Gardi Sugdub viene divorata dal Mar dei Caraibi. I 1.300 abitanti si sono mossi già dagli anni Novanta per traslocare sulla terraferma. Ma le autorità ritardano. La denuncia di Human Rights Watch, raccontata da Lucia Capuzzi su Avvenire.
L’Isola
del granchio, e il suo mare ora se la inghiotte
Gardi Sugdub, nella
lingua del popolo Guna che la abita, vuol dire ‘isola
del granchio‘. «Il Mar dei Caraibi trangugia, un boccone
alla volta, quest’isoletta grande quanto cinque campi da calcio con i suoi
1.300 abitanti, tutti indigeni del popolo Guna». Una parte di
questi nativi del litorale settentrionale di Panama si
rifugiarono là dopo la Scoperta-Conquista sulla rotta di Cristoforo
Colombo, quando gli europei invasero l’Istmo centramericano, per
sfuggire a schiavitù, abusi e malattie importate. E là, in questo frammento di
un arcipelago di 350 isolette di fronte a Gunayala, la
costa dei Guna, sono riusciti a difendere la propria autonomia e stile di vita.
Fino ad ora.
La nuova minaccia questa
volta viene dallo stesso oceano che per secoli ha alimentato i Guna, ed ora è
diventato avversario. Colpa del riscaldamento globale che provoca l’aumento del
livello dei mari mettendo a rischio la sopravvivenza delle terre che galleggiano
a pelo d’acqua.
Gardi
Sugdub affoga
Gardi Sugdub è una di queste. Solo
il suo cuore centrale ha un’altezza che sfiora a malapena il metro. Il resto
non ha scampo. Anche stando alle previsioni più ottimistiche del ‘Panel on
climate change’, e secondo i dati del ministero dell’Ambiente di Panama,
entro il 2050 questo tratto di Mar dei Caraibi crescerà di 0,27 metri. «I
bambini non hanno luoghi dove giocare, non c’è posto per costruire altre case
per i giovani che si sposano. Non abbiamo più spazio per vivere»,
dice Magdalena Martínez, 72 anni, nel rapporto-inchiesta
appena pubblicato da Human Rights Watch (Hrw). La
donna è stata fra le prime a dare vita già negli anni Novanta al Comitato di
vicini che ha guidato la comunità verso una scelta dolorosa quanto inevitabile:
il ricollocamento.
Dall’isola del granchio
alla valle dei nespoli
Un’idea pioniera in America, dove
Gardi Sugdub è tuttora il primo caso in fase di attuazione. La svolta nel 2010
quando, anche grazie all’aiuto dell’Ong svizzera ‘Dispacement solutions’.
I residenti hanno individuato e ripulito sulla terraferma di Gunayala un
luogo adatto, donato loro da altri nativi Guna. Negli anni successivi, grazie a
un accordo con il governo, quest’ultimo si è impegnato a costruire un ospedale,
una scuola e 300 abitazioni e a fornire le infrastrutture di base – acqua
potabile, sistema fognario, rete elettrico – per favorire il
trasferimento. Isperyala, ‘la valle dei nespoli’,
così si chiama la nuova terra degli abitanti di Gardi Sugdub sarebbe dovuta essere
inaugurata il 25 settembre. Ma purtroppo non accadrà. I ritardi sui lavori: la
clinica e l’edificio scolastico che dovevano essere attivi dal 2014 sono ancora
a metà. Il resto non va molto meglio. E la nuova data, promessa dall’esecutivo
per il febbraio 2024, difficilmente sarà rispettata.
Sull’isola
vivono 1.300 indigeni Guna
Nel frattempo, il mare continua a
ingoiare brandelli di Gardi Sugdub. La scuola locale, con 653 studenti, è al
massimo della propria capacità. E nemmeno i doppi turni risolvono il problema.
I ragazzi suppliscono alla mancanza di postazioni regolari sistemandosi sul
pavimento o sui cornicioni. In caso di forti venti o piogge, inoltre, le
lezioni vengono sospese per il rischio di inondazioni. Le famiglie estese
condividono gli stessi locali e l’affollamento fa sì che le malattie si
propaghino velocemente. È stato così con il Covid e ora con la tubercolosi.
Mentre il mare, sempre più invasiva, si infiltra nei tubi idrici, rendendo
l’acqua non potabile favorendo infezioni. Ma i Guna di Gardi Sugdub, però, non
cedono. In gioco non c’è solo il loro presente e futuro ma quello di centinaia
di altre comunità nel mondo.
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