Perché dobbiamo prendere sul serio le fantasie di complotto sul clima. Prima parte - Wu Ming 1
Nei primi giorni del maggio 2023, e di nuovo due settimane dopo,
sull’Emilia orientale e sulla Romagna si abbattono forti nubifragi. La
popolazione è colta di sorpresa: si viene da un lungo periodo di siccità.
Fin dalle prime ore il territorio si rivela incapace di reggere l’urto. I
fiumi e torrenti che scendono dall’Appennino – Idice, Lamone, Montone,
Santerno, Savena, Senio, Sillaro e altri – si gonfiano e scavalcano gli argini,
quando non li sfondano e spazzano via.
L’Appennino stesso si sgretola: quasi trecento frane dissolvono crinali e
pendii, isolano paesi e aggiungono altra melma alle ondate che travolgono la
pianura tra Bologna e il mare. Strade e ferrovie, zone industriali, centri
abitati, tutto soffoca nel fango. Tornato il sole, si contano diciassette
morti, sessantamila persone evacuate e danni per miliardi di euro.
La melma, il cemento, le nutrie
“Fango” non rende l’idea: a coprire la pianura è una fanghiglia tra il
verdastro e l’arancione, tanto puzzolente da togliere il respiro, piena di
escrementi e veleni. Appena oltre gli argini l’acqua ha trovato lo sprawl, l’urbanizzazione selvaggia della terza regione
più cementificata d’Italia, sia in assoluto – 200.320 ettari di
suolo consumato – sia per incremento netto nel solo 2021, 658 ettari persi, dei
quali 501,9 in aree a media pericolosità idraulica.
A dispetto di un’autonarrazione trionfalistica, il territorio
dell’Emilia-Romagna è molto fragile. Se l’Appennino è dissestato, la bassa è
tutta pianura alluvionale, in buona parte risultato di grandi bonifiche,
sottratta alle acque con mezzi meccanici. Terra che rimane emersa grazie al
lavoro costante di impianti idrovori e migliaia di chilometri di canali. Un
territorio sempre in bilico, in cui si dovrebbe costruire con prudenza e
parsimonia. Si fa l’esatto opposto.
Nel 2017 la regione si è dotata di una legge contro il consumo di suolo, la
cui entrata in vigore è stata più volte
prorogata. Legge, in ogni caso, criticata da esperti e addetti ai
lavori – si veda la raccolta di saggi critici e interventi Consumo di luogo.
Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna –
perché in pratica favorisce il fenomeno che deve contrastare.
Un ettaro di terreno libero può assorbire fino a 3.750 tonnellate d’acqua.
Acqua che scende e ricarica le falde. Su una lastra di cemento o asfalto,
invece, l’acqua rimbalza e accelera la corsa. Ma non si tratta solo di questo.
Nello sprawl emiliano-romagnolo l’acqua ha fatto scoppiare le fogne, ha
rovesciato cassonetti e attraversato discariche, ha razziato case, fabbriche,
negozi, distributori, autorimesse e magazzini, trascinando con sé detersivi,
cosmetici, fitofarmaci, pesticidi, fertilizzanti e tonnellate di plastica
destinata a diventare microplastica, ha inondato allevamenti intensivi e
trasportato nei dintorni corpi di animali annegati.
“Consumo di suolo” significa urbanizzazione e sempre maggiore diffusione di
materiali nocivi, anche in zone a rischio idraulico. Come è accaduto in
Emilia-Romagna, presto o tardi l’acqua trova quei materiali, li trascina con sé
e li sparge nel territorio.
L’ammasso di bombe chimiche e batteriologiche rimane sui territori per
giorni. Conselice, in provincia di Ravenna, è la cittadina simbolo della
catastrofe: resta invasa dai liquami per due settimane, il tanfo che la
attanaglia si sente a chilometri di distanza. “Sopra quella putredine batteva
il sole a picco / quasi volesse rosolarla a punto”, Charles Baudelaire, La carogna, nella traduzione di Gesualdo Bufalino.
Quando si riesce a far defluire la melma – nell’Adriatico, dove altrimenti?
– e le vie tornano asciutte, dei probabili effetti su ambiente e salute non si
parla più. Il tema scompare dal discorso pubblico.
Le cause di questo e analoghi disastri sono note. Il riscaldamento globale
provoca un’alternanza tra lunghi periodi di siccità e nubifragi, il
cosiddetto climate whiplash,
effetto colpo di frusta. Allo stesso tempo, esondazioni e distruzioni sono
l’esito di politiche che da più di mezzo secolo deturpano il territorio. A
partire dai suoi corsi d’acqua, deviati, resi più artificiali, privati delle
loro curve, sinuosità e naturali zone d’espansione per lasciare spazio al
cemento, spesso anche “tombati”, come il Ravone a Bologna, che nel maggio
scorso si è gonfiato ed è tornato in superficie prendendosi via Saffi, una
delle principali arterie cittadine.
I boschi ripariali, che manterrebbero gli argini coesi e assorbirebbero
l’acqua straripante, sono distrutti con
ruspe e motoseghe. Anche abitudini in apparenza banali, improntate al decoro e
tipiche di ogni amministrazione locale, si rivelano catastrofiche. Perfino nel
pieno di una grave siccità si falcia l’erba dei parchi, dei prati, lungo le
strade, sui cigli dei fossi e sugli argini, rasando a zero o quasi. L’erba alta
è vista come un esempio di degrado. Ma il suolo, esposto al sole battente, si
surriscalda, si secca e muore.
Fa scalpore che a essere messa in ginocchio sia una delle cosiddette
locomotive d’Italia, regione virtuosa che ogni giorno si vanta delle sue
eccellenze. Sebbene il presidente Stefano Bonaccini ripeta che
“non è il momento delle polemiche”, voci autorevoli denunciano lo stato del
territorio da ogni punto di vista: geologico, urbanistico, geografico,
naturalistico, giuridico, storico. Voci che arrivano dall’Istituto superiore
per la ricerca ambientale, dal Consiglio nazionale delle ricerche, dai comitati
scientifici delle associazioni ambientaliste storiche. Il Cnr di Bologna lancia
un “appello sulla
crisi eco-climatica globale”. In poco tempo raccoglie oltre un
migliaio di firme.
Ma gli amministratori locali non prestano ascolto a queste voci. Non solo
non ammettono responsabilità, ma mettono in circolazione narrazioni diversive
incentrate su capri espiatori. Il sindaco di Ravenna Michele De Pascale dà la colpa dell’alluvione
alle nutrie, che scavano le loro tane negli argini, e a non meglio precisati
ambientalisti che impedirebbero di abbattere le nutrie e gli avrebbero inviato
“minacce di morte”. C’è un ovvio nucleo di verità: le nutrie proliferano e
bucano gli argini, ma nell’insieme dei processi fin qui descritti hanno un
ruolo secondario, e certo non sono colpevoli dello sprawl, dello stato in cui
le piogge trovano il territorio.
Riguardo agli ambientalisti, De Pascale è noto per l’indifferenza verso le
loro critiche. Ha tirato diritto sull’installazione di un
rigassificatore da un miliardo di euro nel mare di fronte alla
città e “difende a spada tratta”, come scrive il movimento civico
Ravenna in comune, “ogni nuovo via libera alla cementificazione che
la sua giunta sparge come il riso ai matrimoni”. Il comune di Ravenna ha il
record regionale di consumo di suolo: nel 2021 ne sono spariti 69 ettari,
per un totale di più di settemila. Se De Pascale non ha fatto abbattere le
nutrie, non è certo per timore di presunti ecologisti. Prima di lui, il sindaco
di Massalombarda Daniele Bassi aveva puntato il
dito contro gli istrici.
Come si vede, nella fase iniziale le narrazioni diversive sull’alluvione si
muovono dall’alto verso il basso: a introdurle nel ciclo mediatico sono
rappresentanti delle istituzioni. E se gli esempi sono questi, davvero possiamo
biasimare le cittadine e cittadini comuni che nelle stesse ore, su internet,
“fanno le loro ricerche”?
Da alcuni anni l’espressione “do one’s own research” ha assunto una
connotazione ironica. Indica la pulsione a stabilire a grande velocità
correlazioni spurie su cui si formano fantasie di complotto.
L’aereo di Red Ronnie
In Emilia-Romagna ha appena smesso di piovere quando nelle chat e sui
social network si comincia a parlare di un “aereo misterioso”, un bimotore che
il 14 maggio avrebbe sorvolato a lungo le zone poi colpite dalle alluvioni, in
particolare i dintorni di Cesena, eseguendo “strane manovre”, cambiando
traiettoria più volte, come per tracciare invisibili scarabocchi in cielo.
Il mistero diventa sospetto e poi certezza: quell’aereo stava disseminando
nelle nuvole sostanze chimiche, allo scopo di provocare le piogge dei giorni
seguenti. L’ennesimo blitz di una presunta guerra climatica in corso da anni,
condotta da poteri occulti contro l’occidente, per alimentare la convinzione
che il riscaldamento globale sia causato dal nostro stile di vita, costringerci
a cambiarlo, abbassando le difese della nostra civiltà.
Nel biennio 2022-2023 questi aerei misteriosi sono stati avvistati in varie
parti del mondo, sempre all’indomani di nubifragi, tempeste, alluvioni. Per
esempio in Australia nella primavera
2022 e in Nuova Zelanda nell’inverno
2023. Ancora prima, nel 2014-2015, erano stati avvistati in California.
In quel caso la loro presunta missione non era causare tempeste ma siccità.
Qualcuno cerca l’aereo che ha sorvolato la Romagna sui siti Flightradar24 e
FlightAware, scoprendo che è un Beechcraft Super King Air B200 della compagnia
francese Aéro Sotravia, marca d’immatricolazione F-gjfa. Il suo volo è siglato
Asr153. Decollato il 14 maggio alle 12:12 da Ancona, è atterrato a Bologna alle
18. Sul cesenate, in effetti, ha seguito traiettorie aggrovigliate.
Dunque del volo è disponibile ogni dato, e fin da subito. Per scoprirne
anche lo scopo basterebbe un piccolo sforzo, ma nessuno di quelli che
denunciano la guerra climatica ha in mente di compierlo. È più comodo, più
aerodinamico saltare a conclusioni, prendere le scorciatoie dove il pensiero
trova meno attrito, abbandonarsi alle spinte di pregiudizi cognitivi.
Per primo il pregiudizio di intenzionalità, in base a cui cui ogni evento è
l’esito diretto di un agire premeditato, insieme a quello di proporzionalità: se
l’evento ha conseguenze su vasta scala, dev’essere vasto anche il piano messo
in atto. C’è poi il primacy effect: la
nostra mente tende a dare maggiore rilievo e plausibilità alla prima
spiegazione che riceve, a maggior ragione se solletica i bias, pregiudizi, di intenzionalità/proporzionalità e
se colma un vuoto di senso.
All’indomani delle alluvioni, gli amministratori, invece di parlare delle
cause principali, hanno dato la colpa alle nutrie, agli istrici, alla sfortuna.
Ciò ha contribuito a creare un vuoto, che la storia dell’aereo misterioso ha
riempito.
A seguire, è scattato il pregiudizio di conferma: dopo che ci si è fatta
un’idea, si tende a scartare o sminuire ogni fonte che la metta in discussione.
Resistere a questi bias è difficile. Collegare l’alluvione al centro
commerciale vicino a casa, alle villette a schiera che gli stanno attorno, al
nuovo parcheggio che è tanto comodo, al rumore di motoseghe e decespugliatori
che ogni tanto entra dalla finestra, ai pennacchi di fumo che escono da
comignoli e ciminiere richiede fatica cognitiva. È più facile immaginare il
grande piano segreto che figurarsi i molteplici flussi, progetti, processi,
interessi, automatismi, consuetudini e spinte inerziali che ogni giorno muovono
il capitalismo.
La storia dell’aereo misterioso è presto rilanciata dal bolognese Gabriele
Ansaloni, in arte Red Ronnie, giornalista e conduttore televisivo, un tempo
vicino al centrodestra, oggi ai margini del mainstream anche per via di
tesi azzardate su
cui fioccano battute e imitazioni.
Il 18 maggio Ansaloni pubblica un video intitolato Bologna oggi, non piove. Ma chi ha provocato questo disastro?
Misterioso volo insistente di un aereo. Lo schermo è diviso in due.
A sinistra la scheda del B200 ripresa da Flightradar24: data, rotta, tipo di
aereo, quota mantenuta; a destra via Indipendenza, a Bologna, filmata da
Ansaloni mentre cammina e domanda: “Qualcuno mi può spiegare perché questo
aereo ha fatto tutte queste rotte? Non so, attenzione, non che io pensi male, però
se qualcuno me lo spiega, io sarei molto felice, anche per fugare tutti quei
complottisti che dicono che esistono le scie chimiche. La stessa cosa accadde
giù nelle Marche, o in Umbria, non mi ricordo più, un aereo fece molti giri su
in cielo poi ci fu l’alluvione. C’è anche qualcuno, chiaramente in malafede che
dice che il terremoto in Turchia è accaduto dopo dei lampi incredibili…”.
Da quel momento la fantasia di complotto esce dalle nicchie e ha una vasta,
anche se momentanea, diffusione. Fra i detrattori, il bimotore diventa “l’aereo
di Red Ronnie”.
Eppure l’idea fa presa. Perfino lo scrittore e opinionista Stefano Massini,
in un monologo durante
la trasmissione Piazzapulita su La7, sembra alludere all’aereo misterioso, o
almeno collegare le alluvioni al cloud seeding,
l’inseminazione delle nuvole: “Ogni volta che vedo le immagini terrificanti che
vengono, come in questo caso, dall’Emilia-Romagna, io non riesco a non pensare
a questo pianeta Terra usato da noi uomini come un giocattolo dove [l’uomo] si
è addirittura convinto di riuscire esattamente come dio a comandare il clima
bombardando le nuvole, decidendo se far piovere o non far piovere”.
Nel frattempo la spiegazione è arrivata, qualcuno la scrive anche nei
commenti in calce al video di Red Ronnie. Il B200 è l’aereo che segue il Giro
d’Italia e fa da ponte radio alle riprese tv. A ogni suo viaggio recente
corrisponde una tappa della gara ciclistica. Il 14 maggio si svolgeva la nona
tappa, da Savignano sul Rubicone a Cesena. L’aereo vola in quel modo perché,
viaggiando molto più veloce dei ciclisti, per ricevere i segnali delle riprese
da quad, furgoni ed elicotteri deve continuamente tornare indietro.
Ora tocca al pregiudizio chiamato “intensificazione dell’impegno”, che
spinge a tenere il punto contro ogni evidenza. Ammettere di aver preso una
posizione sbagliata costa fatica cognitiva, a maggior ragione se ci si è
espressi in pubblico e con i toni drastici tipici delle schermaglie sui social
network. Ecco perché chi ha sposato la tesi dell’alluvione provocata dal cloud
seeding incorpora la spiegazione nella fantasia di complotto: il compito di
fare da ponte radio per il Giro è solo “un’ottima copertura”.
Cloud seeding e guerra climatica
Il cloud seeding, la tecnica per aumentare le precipitazioni, nasce nel
dopoguerra. Gli esperimenti cominciano nel 1946, nei cieli di Schenectady,
nello stato di New York, su iniziativa di scienziati stipendiati dalla General
Electric. Uno di loro è Bernard Vonnegut, fratello maggiore di Kurt, futuro
romanziere. All’epoca anche Kurt lavora alla General Electric, ma all’ufficio
stampa.
Nelle prime inseminazioni si usa ghiaccio secco, cioè anidride carbonica
allo stato solido, poi Bernard scopre che spargendo ioduro d’argento si
ottengono risultati migliori, o almeno così sembra.
I militari tendono subito le antenne. Dopo la bomba atomica, forse si è
scoperta un’arma ancora più potente: il controllo del clima. In accordo con la
General Electric, l’esercito coopta gli scienziati nel cosiddetto progetto
Cirrus. Nel nuovo contesto Bernard, pacifista, si trova sempre più a disagio,
finché non dà le dimissioni. La storia è ricostruita nella sontuosa biografia
di Ginger Strand I fratelli
Vonnegut. Fanta-scienza nella Casa della magia, da poco
uscita in italiano per Treccani.
Le ricerche dei militari proseguono. Il cloud seeding è usato a fini
bellici durante la guerra del Vietnam. L’operazione viene chiamata Popeye: dal
marzo 1967 al luglio 1972 – si scoprirà con la pubblicazione dei celebri Pentagon papers –
l’aviazione statunitense cerca di prolungare le stagioni dei monsoni per
sabotare le operazioni delle forze nord-vietnamite. Non è chiaro se e in che
misura l’operazione ottenga risultati. Ed è proprio questo il punto…
Perché dobbiamo
prendere sul serio le fantasie di complotto sul clima. Seconda parte
-
Guarda le scie bianche degli aerei. Guarda quante sono.
Sempre più spesso si affiancano e si incrociano, formando una griglia vaporosa che
copre gran parte del cielo, quasi da un orizzonte all’altro. Pensaci: ne hai
sempre viste così tante?
Quest’esercizio mentale potrebbe essere utile, se si
comprendesse che le scie sono un simbolo. Secondo il dizionario De
Mauro un simbolo “evoca o rappresenta, per convenzione o per
naturale associazione di idee, un concetto astratto, una condizione, una
situazione, una realtà più vasta”.
Le scie bianche sono nuvole. Si formano per la
condensazione del vapore acqueo presente nei gas di scarico degli aerei. Sono
aumentate di numero perché negli ultimi trent’anni, con il successo dei voli a
basso costo, il traffico aereo è quadruplicato. Con esso sono aumentate le
emissioni di gas serra e sostanze inquinanti e le conseguenze sul territorio:
più traffico aereo significa costruzione di nuovi aeroporti, ingrandimento di
quelli esistenti, creazione di poli logistici, operazioni immobiliari spinte dalla
bolla turistica.
C’è stata una pausa nel 2020, quando dopo i provvedimenti
per contrastare la pandemia di covid-19 i voli commerciali internazionali sono
diminuiti del 75,6 per cento,
ma il traffico è già tornato ai livelli del 2019. In Italia li ha
addirittura superati.
Il fitto incrociarsi delle scie è un’immagine forte.
Potrebbe tornare utile, se la usassimo come simbolo. Ma non si può, perché se
indichi le scie passi per credulone o addirittura per folle, sei colpevole per
associazione, sei “come i complottisti”. Cioè coloro che da anni additano il
cielo, lo fotografano, lo filmano, denunciano a gran voce l’aumento delle
strisce bianche. Per queste persone le scie non segnalano un problema: sono
loro stesse il problema. A volte un simbolo rimpiazza la realtà più vasta che
dovrebbe evocare. In altre parole, un sintomo è scambiato per il male. Quando
succede, è inevitabile sbagliare diagnosi.
Secondo le fantasie di complotto sulle cosiddette scie
chimiche, ogni giorno migliaia di velivoli, seguendo le linee di una congiura
planetaria, spargono nell’atmosfera miscele di sostanze tossiche, metalli
pesanti, solfati e chissà cos’altro. Il fine cambia a seconda delle versioni
della storia: condurre esperimenti sulla popolazione, tenerla costantemente ammalata
e debole, creare sopra le nostre teste una “fascia chimica psicoattiva” grazie
a cui controllare le nostre menti, eccetera. Negli ultimi anni, dalle fantasie
sulle scie chimiche sono nate quelle sulla guerra climatica.
Le fantasie di complotto soffrono di una forma di
asimbolia, l’incapacità di capire i valori simbolici o i sensi figurati di
discorsi, azioni, comportamenti. Quando diciamo che i governi e i padroni ci
“succhiano il sangue” stiamo usando una metafora. Ma secondo i seguaci della
fantasia di complotto chiamata QAnon,
i potenti bevono sangue veramente.
Nel singolo individuo l’asimbolia ha spesso cause
neurologiche. Poiché è impossibile che ogni componente delle comunità nate
intorno a fantasie di complotto abbia problemi neurologici, dovremo parlare di
una forma culturale di asimbolia, creata dagli scambi di messaggi e dall’imitazione
reciproca, in contesti fortemente influenzati da determinati bias, pregiudizi, ed errori di
ragionamento.
Il punto cieco delle
fantasie di complotto
Le fantasie di complotto sulle scie chimiche esemplificano
anche uno dei principali paradossi della cultura cospirazionista: c’è un piano
segreto, segretissimo, ma i suoi artefici lasciano che sia esposto nei dettagli
e denunciato in tantissimi libri pubblicati in molte lingue, innumerevoli
articoli, migliaia di video visti da milioni di persone. Libri, articoli e
video disponibili sulle piattaforme di proprietà degli uomini più ricchi e
influenti del mondo: Sergey Brin e Larry Page, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos,
Elon Musk.
A proposito di loro Rebecca Solnit ha scritto che
i miliardari “sono una minaccia per tutti: la loro mole politica distorce la
nostra vita pubblica”, perché “funzionano come poteri non eletti, una sorta di
aristocrazia globale autonoma che tenta di governare su tutti. Secondo alcuni
le aziende tecnologiche che hanno generato tanti miliardari moderni agiscono
con metodi più simili al feudalesimo che al capitalismo, e di certo molti
miliardari operano come i signori del mondo, mentre si battono per difendere la
disuguaglianza economica che ha reso loro così ricchi e tanti altri così
poveri. Usano il loro potere in modi arbitrari, irresponsabili e spesso
devastanti per l’ambiente”.
È un vero e proprio punto cieco della fantasia di
complotto. I magnati della Silicon valley esercitano sulla nostra società e
sulla nostra cultura una delle più estese e arroganti influenze mai viste. Se
ci sono persone di cui, con un’iperbole, possiamo dire che “controllano le
menti”, sono loro. Se c’è gente che cospira – letteralmente: respira insieme,
negli stessi ambienti, in luoghi inaccessibili ai comuni cittadini – è proprio
quella. Eppure nessuno li indica come complici del piano delle scie chimiche
né, in generale, di alcun altro complotto su scala mondiale. Come mai?
C’è una possibile spiegazione: se Amazon, Facebook,
Instagram, X, YouTube e Whatsapp fossero indicati come parte della
cospirazione, nella mente di chi la denuncia su quelle piattaforme si
produrrebbe una dissonanza cognitiva: percepirebbe il proprio star lì come
incoerente, inconciliabile con quel che dice o scrive. Con fatica cognitiva
dovrebbe giustificare la contraddizione in qualche modo, oppure rimuoverla.
Tutto ciò sarebbe causa di stress. Meglio rimuovere a monte, evitando di
pensarci e descrivendo lo scenario più implausibile: un complotto planetario in
cui i padroni dei più potenti mezzi di comunicazione del pianeta non hanno
alcun ruolo.
Succede qualcosa di simile nella narrazione di QAnon, dove
si dice che la Cabal – la setta di satanisti pedofili di cui farebbero parte politici
e star di Hollywood – controlla gli Stati Uniti… fatta eccezione per le forze
armate, che sono rimaste “sane”. Come sia possibile controllare un paese senza
controllarne le forze armate – per giunta gli Stati Uniti, che hanno le spese
militari più alte del pianeta e un complesso
militare-industriale il cui crescente peso politico fu denunciato già
dal presidente Eisenhower – è una questione che i seguaci di QAnon non si
pongono. Non possono farlo.
Le peggiori narrazioni
Prima di proseguire è necessario chiarire un punto.
Nonostante quanto scritto finora, le fantasie di complotto sul clima non sono
le narrazioni più dannose. Neanche il negazionismo conclamato – in Italia
espresso da alcuni politici e personaggi da
cronaca di costume – è la narrazione più dannosa.
Le peggiori narrazioni sono quelle che fanno greenwashing e spoliticizzano
i temi climatici ed ecologici. A promuoverle è un capitalismo che coglie
l’opportunità della crisi climatica – crisi causata dai costi esterni della
produzione: emissioni, scarti, rifiuti – per continuare a fare profitti,
generando nuovi costi esterni ancora poco visibili, come l’impatto ambientale
dell’estrazione di litio per le auto elettriche, e pericoli futuri, come gli
effetti collaterali delle pseudosoluzioni geoingegneristiche.
Il soluzionismo
tecnologico riduce il riscaldamento globale a una questione di
momentanea inefficienza tecnica che sarà superata con l’innovazione. Con il
boom delle cosiddette intelligenze artificiali generative, questa narrazione è
destinata ad avere sempre più presa, ma come scrive Joy Buolamwini, autrice del
libro Unmasking Ai:
“L’intelligenza artificiale non risolverà il problema del cambiamento
climatico, perché le scelte politiche ed economiche sullo sfruttamento delle
risorse del pianeta non sono questioni di carattere tecnico. Per quanto possa
tentarci, non possiamo usare l’intelligenza artificiale per schivare il duro
lavoro di organizzare la società, in modo che il tuo luogo di nascita, le
risorse della tua comunità e le etichette che ti ritrovi addosso non
determinino il tuo destino. Non possiamo usare l’intelligenza artificiale per
evitare discussioni su chi ha potere e chi ne è privo. Dare in outsourcing morale alle
macchine le decisioni difficili non risolverà i dilemmi sociali fondamentali”.
Il riduzionismo carbonico consiste nel parlare solo delle
emissioni di CO2, rimuovendo dal quadro ogni altro processo: la distruzione di
biodiversità, la cementificazione, la manomissione del territorio. In questo
modo si può decidere di abbattere decine
di alberi e consumare suolo per costruire edifici di classe
energetica A4, e dire di aver fatto una scelta green.
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