L’umanità entra ormai nell’”Era dell’ebollizione mondiale”, avverte il
segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres il 27 luglio.
L’Organizzazione meteorologica mondiale e il servizio europeo sul cambiamento
climatico Copernicus avevano appena annunciato che il luglio 2023 stava
per diventare il mese più
caldo della storia dell’umanità. Questa ebollizione ha già
sprofondato nell’incubo 510 milioni di abitanti e tutti gli organismi viventi
nel bacino mediterraneo. Nelle ultime due settimane, gli incendi boschivi sono
infuriati in diversi paesi del Mediterraneo: Algeria, Grecia, Italia,
Tunisia, Spagna, Portogallo, Croazia… Le temperature hanno battuto record in
molte città: 49°C a Tunisi, 48,7°C C ad Algeri, 48,2°C a Jerzu (Sardegna),
47,8°C a Siracusa e 47°C e poi 52° a Palermo (Sicilia)…
Nel nord dell’Algeria, che ha preso fuoco più del solito, i 140 incendi non
sono stati completamente spenti e le perdite sono già pesanti. Almeno
trentaquattro persone, tra cui dieci soldati, hanno perso la vita. Centinaia di
case sono crollate, migliaia di ettari di foreste e raccolti, compresi alberi
da frutto, sono stati distrutti.
Nelle isole greche e nel centro del paese gli incendi si sono propagati ai
piedi delle abitazioni. Quattro persone sono morte, tra cui due vigili del
fuoco. 50.000 ettari di vegetazione sono stati bruciati, secondo
l’Osservatorio Nazionale di Atene. Dall’isola di Rodi, un “inferno in terra”
secondo gli abitanti, sono state evacuate 20mila persone. Stavros Ntafis,
fisico dell’Osservatorio nazionale di Atene, dice che l’area bruciata ha
superato i 45.000 ettari, il doppio rispetto allo scorso anno e il triplo
rispetto al 2020.
In Sicilia, questa settimana, cinque persone sono morte a causa
di gravi incendi. Le ondate di calore hanno sciolto le linee elettriche e
paralizzato temporaneamente il traffico stradale e le reti di telefonia mobile,
rendendo più difficile per i civili chiamare i soccorsi, dice Davide Faranda,
ricercatore del Laboratorio di Scienze del Clima e dell’Ambiente, che segue da
vicino le situazioni “catastrofiche” nella sua regione natale. “Gli incendi e
il caldo hanno causato mega-impatti, stiamo raggiungendo il limite dell’adattamento
agli estremi”, insiste.
Anche il mare bolle. Lunedì 24 luglio, l’Istituto di scienze
marine di Barcellona ha annunciato un valore medio di 28,71°C nel Mediterraneo,
la temperatura giornaliera più alta mai registrata. Nel Mar Ionio, al largo dell’isola
di Corfù (Grecia), i valori hanno raggiunto i 31°C, “inaudito”, secondo Stavros
Ntafis. “Non è solo un riscaldamento causato dalla variazione stagionale, la
temperatura di questo mare sta aumentando di anno in anno. Quello che sta
accadendo ci spaventa moltissimo”, avverte Sabrina Speich, oceanografa
dell’Istituto Pierre-Simon-Laplace e professoressa di geoscienze all’École
Normale Supérieure.
Gli estremi meteorologici sono il risultato diretto di due anticicloni
straordinari successivi, che hanno interessato quasi tutta la regione
mediterranea per più di due settimane. “È un fenomeno unico”, ha detto
Emmanouil Flaounas, climatologo presso il Centro ellenico per la ricerca
marina, che vive a Papagos, a nord-est di Atene. Di notte, la temperatura della
città rimane spesso sopra i 26°C, la soglia per le ondate di caldo fissata dal
servizio meteorologico greco.
Hotspot del deregolamento climatico
Il cambiamento climatico aumenta la frequenza di questi fenomeni estremi. Secondo l’ultimo
rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), su scala
globale, le ondate di calore che si verificavano una volta ogni dieci anni e
ogni cinquant’anni ora hanno la possibilità di riprodursi rispettivamente tre
volte e cinque volte. In uno studio pubblicato martedì 25 luglio, World Weather
Attribution, rete di ricerca internazionale specializzata nell’analisi di
eventi estremi, ha attribuito al cambiamento climatico le ondate di calore
vissute dall’Europa meridionale tra la seconda e la terza settimana di luglio.
La situazione nel Mediterraneo mostra ciò che il mondo potrebbe aspettarsi
con un riscaldamento globale di +1,5°C. Se le emissioni derivanti dalla
combustione di combustibili fossili hanno già aumentato la temperatura media
globale di quasi 1,2°C rispetto ai livelli preindustriali, il bacino del
Mediterraneo, dove i segnali del riscaldamento globale sono amplificati –
è un punto caldo del cambiamento climatico, come le regioni polari – si è già
riscaldato di 1,5°C.
E il futuro del bacino dipenderà dalla quantità di gas serra che l’umanità
si permetterà di emettere nell’atmosfera. Uno studio della Rete mediterranea di
esperti sui cambiamenti climatici e ambientali (MedCCC) indica che entro il
2100 la temperatura della regione potrebbe aumentare di ulteriori 0,5-6,5°C, a
seconda delle traiettorie.
Rischio di mancanza d’acqua
In Tunisia “le piante sono state bruciate e gli animali
hanno sofferto il caldo”, racconta Emna Gargouri, docente-ricercatore di
idrologia all’Università di Tunisi El-Manar, che vive nella capitale. Le foglie
degli ulivi chiudono le loro cellule per ridurre l’evapo-traspirazione a
discapito della produzione di fiori e frutti, mostrando così un aspetto
biancastro. Il caldo eccessivo ha portato le popolazioni locali in un circolo
vizioso: le interruzioni di corrente erano frequenti, spiega la ricercatrice,
“causate probabilmente da picchi di consumo di energia elettrica dovuti all’uso
dei condizionatori”.
È evidente anche la grave siccità che colpisce l’intero
paese, un problema a lungo termine aggravato dal caldo. A causa dei successivi
episodi di grave siccità dal 2016 e dell’allarmante deficit di
approvvigionamento idrico delle dighe – che potrebbe raggiungere il 66,1% in
alcuni punti – la fornitura di acqua potabile è stata interrotta dall’oggi al
domani dal 29 marzo 2023, riferisce.
A Marrakech, dove le temperature hanno raggiunto i 47°C, l’effetto più
eclatante delle altissime temperature è anche “la pressione sulle risorse”,
aggiunge Mohamed Elmehdi Saidi, professore all’Università Cadi-Ayyad (Marocco).
Questo “spinge lo stress idrico a livelli allarmanti, con il rischio di tagli
all’acqua corrente”, dice preoccupato l’idrogeologo.
Secondo Yves Tramblay, idrologo presso l’Istituto di ricerca per lo
sviluppo (IRD), gli scenari idrologici del Maghreb sono molto pessimisti. “I
paesi del Maghreb dipendono molto dalle dighe, soprattutto per le colture
agricole”. E aggiunge: “È catastrofico per le dighe”.
Il geografo tunisino Habib Ayeb, fondatore dell’Osservatorio della
Sovranità Alimentare e dell’Ambiente in Tunisia, è preoccupato per la
perdurante ingiustizia fatta al Sud: “Il Nord Africa non è solo un punto
caldo del caos climatico, è un punto caldo della colonizzazione. Ed è questa
colonizzazione che è in gran parte responsabile dei disastri che stiamo vivendo.
Le ondate di caldo estremo che travolgono la regione, gli incendi micidiali che
devastano il nord-est dell’Algeria, la siccità che batte record anno dopo anno
rivelano – secondo il ricercatore – ancora una volta le disuguaglianze Nord-Sud
che hanno le loro radici nella colonizzazione… Questo ci ha fatto precipitare
nel sottosviluppo e il capitalismo frenetico ci ha imprigionati”.
Per Habib Ayeb, “è ora di farla pagare ai Paesi del Nord, quelli che
inquinano il mondo, e che litigano se limitare il riscaldamento globale a uno o
due gradi, come se stessimo trattando la vendita di una buona volontà mentre
bruciamo”. Mentre in Nord Africa si aggravano le carenze idriche, risorsa
essenziale per la vita, egli indica “sprechi devastanti”: “Nei nostri tre
Paesi, Marocco, Algeria, Tunisia, ce n’è abbastanza per sfamare l’attuale
popolazione se smettiamo di sprecare acqua, pompandolo come se fosse olio per
irrigare colture esclusivamente destinate all’esportazione…”.
Pubblicato su Mediapart.fr (con il titolo
originale En Méditerranée, «ce qui se passe nous fait très peur»),
tradotto per Comune da Salvatore
Turi Palidda (collaboratore del giornale indipendente francese)
https://comune-info.net/mediterraneo-quello-che-succede-fa-molta-paura/
Nessun commento:
Posta un commento