Quali conseguenze comporta, dal
punto di vista sociale, culturale e politico, la scomparsa sempre più evidente
del “praticante” nella Chiesa cattolica? L’Occidente, o quel che ne resta, si
prepara a fare meno del cristianesimo? C’è ancora spazio per il messaggio del
“farsi prossimo”, a cominciare dai più fragili, contenuto nel cristianesimo?
Scrive Aluisi Tosolini, leggendo il nuovo libro di Brunetto Salvariani, Senza chiesa e senza Dio: “Per chi
fino a cento anni fa era portato a pensare che la chiesa avesse il compito di
convertire alla fede i non cristiani del sud e dell’est del mondo – magari
andando a braccetto con il colonialismo “civilizzatore” cui accompagnare un
processo “evangelizzatore” – si tratta di un brusco risveglio…”
Centro
sociale della Comunità delle Piagge di Firenze: un luogo di frontiera che da
trent’anni, tra le molte cose che fa, c’è anche cercare risposte alla domanda:
cosa significa oggi vivere la speranza e il grido di giustizia del messaggio
cristiano?
Premessa
doverosa: conosco da Brunetto Salvarani da decenni e con lui ho persino scritto
alcuni libri. Brunetto è un intellettuale poliedrico: ha insegnato
lettere alle scuole superiori; ha fatto l’assessore alla cultura a Carpi; ha
diretto la rivista CEM Mondialità; insegna da decenni Missiologia e Teologia
del Dialogo presso la facoltà teologica dell’Emilia Romagna e gli istituti di
scienze religiose di Rimini, Bologna e Modena; ha fondato nel 1984 con altri
giovani teologici “della bassa” la rivista Qol che ha come fulcro il dialogo
ebraico-cristiano-musulmano; è uno dei massimi conoscitori della dimensione
interreligiosa e interculturale e ha fatto parte dell’Osservatorio del
Ministero dell’Istruzione sull’educazione interculturale; ha pubblicato molti
saggi teologici centrati non solo sul tema del dialogo ma capaci anche di
spaziare lungo orizzonti più ampi (tra questi cito solo, sempre per i tipi di
Laterza, Teologia per tempi incerti – 2018 – e Dopo.
Le religioni e l’aldilà – 2020). Ebbene, a fine aprile è arrivato in
libreria il suo ultimo lavoro intitolato Senza chiesa e senza Dio.
Presente e futuro dell’occidente post-cristiano (Laterza, 2023): un
libro intenso, appassionato, che parte dalla consapevolezza ben espressa da
papa Francesco nel discorso alla curia romana per gli auguri di Natale del
2019: “Non siamo nella cristianità, non più! Non siamo più gli unici che
producono cultura, né i primi né i più ascoltati. Non siamo più in un regime di
cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte
dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune,
anzi viene spesso persino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata” (pag. 9
nota 14). È il tema dell’esclulturazione (processo opposto rispetto
all’inculturazione) che caratterizza l’oggi delle nostre società.
E già qui si
pone una prima questione radicale, che si riflette anche nel titolo:
l’occidente, nel suo futuro, può fare a meno della chiesa e del dio dei
cristiani? La mia personalissima risposta è semplice e radicale: sì, l’occidente (o
quel che ne resta, chiamiamolo post-occidente) può benissimo fare a
meno del cristianesimo nel suo futuro. Domanda conseguente: questo è un
bene o un male? Non lo so e tecnicamente immagino che per i non cristiani sia
un problema mal posto e decisamente insignificante. Per i cristiani, invece,
potrebbe trattarsi solo di imparare a tramontare. Con dignità. Perché come
Occidente siamo nella terra del tramonto, come diceva Ernesto Balducci.
Comunque
sia, Brunetto Salvarani affronta, lungo i diversi capitoli del volume, una
pluralità di questioni connesse alla domanda di base. Il capitolo 2 (“La fine
di un mondo”) discute di post-secolarizzazione e della
riduzione delle religioni de-culturate a puri e semplici prodotti di consumo
pret-a-porter.
Il capitolo
3 (“Da praticanti a pellegrini”) analizza la scomparsa del “praticante” e
del fatto che la tradizionale triplice associazione parroco-chiesa-villaggio è
stata infranta comportando la fine di un legame stretto e istituzionale tra
religione, società, cultura, processo di socializzazione. Nasce così il
pellegrino, ovvero il soggetto postmoderno, fluido e mutevole, che costruisce
da sé i significati della propria esistenza senza radicamento in istituzioni ma
facendo surf tra le diverse proposte spirituali. Caso specifico, in questo
contesto, sono poi i giovani che più che ostili sono proprio estranei alla
chiesa e alle sue dinamiche. Due mondi che viaggiano su binari con direzioni
diverse e nessun incrocio.
Il capitolo
4 (“Il condominio delle religioni”) analizza la compresenza e pluralità
di esperienze religiose in occidente con particolare attenzione da un
lato al fatto che la chiesa cattolica deve ormai concepirsi come minoranza
creativa (Benedetto XVI 2009) e dall’altro al cristianesimo come stile (per
dirla con il citatissimo teologo Christoph Theobald) e all’idea che
l’interazione tra diversi non deve portare all’uniformità ma deve essere letta
nella logica del poliedro in cui tutte le parti conservano una peculiarità e
specificità pur facendo parte di un’unità.
Il capitolo
5 si intitola “Il trasloco di Dio”. E già dice tutto. Girando infatti per paesi
e città italiane ed europee si potrebbe essere facilmente portati a pensare che
il tramonto di Dio è ormai cosa fatta. L’altro giorno ero a messa ad Antreola,
piccolissimo borgo dell’Appennino parmense, ed eravamo in 12 o 13, compreso il
sacerdote celebrante, e pensavo proprio a questo capitolo del volume di
Salvarani. Perché se Dio tramonta in occidente non significa, alla Nietzsche,
che è morto ma solo, in realtà, che Dio sta solo traslocando al sud del
mondo, alzando le vele dall’occidente che ha inventato la religione come
istituzione. E i dati che Salvarani elenca con precisione permettono di
farsi una idea precisa di questo trasloco nel sud del mondo. Con tutta una
serie di conseguenze sia sul versante teologico che missionario e
pastorale. Per chi fino a cento anni fa era portato a pensare che la
chiesa avesse il compito di convertire alla fede i non cristiani del sud e
dell’est del mondo – magari andando a braccetto con il colonialismo
“civilizzatore” cui accompagnare un processo “evangelizzatore” – si tratta di
un brusco risveglio. Che chiede di cambiare molti paradigmi.
Nel capitolo
6 Salvarani utilizza tutta la sua competenza biblica per ragionare attorno al
libro assente, ovvero sul fatto che la Bibbia, il Grande Codice, è
stato in realtà cancellato dalla cultura dell’occidente cattolico che
ne ha persino per secoli vietata la lettura (ma su questo mi permetto di
rimandare a un volume – e ad una collana editoriale – scritto da Salvarani e da
me per Claudiana intitolato/i Bibbia, Cultura, Scuola).
Nel capitolo
7 (“Quel che resta di Gesù”) Salvarani compie un appassionato viaggio nella
“ebraicità” di Gesù di Nazaret, “colui che insegna a vivere in
questo mondo con sobrietà, con giustizia e
con pietà” (Tt, 2,12), prefigurando una riconciliazione, nella
figura di Gesù, tra ebraismo e cristianesimo.
Il capitolo
8 (“Le nuove virtù teologali”) condensa la pars construens e di proposta del
volume. Si tratta di pagine dense, intense, profonde che indagano come fede,
speranza e carità possano e debbano ancora oggi costituire tracce per un
percorso di fede. Tra tutte le riflessioni quella che mi ha colpito di più
riguarda la speranza, il “che cosa possiamo sperare”. E mi ha colpito
soprattutto in riferimento al profeta Geremia, uomo di sventura,
perseguitato e non ascoltato dal popolo di Israele. Geremia è l’uomo che contro
ogni speranza compra un campo a Gerusalemme assediata così che poi, dopo la
distruzione della città e l’esilio a Babilonia, si possa tornare a quel campo
acquistato nel momento della distruzione. Ho sempre amato l’assurda fede e
l’immensa speranza di Geremia e credo che lui sia figura cruciale per credenti
consapevoli che il passato non tornerà e che per il futuro occorre attrezzarsi
ad essere lievito di speranza per gli altri e quindi anche per sé. La
carità–agape– amore viene poi perfettamente riassunta nella figura del buon
samaritano che Gesù utilizza per rispondere, alla maniera rabbinica – ovvero
ponendo una ulteriore domanda – a chi gli chiedeva “chi è il mio prossimo?”.
Il buon samaritano è anche il cuore della enciclica Fratelli
Tutti di papa Francesco che proprio partendo dalla parabola pone la
domanda cruciale e diretta rivolta ad ogni lettore dell’Enciclica: “Con chi ti
identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro
assomigli? Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di
disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo
cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e
sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo
abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni
finché queste non ci toccano direttamente” (FT 64). E così Salvarani può
chiudere facendo sue le parole di Theobald che si dichiara convinto che il
domani della forma ecclesiale in Europa dipenderà esclusivamente dalla capacità
delle nostre comunità di esercitare il ministero di Gesù Cristo in
modo tale che il vangelo possa raggiungere il cuore delle donne e degli uomini
di oggi: di riprenderne, quindi, l’opera di taumaturgico nel farsi
prossimo, soprattutto dei più svantaggiati (quelli che papa Francesco
chiama gli scartati dalla società).
Questa la
lezioni conclusiva: abbiamo bisogno di un nuovo pensiero, di un credere
ospitale, nella consapevolezza che dobbiamo prestare attenzione al kairos – al
tempo che viene e che non conosciamo già in anticipo – come sentinelle in
attesa dell’aurora. E allora stupenda è la chiusura utilizzata da Salvarani
facendo riferimento alla tradizione talmudica che conclude spesso una
discussione con la parola TEJKU, acronimo della formula “il tishbita Elia verrà
e deciderà”, ovvero… sospendiamo e aspettiamo, visto che non sappiamo tutto e
non ci è dato di conoscere tutto. TEJKU, allora, rispetto alla domanda sul
presente e sul futuro dell’occidente post cristiano o, meglio, sul
cristianesimo nel post-occidente.
In sintesi
un ottimo saggio, profondo, documentatissimo (al punto da poter costituire un
piccolo manuale di teologia contemporanea), arguto, capace di aprire moltissime
piste di riflessione e approfondimento.
Nessun commento:
Posta un commento