Una strage che i media preferiscono non raccontare, dando conto di volta in volta dei singoli episodi di annegamento sulle cronache locali ma astenendosi generalmente dal denunciare il fenomeno a livello nazionale. E il pezzo del Messaggero che pubblichiamo di seguito rappresenta certo un’eccezione, ovvero, speriamo, la spia di un cambiamento nel senso di una presa di coscienza che non è un errore preavvertire i turisti dei rischi legati alle vacanze al mare in Italia.
Ogni anno
nel nostro Paese sono circa 400 i decessi in acqua: i numeri arrivano dalla
Società Italia di Medicina Ambientale (Sima). Nel mondo, i morti per
annegamento ammontano addirittura a 2,5 milioni nell’ultimo decennio. A
spiegarlo è il presidente Sima, Alessandro Miani: «Negli anni 60 si stimavano
in Italia circa 1.400 decessi per annegamento ogni anno, cifra che è andata
progressivamente a diminuire fino a stabilizzarsi dagli anni 90 in poi, con un
trend oramai costante pari a circa 400 incidenti fatali l’anno». A livello
mondiale la cifra sale a 236mila.
La maggior
parte degli incidenti avviene in mare aperto e nei fiumi, ma si contano casi di
decesso anche in piscine alte pochi centimetri, proprio come è successo al
piccolo morto pochi giorni fa in provincia di Catania. Ed era successo anche a
metà luglio, in provincia di Lecce: a Taurisano un bimbo di due anni, che era
in compagnia del fratellino, è annegato nella piscina di casa.
Le vittime
più frequenti degli incidenti, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità,
sono infatti i bambini che hanno tra 1 e 4 anni, seguiti da quelli di età
compresa tra 5 e 9 anni. Il 50,3% dei casi si verifica in mare, mentre il 41,3%
dei decessi avviene nelle acque interne e l’8,3% in piscina. Si stima che il
28% degli incidenti dipenda da malori improvvisi, il 15% da distrazione, il 14%
da cadute accidentali in acqua. […]
Una delle
cause principali di annegamento in laghi e fiumi è anche la bassa temperatura
dell’acqua, sottolinea inoltre Fulvio Ferrara, esperto dell’Osservatorio
nazionale annegamenti, istituito dal ministero della Salute nel 2017 per capire
le dinamiche degli incidenti.
«Nel 10% dei
circa 400 annegamenti che si verificano ogni anno in Italia, la causa
principale è la bassa temperatura dell’acqua: fino a 10 gradi centigradi in
meno rispetto a quella del mare». Il problema è lo sbalzo termico: «In molti –
continua Ferrara – dopo una lunga esposizione al sole con una temperatura
esterna che spesso tocca o supera i 33 gradi, si tuffano improvvisamente in
acque dove la temperatura è di 12 gradi, talvolta anche 6. Un errore che in
tanti pagano caro».
Ogni anno
vengono eseguiti 70mila interventi di salvataggio ed è fondamentale puntare
sulla prevenzione, promuovendo corsi di nuoto a partire dai 5-6 anni di età e
l’educazione all’acquaticità sin dai primissimi anni di vita.
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