La tragica
vicenda del giovane che a febbraio si è suicidato nel Cpr di Ponte Galeria
illumina una violenza di sistema iniziata ben prima della detenzione senza
reato: astruse scelte amministrative, omissioni e plurime indifferenze verso la
fragilità. “L’irrazionalità della normativa è il problema”, spiega Gianfranco
Schiavone
Sono passati
diversi giorni dal suicidio di Ousmane Sylla avvenuto nel Centro di permanenza per il
rimpatrio di Ponte Galeria, a Roma, ma proprio ora che c’è una certa distanza da
quei fatti è necessario ragionare a fondo su una tragedia che, ancor più di
altre, mette in luce la dimensione iniqua e violenta del sistema delle
espulsioni e dei trattenimenti in Italia e nello stesso tempo impone una
riflessione sull’irrazionalità della normativa italiana sull’immigrazione. È a
quest’ultima infatti che dobbiamo guardare per comprendere ciò che è accaduto e
capire cosa deve essere modificato con la massima urgenza.
Ousmane
Sylla era nato il 3 marzo 2002 in Guinea ed era arrivato in Italia da minore
non accompagnato: l’intera sua famiglia, genitori, sorelle e fratelli sono
rimasti in Guinea dove tuttora si trovano. Da minore non accompagnato ha
vissuto in una comunità a Ventimiglia e da neomaggiorenne in una struttura a
Cassino dove si sarebbero verificati diversi problemi nella relazione con la
struttura di accoglienza che non sono in grado di valutare con i dati di cui
dispongo.
Ousmane
viene espulso con provvedimento del 13 ottobre 2023 dal prefetto di Frosinone,
all’età di 21 anni, entrando così nel meccanismo infernale dell’irregolarità,
dell’espulsione e poi della detenzione senza reato. Nessuna condanna penale
risulta a suo carico. Perché tutto ciò è accaduto? La norma prevede che il
neomaggiorenne, per mantenere la sua regolarità di soggiorno, debba a 18 anni
convertire il suo permesso di soggiorno in “studio” o “lavoro”. In alternativa
risulta possibile applicare la cosiddetta misura del “prosieguo amministrativo”
previsto all’art. 13 della legge 7 aprile 2017, n. 47, detta anche “Legge
Zampa” (che molti vorrebbero cancellare o quanto meno ridurne la portata) che
dispone che “quando un minore straniero non accompagnato, al compimento della
maggiore età, pur avendo intrapreso un percorso di inserimento sociale,
necessita di un supporto prolungato volto al buon esito di tale percorso
finalizzato all’autonomia, il tribunale per i minorenni può disporre, anche su
richiesta dei servizi sociali, con decreto motivato, l’affidamento ai servizi
sociali, comunque non oltre il compimento del ventunesimo anno di età”.
Pur
nell’ampiezza del dettato normativo il prosieguo amministrativo rimane una
misura discrezionale fortemente dipendente da volontà politiche locali e dalla
presenza o meno di risorse economiche per proseguire l’accoglienza del neo
maggiorenne e quindi viene molto spesso centellinata in modo da garantirla solo
ai casi più meritevoli. Possiamo supporre (ma non ne abbiano certezza) che
Ousmane abbia avuto accesso al prosieguo amministrativo conclusosi a inizio
marzo 2023 o forse anche prima per problemi sorti all’interno della comunità di
accoglienza e sia scattato nei suoi confronti il meccanismo del cosiddetto “automatismo
espulsivo” previsto dall’art. 13 del Testo unico sull’immigrazione che impone
che siano inflessibilmente espulsi quegli stranieri che non sono riusciti a
mantenere i requisiti iniziali dell’ingresso o, se, come Ousumane, sono
arrivati in Italia come minori non accompagnati, non sono stati in grado di
convertire il permesso di soggiorno in studio (ma con quale reddito farlo?) o
più generalmente in lavoro autonomo o subordinato, disponendo dunque di un
lavoro abbastanza stabile o comunque tale da produrre un buon reddito annuo,
nonché di una idonea abitazione attestata da regolare contratto di affitto. La
domanda che ci dobbiamo porre è: quanti ragazzi italiani di anni 18 o di 21
sarebbero in grado di disporre di tali requisiti?
La normativa
è completamente rigida e non tiene conto del fatto che il neomaggiorenne
straniero, al pari di un numero crescente di coetanei italiani, possa trovarsi
in periodi di prolungata incertezza di reddito e di lavoro. In tal modo un
ragazzo pur radicato in Italia viene subito di fatto “clandestinizzato” e
gettato, con burocratico zelo, in una condizione di marginalità e disperazione.
Si tratta di una strada senza ritorno perché la perdita del permesso di
soggiorno è, per la nostra normativa, un fatto irreversibile e non sanabile,
salvo che non intervenga una benevola sanatoria o, nel rispetto del diritto
alla vita privata sancito dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti
dell’Uomo (Cedu), il cittadino straniero, nell’ambito di una procedura di
riconoscimento del diritto d’asilo (la possibilità di un’istanza diretta al
questore per una più snella verifica dei requisiti è stata cassata dalla legge
50/2023, che ha convertito il cosiddetto “Decreto Cutro”) possa dimostrare di
avere un adeguato grado di radicamento nel territorio nazionale sulla base di
indici quali la durata della sua permanenza e il percorso sociale effettuato in
Italia.
È probabile
che Ousumane sia rimasto, come tanti altri, un giovane senza nessuno a cui
appoggiarsi e che la procedura di cui sopra non sia mai stata esperita finché
è, appunto sopraggiunta inesorabile l’espulsione amministrativa che colpisce
ogni anno diverse decine di migliaia di stranieri (36.770 nel 2023 secondo i
dati forniti dal Dossier statistico immigrazione) su un numero imprecisato, ma
elevatissimo, di irregolari che, secondo i dati forniti dal XXVIII Rapporto
sulle migrazioni 2022 della Fondazione Ismu si attesta intorno alle 506mila
persone.
I
provvedimenti di espulsione colpiscono dunque una minima parte degli irregolari
e il lettore si chiederà se, di fronte a una evidente sproporzione tra le
persone da espellere e le espulsioni comminate, la norma o almeno la prassi
prevedano dei criteri di priorità e di proporzionalità. La risposta è no. Nella
loro assoluta cecità e automatismo le espulsioni avvengono in modo del tutto
casuale: verrà raggiunto dal provvedimento di espulsione lo straniero più
visibile, quello che ha “dato fastidio” a qualcuno, quello che viene segnalato
da qualche solerte cittadino, quello che incappa in un controllo e così avanti.
Non si tratta di un’irrazionalità conseguente a qualche recente modifica
normativa, bensì di una caratteristica presente da sempre nella normativa in
materia di immigrazione. Già nel 2008 la cosiddetta Commissione De Mistura (dal
nome del suo presidente), creata dal ministero dell’Interno per operare un
monitoraggio della situazione di tutti i centri italiani (sia i centri di
accoglienza sia di espulsione) osservava che “nella legislazione vigente la
gran parte delle condizioni di irregolarità di soggiorno trovano come unica
risposta l’espulsione. Si genera una spirale caratterizzata dalla produzione
continua di provvedimenti espulsivi che risultano ben difficilmente eseguibili
sia in ragione del loro numero eccessivo, sia in ragione del generarsi di un
circolo vizioso di contrapposizione tra la Pubblica amministrazione e lo
straniero” per concludere che “l’approccio normativo complessivo al fenomeno
andrebbe profondamente modificato riconducendo l’espulsione alla sua natura di
provvedimento necessario da applicarsi come ultima ratio, laddove tutte le
altre possibilità di regolarizzare si siano rivelate in concreto non
possibili”.
Sono passati
15 anni da allora ma quasi nulla è cambiato nell’irrazionale, iniqua e
inefficiente normativa italiana sui soggiorni, e quindi sulle espulsioni.
Nella sua
settima Relazione al Parlamento, presentata a giugno 2023, Mauro Palma, Garante
nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, ha
delineato un quadro accurato e sconfortante sull’inutilità delle strutture di
trattenimento/detenzione amministrativa degli stranieri: “I dati che vengono
descritti nella parte tabellare di questa Relazione sono eloquenti perché
indicano che delle 6.383 persone che nel 2022 sono state ristrette nei Centri
di permanenza per il rimpatrio (Cpr) soltanto 3.154 sono state effettivamente
rimpatriate. Il totale dei rimpatri è stato peraltro molto limitato: 3.916,
principalmente in Tunisia (2308), in Albania (58), in Egitto (329), in Marocco
(189), numeri piccoli rispetto al clamore frequente delle intenzioni dichiarate
[…]. Si è trattato, quindi, di una sottrazione di tempo vitale non giustificata
di fatto dalla finalità che il primo comma dell’articolo 5 della Convenzione
europea per i diritti umani assume come previsione per la privazione della
libertà e che la stessa Direttiva europea sui rimpatri del 2008 (la direttiva
Ce/115/2008) ritiene non accettabile perché non caratterizzata da una credibile
possibilità di attuare il rimpatrio. Del resto, il dato si è dimostrato non
correlato alla possibile durata del trattenimento nei Cpr, perché pur in
periodi diversi in cui essa è oscillata considerevolmente, la percentuale di
rimpatri non ha mai raggiunto il 60% delle persone ristrette anche per lungo
tempo in tali strutture”.
Il grado di
efficacia del sistema degli allontanamenti e dei rimpatri coattivi non va
tuttavia solo valutato in relazione alla assai ridotta percentuale della
esecuzione degli allontanamenti di coloro che sono trattenuti nei Cpr, bensì va
valutata nel suo complesso, ovvero gli allontanamenti vanno posti in relazione
al numero di espulsioni comminate e, prima ancora, al numero degli stranieri
irregolari, tutti astrattamente espellibili. Il risultato è scioccante: uno
straniero irregolare su cento viene espulso tramite il tremendo meccanismo
della cosiddetta detenzione amministrativa.
Come ha
fatto per le espulsioni, il lettore, dopo aver appreso che il meccanismo delle
espulsioni è cieco, si chiederà se almeno nel decidere chi trattenere nei Cpr,
sussista una norma e una prassi rispondente a principi di proporzionalità e di
ragionevolezza. La normativa sul punto dispone che “il trattenimento dello
straniero di cui non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione o il
respingimento alla frontiera è disposto con priorità per coloro che siano
considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica o che siano stati
condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati di cui all’articolo
4, comma 3, terzo periodo, e all’articolo 5, comma 5-bis, nonché per coloro che
siano cittadini di Paesi terzi con i quali sono vigenti accordi di cooperazione
o altre intese in materia di rimpatrio, o che provengano da essi” (Testo unico
sull’immigrazione, art. 14 co.1.1).
Se in
astratto la norma prevede dunque che il trattenimento avvenga con priorità per
le situazioni in cui sussiste un profilo di sicurezza pubblica, o, con
discutibile diversa logica, nei casi in cui gli stranieri da trattenere siano
cittadini di paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi di rimpatrio,
nella realtà non accade nulla di tutto ciò. I Cpr sono pieni di stranieri
espulsi e trattenuti secondo modalità del tutto casuali, così come casualmente
sono stati espulsi: la tragica storia di Ousumane Sylla lo dimostra. Un ragazzo
giovane pure incensurato (altro che pericolosità sociale) e pure proveniente da
un Paese con il quale l’Italia non ha accordi per il rimpatrio.
È sempre
stato così poiché nell’oscuro e violento mondo della detenzione amministrativa
nulla cambia con lo scorrere del tempo. Di nuovo, la Commissione De Mistura 15
anni fa: “La presenza, all’interno dei centri, di situazioni diversissime tra
loro, sia sotto il profilo giuridico sia sotto quello dell’ordine pubblico
nonché della condizione umana e sociale delle persone trattenute. Tale
mescolanza, esasperata dalla elevata presenza di ex detenuti penalizza in modo
particolare gli stranieri a cui carico sussistono solo provvedimenti di
allontanamento conseguenti alla perdita di regolarità di soggiorno, nonché di
persone più deboli e vulnerabili che sono esposte ad un clima di costante
tensione e potenziale intimidazione interna ai centri”.
Il giovane
Ousmane Sylla, che voleva tornare in Africa, dopo oltre quattro mesi di inutile
detenzione si toglie la vita dentro il Cpr di Ponte Galeria a Roma, un luogo di
violenza e degrado assoluto come lo sono, senza eccezione e da sempre, tutti i
centri destinati alla detenzione amministrativa degli stranieri espulsi. Ma le
scelte amministrative, le omissioni e le plurime indifferenze verso la vita
concreta di un ragazzo fragile che lo hanno portato a farla finita erano
iniziate molto prima.
Nessun commento:
Posta un commento