È appena
uscito un libro di Wendell Berry che si intitola ‘Pensare in piccolo’. Nel
mondo rozzo, culturalmente e politicamente, in cui siamo costretti a vivere i
codici per essere felici si legano al consumo, in grande, al successo, o in
grande o niente, alla realizzazione di mega progetti che possano essere
raccontati in grande dai media. Insomma ti insegnano a pensare in grande
(meglio sarebbe dire: a non pensare, ma obbedire in grande). Come se tutto
debba sempre e solamente viaggiare sulle autostrade del pensiero. Come se quel
“grande” non possa che essere invasivo, a senso unico, distruttivo. Proprio
come il passaggio di un’autostrada su un territorio.
La modernità
È la
modernità, strizza l’occhio il barbiere anarchico. Già, l’ineluttabile che
guida il mondo verso il precipizio della devastazione del pianeta, in una corsa
senza freni verso l’ottusa ricerca del profitto, costi quel che costi. Dentro
un osceno meccanismo in cui non importano i principi etici che dovrebbero
garantirci per lo meno la sopravvivenza, in un sistema sociale in cui la
convivenza ci possa ancora essere.
Questa è la
storia?
Eh, dicono i
benpensanti, questa è la storia. E gongolano per il ritorno del concetto di
guerra come necessità dello spirito, per la crescita economica delle società,
anche statali e parastatali, che fanno affari con la morte dei poveracci sotto
le bombe e i proiettili che portano progresso a quel filone ipocrita della
democrazia della convenienza per pochi, a danno di tutti.
D’altra
parte oggi i governi del mondo pensano in grande. E ci costringono a porci
nella scia orribile di questo modo di correre senza limiti, senza futuro, senza
memoria.
Wendell
Berry, tra sentiero e strada
Scrive il
grande Wendell Berry: «La differenza tra un sentiero e la strada non è solo
quella più ovvia. Un sentiero è poco più di un’abitudine che deriva dalla
conoscenza di un luogo. È una sorta di rituale di familiarità. Rappresenta una
forma di contatto con un paesaggio conosciuto. Non è distruttivo. È il perfetto
adattamento, attraverso l’esperienza e la familiarità, del movimento attraverso
il luogo; obbedisce ai contorni naturali, aggirando gli ostacoli che incontra».
Strada,
esistenza al paesaggio
Una strada
invece, anche la più primitiva, è l’incarnazione della resistenza al paesaggio.
La sua ragion d’essere non deriva semplicemente dalla necessità di muoversi, ma
dalla fretta. Ciò che vuole è evitare il contatto con il paesaggio; cerca, per
quanto possibile, di passarci sopra, piuttosto che attraversarlo; la sua
aspirazione, come risulta evidente se consideriamo le nostre moderne
autostrade, è quella di essere un ponte; la sua tendenza è quella di tradurre
un luogo in mero spazio per attraversarlo con il minimo sforzo. È distruttiva,
perché rimuove o distrugge tutti gli ostacoli sul suo cammino».
Tutto è
farsa, tutto è appartenenza
Ecco, mi
pare che in questa fase il sentiero che ci rende protagonisti della nostra
vita, che ci fa riflettere sui temi, su ciò che è giusto e ciò che non lo è,
sembra essere l’unica alternativa all’autostrada, a quel modo di vivere che ti
priva di pensiero.
L’unica
alternativa a quel modo di vivere che ti fa correre, lavorare, chattare in una
specie di gioco inesorabile, senza capire il perché. In una arena mediatica e
politica di ululati e perversione, dove niente ha radici, niente ha rispetto.
Tutto è farsa. Tutto è apparenza.
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