domenica 30 giugno 2024

Israele e il veganismo rubato - Grazia Parolari

 

Si vuole veramente lasciare che Israele si impossessi del veganismo, ridefinendolo a suo uso e consumo?


Nel dicembre 2023, ovvero tre mesi dopo il 7 ottobre, quando l’esercito Israeliano aveva già bombardato e ucciso migliaia di Palestinesi a Gaza, e quando l’orrore aveva già dispiegato le sue instancabili ali su tutta la Striscia, tenendo in serbo l’inimmaginabile, è stata lanciata in Israele, da parte della Vegan Friendly Association, la campagna “Veganism at the Front – Call to Arms to Support Our Soldiers” (Veganismo al Fronte – Chiamata alle armi per sostenere i nostri soldati). Fondata nel 2012 da Omri Paz, la Vegan Friendly Association ha l’intento di “evidenziare le attività commerciali vegane in Israele, rendendo il veganismo più accessibile”.

La campagna aveva e ha lo scopo di aiutare circa 50.000 soldati e soldatesse veganə e vegetarianə a mantenere la loro specifica alimentazione mentre combattono a Gaza, consentendo che razioni da combattimento  vegane  raggiungano le basi dell’IDF nel nord e nel sud della Striscia. L’obiettivo, supportato da centinaia di volontari che cucinano e consegnano il cibo, è fornire razioni per 10.000 soldati al giorno. Tutto questo perché “i soldati che non mangiano carne hanno avuto e hanno difficoltà a soddisfare il loro fabbisogno nutrizionale giornaliero”.

Per riuscire a fare ciò gli attivisti di VFA hanno istituito un capillare sistema logistico, che coinvolge ‘Brothers for food’, volontari da tutte le parti del paese, ‘Vegan IDF’, ristoranti e aziende che “generosamente” donano materie prime e cibo.

E’ stato anche lanciato un appello pubblico per raccogliere donazioni e per la ricerca di volontari, con un obiettivo di raccolta di 500.000 shekel, obiettivo poi raggiunto.

Vegan Friendly ha bisogno del Popolo di Israele, che ha dimostrato tutto il suo sostegno dall’inizio dei combattimenti, e per questo abbiamo lanciato la campagna di finanziamento. Con soli 120 shekel,  si può adottare un soldato e fornirgli una dieta vegana per un intero mese. Ci assicureremo di raggiungere i soldati, consegnare loro il cibo, far sì che ricevano il nutrimento di cui hanno bisogno – anche durante i combattimenti – e continueremo a gestire il progetto finché necessario”, ha dichiarato Omri Paz, CEO e fondatore di Vegan Friendly, aggiungendo: “Con una donazione di soli 30 dollari, si può fornire a uno dei nostri soldati un pasto caldo, vegano, nutriente e di alta qualità, una fonte di forza quotidiana per un mese di servizio sul campo. Un esercito marcia anche con lo stomaco. I soldati devono essere in buona salute. Non possiamo arrivare a una situazione in cui i soldati devono mangiare carne perché non c’è altro”

“Ora è il momento dell’unità, il tempo di dimostrare la forza che deriva dal restare insieme. Quando ci uniamo, nessuna sfida può sopraffarci. Unitevi a noi in questa missione cruciale, e grazie alla vostra generosità, nessun soldato e soldatessa veganə o vegetarianə andrà mai a dormire affamatə. Per il futuro di Israele, per la forza della nostra nazione e per il benessere dei nostri devoti soldati, restiamo insieme, uniti più che mai. Insieme li raggiungeremo tutti. Viva Israele!”.

Inevitabilmente, dichiarazioni e azioni di questo tipo non possono che sollevare ancora una volta un profondo sconcerto e, personalmente, una vivida rabbia, su come il concetto e la pratica del veganismo vengano associati a parole come “soldato”, “fronte” e “guerra”, termini che portano in sé violenza, oppressione e morte, antitesi di ciò che il veganismo sostiene.

Un “veganismo”, quello veicolato da Israele, che, oltre a sostenere apertamente e ad attuare la violenza, si preoccupa di fornire pasti “etici” ai soldati e alle soldatesse al fronte, organizzando reti logistiche e raccolte fondi, per non fare “andare a dormire affamatə” quei soldati e quelle soldatesse  che prendono di mira i bambini e le bambine palestinesi ( loro sì che si addormentano affamatə, addirittura muoiono, di fame) o fanno il tiro a segno su folle di uomini che si accalcano per riuscire ad assicurarsi un pugno di farina, mentre ai valichi orde di persone, e tra di esse sicuramente anche qualche veganə o vegetarianə, si affannano ad impedire l’ingresso degli aiuti umanitari, spingendo Gaza verso un’atroce, devastante e illegittima carestia.

Se tutti uniti si deve essere, ”per la forza della nostra nazione e per il benessere dei nostri devoti soldati” – come chiesto da Omri Paz – nulla deve essere trascurato.

Molte riflessioni sono state fatte su come sia possibile che un Paese autodefinitosi (e vorrei sottolineare il prefisso di questo termine) “il più vegan“ al mondo, possa riconoscere la sofferenza degli animali non umani  e contemporaneamente ignorare la sofferenza che esso infligge agli animali umani da esso oppressi e quotidianamente uccisi, e financo dei loro animali non umani, accomunati dall’essere anch’essi “palestinesi”, quindi sostanzialmente non esseri senzienti  a cui si deve empatia e rispetto , ma “cose” di cui potersi sbarazzare senza alcuna considerazione morale. In questo articolo, ci si limita ad evidenziare che se la società israeliana, in tutte le sue componenti, è giunta a reificare e demonizzare i Palestinesi, lo deve a uno Stato che, anche attraverso narrazioni manipolate e profondamente razziste, si è sempre fortemente impegnato a fare ciò, e che nel farlo non ha trovato, da parte dei suoi cittadini, che scarse contestazioni o, men che meno,  significative e personali prese di coscienza.

La politica del washing e del ri-branding, adottata da Israele in innumerevoli ambiti della società, dovrebbe ormai essere strategia nota, riconoscibile e riconosciuta, esattamente come le ricorrenti menzogne a cui Israele fa ricorso ogni qualvolta deve giustificare le sue immonde azioni agli occhi del mondo.

Ma come quelle menzogne vengono regolarmente accettate come verità da quella parte di mondo che ha sempre sostenuto e giustificato Israele (e continua a farlo senza alcun sussulto di coscienza), così si continua ad accettare che Israele parli di veganismo e anzi, ne abbia fatto una propria bandiera.

Non sarebbe quindi finalmente ora che la comunità vegana nazionale e internazionale si esprimesse in modo forte e unanime su questo supposto “veganismo”, affermando chiaramente che ciò che viene spacciato come tale non ha nulla a che fare con i principi e l’etica stessa del veganismo, a cominciare dal fatto che non possono esistere soldati e soldatesse vegani e vegane?

Nessun vegano e vegana accetterebbe mai di opprimere, ferire e uccidere un essere senziente, umano e non umano.

Nessun vegano o vegana accetterebbe mai di bombardare e ridurre alla fame e alla sete un’intera popolazione, né di tollerare, condividere e sostenere un sistema di apartheid basato sul continuo ed incessante furto di terre e di vite.

Nessun vegano o vegana accetterebbe mai che i propri principi di vita vengano utilizzati in sempre più orrende operazioni di veganwashing.

I soldati e le soldatesse “vegani e vegane” di Israele, sono semplicemente soldati e soldatesse che hanno scelto abitudini, alimentari e non, che non prevedono l’utilizzo di prodotti animali, ma che con il veganismo non hanno nulla a che fare.

Non hanno nulla a che fare con il veganismo neppure attivisti e associazioni, come Vegan Friendly, che come solo e unico scopo hanno quello di “evidenziare le attività commerciali vegane e rendere il “veganismo” più accessibile e sperimentabile”, chiudendo consapevolmente occhi bocca e orecchie davanti ai crimini di uno Stato colonialista, colonizzatore, razzista e genocidiario e anzi, sostenendolo attivamente. (E questo, purtroppo, è in primis il normale atteggiamento di tutte le associazioni animaliste e “vegane” in Israele).

Israele ha già commesso innumerevoli furti, di beni materiali e di beni immateriali, di vite e di progetti di vita, e se, come affermato dal giornalista israeliano Gideon Levy in un suo recente articolo, ha ormai perso la sua coscienza, è anche riuscito a silenziare quella del nostro mondo, facendo accettare come legittime le più terribili e inumane atrocità e ingiustizie.

Perché permettergli di rubare anche il veganismo?

Come può la comunità vegana nazionale e internazionale accettare che uno Stato che sta attivamente attuando un genocidio – così come ormai ufficialmente comprovato anche dalla Corte Penale Internazionale – possa continuare a presentarsi come il Paese più vegano del mondo, salvo non voler accettare un’idea e una pratica di veganismo completamente svuotata dai suoi principi etici?

Come può, parte della comunità vegana nazionale e internazionale, tacere davanti ai crimini perpetrati impunemente da questo Stato assassino che si definisce vegan friendly, ma i cui esponenti politici, e non solo loro, inneggiano apertamente allo sterminio e all’annientamento di un popolo?

Israele ha da sempre ignorato qualsiasi norma del diritto umanitario internazionale e qualsiasi risoluzione dell’ONU, e ora anche della CPI.

Ha stracciato qualsiasi norma del diritto internazionale che regolamenta i conflitti.

Ha illegittimamente reinterpretato a suo favore sentenze, regolamenti e norme internazionali.

Si vuole veramente lasciare che si impossessi anche del veganismo, ridefinendolo a suo uso e consumo?

 

Fonti:

“Helping vegan and vegetarian IDF soldiers eat during the war” -Jerusalem Post  – dicembre 2023

“Volunteers, nonprofits rally to feed vegan, vegetarian soldiers in the field” . Times of Israel . novembre2023

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