mercoledì 6 settembre 2023

L’Occidente post-cristiano - Aluisi Tosolini

 

Quali conseguenze comporta, dal punto di vista sociale, culturale e politico, la scomparsa sempre più evidente del “praticante” nella Chiesa cattolica? L’Occidente, o quel che ne resta, si prepara a fare meno del cristianesimo? C’è ancora spazio per il messaggio del “farsi prossimo”, a cominciare dai più fragili, contenuto nel cristianesimo? Scrive Aluisi Tosolini, leggendo il nuovo libro di Brunetto Salvariani, Senza chiesa e senza Dio: “Per chi fino a cento anni fa era portato a pensare che la chiesa avesse il compito di convertire alla fede i non cristiani del sud e dell’est del mondo – magari andando a braccetto con il colonialismo “civilizzatore” cui accompagnare un processo “evangelizzatore” – si tratta di un brusco risveglio…”

 

Centro sociale della Comunità delle Piagge di Firenze: un luogo di frontiera che da trent’anni, tra le molte cose che fa, c’è anche cercare risposte alla domanda: cosa significa oggi vivere la speranza e il grido di giustizia del messaggio cristiano?

 

Premessa doverosa: conosco da Brunetto Salvarani da decenni e con lui ho persino scritto alcuni libri. Brunetto è un intellettuale poliedrico: ha insegnato lettere alle scuole superiori; ha fatto l’assessore alla cultura a Carpi; ha diretto la rivista CEM Mondialità; insegna da decenni Missiologia e Teologia del Dialogo presso la facoltà teologica dell’Emilia Romagna e gli istituti di scienze religiose di Rimini, Bologna e Modena; ha fondato nel 1984 con altri giovani teologici “della bassa” la rivista Qol che ha come fulcro il dialogo ebraico-cristiano-musulmano; è uno dei massimi conoscitori della dimensione interreligiosa e interculturale e ha fatto parte dell’Osservatorio del Ministero dell’Istruzione sull’educazione interculturale; ha pubblicato molti saggi teologici centrati non solo sul tema del dialogo ma capaci anche di spaziare lungo orizzonti più ampi (tra questi cito solo, sempre per i tipi di Laterza, Teologia per tempi incerti – 2018 – e Dopo. Le religioni e l’aldilà – 2020). Ebbene, a fine aprile è arrivato in libreria il suo ultimo lavoro intitolato Senza chiesa e senza Dio. Presente e futuro dell’occidente post-cristiano (Laterza, 2023): un libro intenso, appassionato, che parte dalla consapevolezza ben espressa da papa Francesco nel discorso alla curia romana per gli auguri di Natale del 2019: “Non siamo nella cristianità, non più! Non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi né i più ascoltati. Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi viene spesso persino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata” (pag. 9 nota 14). È il tema dell’esclulturazione (processo opposto rispetto all’inculturazione) che caratterizza l’oggi delle nostre società.

E già qui si pone una prima questione radicale, che si riflette anche nel titolo: l’occidente, nel suo futuro, può fare a meno della chiesa e del dio dei cristiani? La mia personalissima risposta è semplice e radicale: sì, l’occidente (o quel che ne resta, chiamiamolo post-occidente) può benissimo fare a meno del cristianesimo nel suo futuro. Domanda conseguente: questo è un bene o un male? Non lo so e tecnicamente immagino che per i non cristiani sia un problema mal posto e decisamente insignificante. Per i cristiani, invece, potrebbe trattarsi solo di imparare a tramontare. Con dignità. Perché come Occidente siamo nella terra del tramonto, come diceva Ernesto Balducci.

Comunque sia, Brunetto Salvarani affronta, lungo i diversi capitoli del volume, una pluralità di questioni connesse alla domanda di base. Il capitolo 2 (“La fine di un mondo”) discute di post-secolarizzazione e della riduzione delle religioni de-culturate a puri e semplici prodotti di consumo pret-a-porter.

Il capitolo 3 (“Da praticanti a pellegrini”) analizza la scomparsa del “praticante” e del fatto che la tradizionale triplice associazione parroco-chiesa-villaggio è stata infranta comportando la fine di un legame stretto e istituzionale tra religione, società, cultura, processo di socializzazione. Nasce così il pellegrino, ovvero il soggetto postmoderno, fluido e mutevole, che costruisce da sé i significati della propria esistenza senza radicamento in istituzioni ma facendo surf tra le diverse proposte spirituali. Caso specifico, in questo contesto, sono poi i giovani che più che ostili sono proprio estranei alla chiesa e alle sue dinamiche. Due mondi che viaggiano su binari con direzioni diverse e nessun incrocio.

Il capitolo 4 (“Il condominio delle religioni”) analizza la compresenza e pluralità di esperienze religiose in occidente con particolare attenzione da un lato al fatto che la chiesa cattolica deve ormai concepirsi come minoranza creativa (Benedetto XVI 2009) e dall’altro al cristianesimo come stile (per dirla con il citatissimo teologo Christoph Theobald) e all’idea che l’interazione tra diversi non deve portare all’uniformità ma deve essere letta nella logica del poliedro in cui tutte le parti conservano una peculiarità e specificità pur facendo parte di un’unità.

Il capitolo 5 si intitola “Il trasloco di Dio”. E già dice tutto. Girando infatti per paesi e città italiane ed europee si potrebbe essere facilmente portati a pensare che il tramonto di Dio è ormai cosa fatta. L’altro giorno ero a messa ad Antreola, piccolissimo borgo dell’Appennino parmense, ed eravamo in 12 o 13, compreso il sacerdote celebrante, e pensavo proprio a questo capitolo del volume di Salvarani. Perché se Dio tramonta in occidente non significa, alla Nietzsche, che è morto ma solo, in realtà, che Dio sta solo traslocando al sud del mondo, alzando le vele dall’occidente che ha inventato la religione come istituzione. E i dati che Salvarani elenca con precisione permettono di farsi una idea precisa di questo trasloco nel sud del mondo. Con tutta una serie di conseguenze sia sul versante teologico che missionario e pastorale. Per chi fino a cento anni fa era portato a pensare che la chiesa avesse il compito di convertire alla fede i non cristiani del sud e dell’est del mondo – magari andando a braccetto con il colonialismo “civilizzatore” cui accompagnare un processo “evangelizzatore” – si tratta di un brusco risveglio. Che chiede di cambiare molti paradigmi.

Nel capitolo 6 Salvarani utilizza tutta la sua competenza biblica per ragionare attorno al libro assente, ovvero sul fatto che la Bibbia, il Grande Codice, è stato in realtà cancellato dalla cultura dell’occidente cattolico che ne ha persino per secoli vietata la lettura (ma su questo mi permetto di rimandare a un volume – e ad una collana editoriale – scritto da Salvarani e da me per Claudiana intitolato/i Bibbia, Cultura, Scuola).

Nel capitolo 7 (“Quel che resta di Gesù”) Salvarani compie un appassionato viaggio nella “ebraicità” di Gesù di Nazaret, “colui che insegna a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà” (Tt, 2,12), prefigurando una riconciliazione, nella figura di Gesù, tra ebraismo e cristianesimo.

Il capitolo 8 (“Le nuove virtù teologali”) condensa la pars construens e di proposta del volume. Si tratta di pagine dense, intense, profonde che indagano come fede, speranza e carità possano e debbano ancora oggi costituire tracce per un percorso di fede. Tra tutte le riflessioni quella che mi ha colpito di più riguarda la speranza, il “che cosa possiamo sperare”. E mi ha colpito soprattutto in riferimento al profeta Geremia, uomo di sventura, perseguitato e non ascoltato dal popolo di Israele. Geremia è l’uomo che contro ogni speranza compra un campo a Gerusalemme assediata così che poi, dopo la distruzione della città e l’esilio a Babilonia, si possa tornare a quel campo acquistato nel momento della distruzione. Ho sempre amato l’assurda fede e l’immensa speranza di Geremia e credo che lui sia figura cruciale per credenti consapevoli che il passato non tornerà e che per il futuro occorre attrezzarsi ad essere lievito di speranza per gli altri e quindi anche per sé. La carità–agape– amore viene poi perfettamente riassunta nella figura del buon samaritano che Gesù utilizza per rispondere, alla maniera rabbinica – ovvero ponendo una ulteriore domanda – a chi gli chiedeva “chi è il mio prossimo?”. Il buon samaritano è anche il cuore della enciclica Fratelli Tutti di papa Francesco che proprio partendo dalla parabola pone la domanda cruciale e diretta rivolta ad ogni lettore dell’Enciclica: “Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli? Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente” (FT 64). E così Salvarani può chiudere facendo sue le parole di Theobald che si dichiara convinto che il domani della forma ecclesiale in Europa dipenderà esclusivamente dalla capacità delle nostre comunità di esercitare il ministero di Gesù Cristo in modo tale che il vangelo possa raggiungere il cuore delle donne e degli uomini di oggi: di riprenderne, quindi, l’opera di taumaturgico nel farsi prossimo, soprattutto dei più svantaggiati (quelli che papa Francesco chiama gli scartati dalla società).

Questa la lezioni conclusiva: abbiamo bisogno di un nuovo pensiero, di un credere ospitale, nella consapevolezza che dobbiamo prestare attenzione al kairos – al tempo che viene e che non conosciamo già in anticipo – come sentinelle in attesa dell’aurora. E allora stupenda è la chiusura utilizzata da Salvarani facendo riferimento alla tradizione talmudica che conclude spesso una discussione con la parola TEJKU, acronimo della formula “il tishbita Elia verrà e deciderà”, ovvero… sospendiamo e aspettiamo, visto che non sappiamo tutto e non ci è dato di conoscere tutto. TEJKU, allora, rispetto alla domanda sul presente e sul futuro dell’occidente post cristiano o, meglio, sul cristianesimo nel post-occidente.

In sintesi un ottimo saggio, profondo, documentatissimo (al punto da poter costituire un piccolo manuale di teologia contemporanea), arguto, capace di aprire moltissime piste di riflessione e approfondimento.

da qui

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