E quasi commovente l’intervista rilasciata da Luciano Benetton al Corriere della Sera sabato scorso, con cui l’imprenditore italiano, annunciando il suo ritiro, dichiara di essere stato “tradito” dal suo amministratore delegato Massimo Renon, sotto la cui gestione si sarebbe verificato un “buco” di 100 milioni di euro, tenuto nascosto dal manager. Nel 2019 il patrimonio di Luciano Benetton stimato da Forbes ammontava a 2,8 miliardi di dollari, un motivo sufficiente a ritenere che il suo modo di pensare, al di là di qualsiasi cosa si possa pensare di lui e della sua azienda, sia molto diverso da quello di noi comuni mortali.
Difficile
parlare di Benetton senza ricordare le sue responsabilità nel crollo del Ponte
Morandi a Genova, 43 morti e 566 sfollati, sempre nel 2019. Il processo è
ancora in corso, ma l’ultima perizia di parte di Aspi (Autostrade per l’Italia,
ovvero coloro che dovevano provvedere alla manutenzione) ancora insiste
sull’imprevedibilità del crollo per sviare le accuse dalla mancata
manutenzione. A smentirla, le foto della Nasa, che dimostrano come fin dal 2015
il ponte si stesse deformando. Imprevedibile una beata ceppa, quindi.
A pagare per
il crollo, a parte i morti, i feriti e gli sfollati, è stato l’ex Ad di Aspi,
ovvero gruppo Benetton al momento della tragedia, Giovanni Castellucci
(condannato nel 2023 a sei anni di reclusione in appello per un’altra tragedia
stradale, la strage di Acqualonga del 2013 sull’A16, 40 morti). Più che pagare
lui hanno pagato i Benetton, con una buonuscita da 13 milioni di euro per
quest’altro bell’esponente dell’elite del management italiano.
Luciano
Benetton è uno che “chiagne e fotte” (piange, mentre ti distrae e così ti
frega) spesso, come dimostra anche questa intervista, o esempio di marketing
aziendale, in quella matassa indiscriminata d’interessi tra stampa italiana e
stanze del potere economico. Nel novembre 2019 Luciano Benetton, invia una
lettera ai maggiori quotidiani italiani in cui parla di “campagna d’odio” che
si è scatenata sulla sua famiglia, definisce i Benetton “parte lesa” rispetto
alle vicende di Genova perché “nessun componente della famiglia Benetton ha mai
gestito Autostrade”. L’ipocrisia al potere.
Ma torniamo
all’intervista di Benetton al Corriere della Sera. Il gruppo Cairo è
proprietario del Corriere della Sera tramite Rcs, la stessa Rcs che aveva
venduto nel 2013, prima di Cairo, per 120 milioni di euro il complesso
immobiliare di Via Solferino/Via San Marco/Via Balzan, storica sede del
Corriere della Sera, al Fondo Blackstone Group, un fondo Usa attualmente
alleato con i Benetton per l’Opa su Atlantia, che si occupa d’infrastrutture
stradali, in precedenza proprietaria di Autostrade per l’Italia, venduta da
Atlantia dopo la tragedia del Ponte Morandi. Cairo dopo averlo denunciato
ricucì i rapporti con il fondo Blackstone, che nel frattempo aveva venduto per
300 milioni di euro a un’altra società l’immobile, per ricomprare alla fine lo
stesso complesso a 70 milioni di euro. Cairo/Rcs/Corriere della Sera,
Benetton/Atlantia/Blackstone, i favori si restituiscono.
Nell’intervista
Benetton denuncia Il piano triennale per il pareggio, che doveva concludersi
nel 2023, è fallito. Benetton denuncia un atteggiamento “arrogante e poco
capace” dei nuovi dirigenti e segnala gravi problemi finanziari: “Presentano
improvvisamente un buco di bilancio drammatico, uno shock da 100 milioni di
euro”.
“Guardi –
dice a proposito del suo management Benetton – o sono impreparati al punto da
non saper comprendere i fondamentali dell’azienda, quindi in buona fede ma
gravemente inadeguati agli incarichi che hanno ricoperto, oppure hanno deciso
volontariamente di tenere nascosta la realtà dei fatti quindi omettendo
informazioni preziose, fino al punto in cui non hanno più potuto nascondere la
verità. Ci sarà un’investigazione a riguardo”.
Con le
lacrime agli occhi verrebbe voglia di lanciare una colletta per aiutare
Benetton. Salvo poi andare a rileggersi il bilancio 2022 del Benetton Group:
fatturato di 1.004 milioni di euro (+19% sul 2021), 103 milioni di euro di
margine operativo lordo, 81 milioni di euro di perdita. Quindi, per quelle
quattro operazioni di matematica che ricordiamo fin dalle elementari, le
perdite e il buco in bilancio di Benetton è ben superiore ai 100 milioni di cui
parla Luciano Benetton. Il debito finanziario di Edizione, l’holding
finanziaria controllata dalla famiglia Benetton, si aggira invece intorno agli
8 miliardi di euro.
Un altro
Benetton, Alessandro, presidente di Edizione, individuato come successore
proprio dal padre Luciano, a gennaio di quest’anno parlava con entusiasmo del
2023 come “Un anno eccezionale di innovazioni e nuove traiettorie”. Che in un
certo senso, se è vero quel che dice il padre sul buco da 100 milioni, è anche
vero, seppur in negativo. In una lunga intervista rilasciata sempre al Corriere
della Sera, guarda tu il caso, nel marzo scorso, Candida Morvillo gli chiedeva:
“Il passaggio generazionale sta risultando devastante per altri grandi famiglie
come gli Agnelli o i Del Vecchio, come avete fatto voi a fare a non tirarvi i
coltelli?”. rispondeva Benetton figlio: “Il galateo mi suggerisce di non
parlare degli altri. Da tecnico che ha seguito molti passaggi generazionali,
soprattutto nella piccola e media impresa, credo che il segreto stia nell’usare
strumenti giusti per separare l’eredità economica e la responsabilità che ti dà
l’essere influente sulla vita di tante persone”. Al contrario tutto bene in
casa Benetton, asserisce il sessantenne Alessandro.
Parliamo di
marzo, non dell’anno scorso o di dieci anni fa. Fino a due mesi fa quindi
dobbiamo pensare che il Presidente di Edizioni fosse all’oscuro del buco da
cento milioni di euro di cui parla il padre. Ma lo stesso Luciano sostiene che
questa situazione è diventata nota all’interno del gruppo fin dal settembre
2023. Quindi o il presidente di Edizioni è un po’ tardo a capire oppure, come
spesso accade all’interno della famiglia Benetton, non la racconta giusta.
Bugie e
controversie dei Benetton, anche mettendo da parte il marchio dell’infamia del
Ponte Morandi, difficile da rimuovere, non sono cosa nuova. Secondo la Guida al
vestire critico, Centro nuovo modello di sviluppo, 2006, Edizione Missionaria
Italiana “Benetton ottiene parte dei suoi prodotti da terzisti localizzati in
Cina, paese che vieta ogni libertà sindacale”. C’è poi la vicenda
dell’acquisizione nel 2003 di The Argentine Southern Land Company Limited, che
aveva la proprietà di circa 900 000 ettari di Patagonia. Parte di questa terra
è rivendicata dal popolo Mapuche, costretto a vivere in una striscia di
territorio sovraffollato, diventata manodopera a basso costo. Benetton ha
tentato di rifarsi la verginità donando alla provincia argentina del Chubut
ottomila ettari di terra, ricevendo un netto rifiuto da parte governatore.
Va poi
ricordato il crollo del Rana Plaza di Savar nel 2013 a Dacca, in Bangladesh con
381 morti. Secondo alcune fonti lì, avrebbe avuto sede una delle fabbriche
tessili a cui la Benetton appalta i suoi lavori. L’associazione Campagna Abiti
Puliti ha accusato Benetton di non controllare le condizioni di sicurezza delle
aziende cui affida la gestione dei loro prodotti. Infine anche sul sistema di
vendita di Benetton sono sorte diverse controversie. Il gruppo impone alla rete
di negozi in franchising che vendono i prodotti del suo marchio obiettivi di
vendita svincolati dall’andamento della domanda di settore. I titolari sono
tenuti a garantire un determinato livello minimo di forniture e di
assortimento, a prescindere dalle reali probabilità di vendita a prezzo pieno e
a saldo. In sostanza l’invenduto resta ai dettaglianti. Della questione si è
occupata l’Antitrust, ipotizzando un abuso di dipendenza economica. Il Gruppo Benetton
è anche stato sanzionato dal Garante della privacy italiano, per aver trattato
illecitamente i dati personali di un numero piuttosto rilevante di clienti ed
ex clienti del servizio di e-commerce.
Potremmo
andare avanti a lungo, ma è evidente che le belle e innovative fotografie di
Oliviero Toscani non bastano più a coprire il fallimento etico, visto che
quello economico sembrebbe alle porte, di un’azienda “modello” del capitalismo
italiano, basata sulla favola del buon Luciano figlio di operai che dal nulla
crea posti di lavoro e un’immensa ricchezza. Anzi, siccome siamo persone serie
e non cediamo al semplicismo populista, è vero che Luciano Benetton ha avuto
una grande capacità nell’impiantare la sua azienda. La verità della sua
parabola però sta nel fallimento della gestione finanziaria, non da oggi, che è
comune a tutte le imprese italiane e multinazionali. Anche se quello che noi
definiamo fallimento, è l’essenza stessa del capitalismo attuale, il nulla
fondato non soltanto sul nulla di azioni e titoli ma sulla pelle di milioni di
persone in tutto il mondo.
La
produzione che trascende la materialità dei prodotti, trasformandosi in scambi
digitali le cui regole non sono le stesse che regolano la vita della società
civile e in cui oggi la criminalità organizzata ha una capacità d’intervenire e
dettare le regole stesse senza nemmeno correre il rischio di violare la legge
perchè è la legge. Non è stato tradito come afferma, Luciano Benetton, è
semplicemente rimasto vittima di un sistema economico truffaldino a cui lui
stesso ha fornito le chiavi per entrare.
https://diogeneonline.info/quando-i-ricchi-piangono-benetton-e-la-poverta-del-capitalismo-italiano/
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