Ormai la letteratura sulla crisi del nostro sistema scolastico è sterminata, ognuno ne analizza le cause da diverse angolazioni ma la conclusione è sempre la stessa, la nostra scuola resta la “grande disadattata” di cui scriveva Bruno Ciari negli anni ’70 del secolo scorso. Istat, Invalsi, Ocse e tutti i rapporti di Education at a Glance ormai da decenni denunciano i mali di cui soffre il nostro sistema formativo a cui mai nessun governo ha però pensato di porre seriamente rimedio.
La macchina dell’istruzione, oggi, contro le sue intenzioni, è diventata un
formidabile amplificatore delle diseguaglianze. Per saperlo non
avevamo certo bisogno del tempismo editoriale della Nave di Teseo che
in occasione del salone del libro di Torino, pubblica Il danno
scolastico, con il sottotitolo significativo: “La scuola progressista
come macchina della diseguaglianza”. Opera a quattro mani del sociologo Luca
Ostillio Ricolfi e signora, l’ex professoressa Paola Mastrocola.
Una operazione commerciale che porterà vantaggio alle casse
della casa editrice, ma che nulla aggiunge alle riflessioni necessarie per
risollevare dal disastro il sistema formativo del nostro paese. Anzi, i
topos sono sempre gli stessi di quella cultura nostalgica che non riesce a
distogliere gli occhi dal passato e che non sa guardare avanti.
La rovina della scuola avrebbe avuto inizio nel lontano 1962 con il governo
Fanfani IV e con Aldo Moro ministro dell’istruzione. Da lì
nascerebbe il vulnus della scuola media unica, quella senza latino,
vulnus alla scuola severa e rigorosa, alla scuola delle bocciature, alla
scuola dei maestri e dei professori di una volta (per non parlare della zia Ebe
di Ricolfi), quelli che erano autentici formatori, di cui si è persa ogni
traccia. Poi è stato tutto un precipitare attraverso il ’68, don Milani
e Barbiana, l’abolizione del maestro unico, Luigi Berlinguer fino ai giorni
nostri, senza salvare nulla e nessuno.
Tutto questo si vuole ora dimostrare, fornendo i dati della ricerca
sociologica. Viene il sospetto che i nostri autori in questi anni
abbiano vissuto dentro la bolla delle loro convinzioni, senza mai
affacciarsi fuori per cui non si sono accorti che ben altri dati assai
drammatici andavano disegnando lo stato critico del nostro sistema formativo.
Così nell’intervista rilasciata al Giornale in data 15
ottobre, il sociologo Ricolfi si dimostra disarmato, la china è talmente scesa
in basso che è impossibile risalirla, sostiene, ormai non resta altro che
lo strumento della provocazione.
È che la scuola progressista non c’è, non c’è mai stata, la vedono
solo Ricolfi e sua moglie nelle loro allucinazioni. Di Barbiana ce
n’è stata una sola e la scuola statale ha continuato a funzionare inalterata nel
suo impianto che risale ai tempi della legge Casati e della riforma Gentile.
Con i licei, gli istituti tecnici, fino agli istituti professionali ricettacolo
di ogni fallimento scolastico e sociale. Un convivere di vecchio e nuovo, con
il vecchio che non è mai scomparso e il nuovo che non è mai diventato nuovo. La
scuola dell’ibrido, organizzata per ordini, direzioni, cattedre, discipline e
scrutini, radicata nel passato ma sempre precaria come il suo personale.
Del resto lo stesso Ricolfi (docente universitario) lo riconosce
implicitamente, quando sostiene che: “Però ci sono delle regolarità: se uno
studente prende un voto alto, ma non 30 e lode, posso solo indovinare che quasi
certamente non ha fatto né il liceo sociopsicopedagogico né il liceo
linguistico. Se prende 30 e lode, invece, vado a colpo sicuro: ha fatto il
classico”.
È vero che la nostra scuola dell’inclusione, grande conquista degli
anni ’70, non è in grado di colmare gli svantaggi, che il successo
formativo è ancora un fallimento, perché spesso alle promozioni non
corrispondono le competenze. Ma le cause non sono quelle sostenute da Ricolfi e
Mastrocola, non sono dovute a una classe docente non più severa perché
sopraffatta dalla cultura progressista e dai suoi slogan: “la scuola
dell’obbligo non può bocciare”, il “diritto al successo formativo” che hanno
trovato negli studenti e nelle famiglie (nonché nei media) un terreno
fertilissimo su cui prosperare”. Le cause sono la povertà storicamente
cronica delle nostre scuole, lasciate senza risorse per combattere
gli svantaggi, per consentire i recuperi, per lottare contro la dispersione,
per garantire la formazione continua degli insegnanti. Risorse
finanziarie, umane, di mezzi, di strutture e di spazi a causa di quella stessa
cultura dei Ricolfi e Mastrocola che ha governato il paese per oltre vent’anni,
dalla Moratti alla Gelmini, anche loro però accusate dai nostri autori di aver
ceduto al virus del progressismo educativo. Ognuno ha il suo deserto dei
Tartari, la sua fortezza Bastiani da presidiare.
Infatti l’ipotesi della scuola progressista dannosa in quanto produttrice
di diseguaglianze, la cui dimostrazione Paola Mastrocola affida ai dati
della Fondazione Hume del marito Ricolfi, ha un solo
obiettivo, sempre quello: dimostrare il fallimento della scuola
statale.
Per gli autori, la scuola dello Stato è alla deriva, ormai non è più
recuperabile. Non resta che la soluzione prospettata vent’anni fa, nel lontano
febbraio 2001, da Giuseppe Bertagna, Dario Antiseri e Ferdinando Adornato tra i
sottoscrittori dell’Appello per la scuola della società civile: “Una
scelta decisiva e non più rinviabile …consiste nell’abbandonare il modello
statalista ancora dominante nel nostro Paese, per fare spazio ad un nuovo
assetto fondato sulle espressioni più vive e dinamiche della società civile. In
tal senso va favorito il passaggio del sistema dell’istruzione e della
formazione da organismo dello Stato a strumento a servizio della società
civile”.
Pare però che in tutti questi anni i nostri intellettuali si siano
dileguati e, in buona compagnia di Ricolfi e Mastrocola, non si siano
accorti che siamo entrati in un secolo del tutto nuovo e che le loro ricette
della nonna o della zia per i nostri figli non sono buone neppure per farci un
solo giorno di scuola.
Docente, formatore, già dirigente scolastico, Giovanni Fioravanti vive a
Ferrara. Un archivio dei suoi articoli è consultabile in questo link. Il suo ultimo libro è Scuola e apprendimento
nell’epoca della conoscenza (Armando ed.), di cui è possibile leggere
un paragrafo qui: La scuola e il respiro del quartiere.
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