri senzienti: lo
spaesamento, l’incredulità, lo sgomento che ne sono seguiti hanno ben ragione
d’essere perché l’ingiustizia, se accettata, non può che propagarsi e l’attesa
per quello che potrebbe presto tornare a succedere in qualunque altrove è
tenuta a bada solo dalla tensione verso una rivolta che non ha più tempo di
aspettare.
Mentre il cordoglio per Spino, Mercoledì e gli altri è ancora dolore
soffocante, il pensiero non può non andare a tutti quei milioni di altri
maiali, polli, visoni, oche, tacchini… che, nel silenzio generale vengono
regolarmente uccisi alle prime avvisaglie di una possibile epidemia: succede
sempre, è successo più e più volte durante l’epidemia del Covid anche in Europa
dove gli animali sono stati gasati, bruciati, sepolti vivi, perché le
condizioni aberranti di allevamento li rendevano vittime di sempre nuove
epidemie. Mai nelle alte sfere è stata preso in considerazione il
dovere di preoccuparsi delle cause, da ricercare nell’esistenza stessa degli
allevamenti: la soluzione è sempre stata lo sterminio degli animali, poi
sostituiti con altri, nel silenzio assenso della stragrande
maggioranza delle persone, prudentemente lasciate senza la necessaria
informazione, e comunque non raramente preoccupate, più che degli stermini in
atto, della salvaguardia delle proprie abitudini alimentari.
In tutto questo è forse venuto il momento anche per qualche riflessione sul
ruolo dei veterinari e delle veterinarie, fondamentale nel decidere le
soluzioni e i metodi che coinvolgono la vita e la morte degli animali, che sono l’oggetto
della loro professione. Professione che, nella testa della gente, dovrebbe
essere legata ad interventi di aiuto e di cura, ma nei fatti si esprime anche
nell’avvallo e nel sostegno di uno status quo fatto di repressione e morte di
quegli stessi individui. Il confine tra il prendersi cura e il condannare senza
appello non è sottile, come non lo è la differenza tra ritenersi al servizio di
animali bisognosi o invece della filiera della carne. Il pensiero va ad
altre professioni d’aiuto, quali la psichiatria, che per parte della sua storia
si è preoccupata non tanto di curare anime ferite e fragili, quanto piuttosto
di fornire giustificazione per ridurre al silenzio ogni dissidenza al potere,
ruolo da cui, nei regimi dittatoriali, non si è ancora del tutto affrancata: di
certo va dato atto della profondissima riflessione al proprio interno che ne è
derivata. Sarebbe auspicabile che anche i veterinari (come categoria, non certo
i singoli che ogni giorno curano e salvano animali di ogni specie) chiarissero
a chi proprio non riesce a concepirlo in che modo la cura degli animali e la
ricerca del loro benessere possa coniugarsi con l’attività di certificare e sostenere
come leciti gli interventi fatti su di loro in nome degli enormi interessi
economici coinvolti.
Tante le cose che stanno succedendo: non ultima la drammatica diffusione di
una forma di influenza aviaria persino nelle isole Galapagos,
arcipelago del Pacifico, reso famoso dal lavoro di Chaarles Darwin, considerate
scrigni preziosi di biodiversità del pianeta, terre dove condurre
l’osservazione della natura incontaminata. Bene, anzi malissimo: la
contaminazione le sta raggiungendo tra le enormi preoccupazioni degli studiosi:
nei paesi che le fronteggiano, Ecuador ma anche, un po’ più a
sud, Perù, già si è proceduto all’eliminazione di migliaia e
migliaia di volatili, mentre Manuel Delogu, veterinario del Servizio Fauna
Selvatica ed Esotica dell’Università di Bologna, dice che “il passaggio dagli
allevamenti alle specie selvatiche, ci conferma una volta di più che finché
permetteremo al virus di potersi sviluppare in grossi serbatoi come gli
allevamenti intensivi gli renderemo le cose più semplici per rafforzarsi in
natura”.
Oggi la distanza dalla soluzione delle smisurate sofferenze inflitte al
mondo animale e della stessa sopravvivenza della nostra specie è siderale
perché non può prescindere da ciò che non viene neppure preso in considerazione
vale a dire l’eliminazione di ogni allevamento sulla faccia della terra. Nel
nostro pur microscopico ruolo come singoli individui, non dimentichiamo la
responsabilità che ci compete nel dare un contributo allo stato delle cose, in
un senso o nell’altro, anche con le nostre quotidiane scelte,
alimentari e non.
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