Cari trattori, l’agricoltura industriale che difendete è il problema, non la soluzione - Paolo Pileri
Eccesso di zootecnia, consumo di
acqua, monocolture a mais, sversamento di liquami, agrofarmaci, pesticidi,
emissioni climalteranti, taglio di alberi, consumo di suolo e terre svendute
alle grandi aziende dell’energia. Paolo Pileri mette in fila i temi schiacciati
da chi non vuol cambiare rotta. Ma una luce (e un’alternativa) si vede
È un
ritornello: lo abbiamo già visto. Appena qualcuno tenta una riforma della
agricoltura di poco diversa dal solco del peggior consumismo, una fetta
dell’agricoltura monta sui giganteschi trattori (comprati inutilmente e in
parte con finanziamenti pubblici) e cerca di spaventare opinione pubblica e
politica. Questa volta la prima non si sta per nulla spaventando e non sta
offrendo solidarietà a prescindere, la seconda al solito ci casca.
Credo che
gli agricoltori che protestano stiano clamorosamente sbagliando indirizzo: non
devono prendersela con l’Unione europea che li finanzia da decenni né con gli
Stati che pure li finanziano da decenni e pure quando ci sono calamità e stati
di emergenza (non dimentichiamolo). Devono andare a protestare dalle loro
associazioni di categoria che non li hanno aiutati quanto occorreva per farli transitare
verso un’agricoltura più giusta, più sana, più pulita e verso quelli che si
prendono l’80% dei contributi della Politica agricola comune (Pac) senza mai
mettere piede in un campo. Se la devono prendere con chi impone loro
agrofarmaci in abbondanza e sementi di un certo tipo per colture di un certo
tipo (disastrose). Dopodichè è inutile che ci nascondiamo dietro un dito:
l’agricoltura convenzionale o industriale, a seconda di come piace chiamarla, è
solo e soltanto il prodotto di sacrifici ecologici immensi. Se non ci diciamo
questo, non siamo onesti. E piacerebbe sentirlo da quelle facoltà di Agraria
che ancora non riescono a scollarsi di dosso il mito della super produzione,
costi quel che costi, mentre dovrebbero solo virare verso la sostenibilità a
tutti i costi.
Dopodichè
visto che i trattori alzano la voce, ricordiamo loro che la coscienza di un bel
pezzo di agricoltura ha il colore dei fumi di scarico di quei mezzi. È infatti
lunga la serie di fatti che non depongono certo a favore di un’agricoltura che
si può autodefinire sostenibile né ecologica. L’eccesso di zootecnia (lo
diciamo da tempo) è un problema. Innegabilmente un problema che genera un sacco
di problemi all’ambiente e alle persone: eccesso di consumo idrico, monocolture
a mais solo per produrre insilati, perdite energetiche in filiera, patologie
sanitarie gravi per eccesso di consumo di carne, problemi enormi di spandimento
dei liquami, problemi enormi per trattamento degli animali, etc.. A livello
mondiale la superficie agricola dedicata alla zootecnia è oltre il 70% della
superficie coltivata per produrre solo il 15-20% delle calorie alimentari. Non
mi pare difficile commentare questo dato come uno sbilanciamento folle e
insostenibile che è assurdo mantenere e che protegge un’industria della carne
che si è eccessivamente ingrandita e che ha monopolizzato la dieta alimentare
dei cittadini per fare profitto, non certo per migliorare la loro salute.
Non ricordo
campagne informative delle associazioni della agricoltura che spingono a ridurre
il consumo di carne. In Italia gli eccessi non mancano, la Pianura padana è un
“maisificio” unico, inguardabile, disastroso. Vero è che l’agricoltura ci ha
dato da mangiare, ma a quale prezzo in termini di salute e ambiente? Sono
replicabili nel futuro? No. Può aiutarci l’agricoltura a cambiare in meglio?
Sì, ma non con quelle proteste perché sono scentrate rispetto agli urgenti
obiettivi di sostenibilità. Possiamo mangiare molta (molta, molta) meno carne e
abbiamo il diritto di mangiare meglio e più sano e pulito. Questo è il diritto
di noi cittadini. Non quello di abbuffarci di cibo molesto e a basso costo.
Aiutateci a mangiare meglio, più sano e tutti.
Veniamo a un
altro tema, disastroso: lo sversamento di liquami nei terreni. Sappiamo
perfettamente che il settore ha beneficiato di deroghe su deroghe in questi
anni, il tutto per tenere in vita un’economia agricola eccessivamente
sbilanciata. Sappiamo bene che sulla carta molte aziende agricole vantano
superfici di spandimento sufficienti, ma che non utilizzano tutte, finendo per
concentrare lo spandimento solo in alcune aree. È falso?
Sappiamo che
le quantità di agrofarmaci utilizzati sono eccessive e mal dosate in molti
casi. Sappiamo che molta manodopera è ancora mal pagata e sfruttata. Non
ricordo le associazioni dell’agricoltura offrire seminari e incontri culturali
ai loro iscritti per fargli conoscere le inchieste e i libri di Alessandro
Leogrande sul caporalato (per fare un esempio a cui potremmo aggiungerne altri)
o le inchieste di Stefano Liberti su temi paralleli. La strada da fare è molto
lunga e queste proteste sul trattore non mi pare sollevino questi temi che sono
nodali e urgenti, ma preferiscono tenere tutti sul filo del ricatto: “Senza di
noi non c’è cibo”. Ma quale cibo?
Oggi il
paradigma della quantità a tutti i costi non funziona. Occorre cambiare. È
doloroso, mi rendo conto, ma mai come oggi è necessario che la protesta sia
sinceramente ecologica e non protezionistica. Ad esempio, nessuno parla di
sprechi alimentari. A che cosa serve avere una agricoltura che
produce-produce-produce per buttare via un quarto di quello che vende? Certo,
fa cassa per chi vende, ma dal punto di vista della sostenibilità è un dramma e
pure da quello della equità. Sarebbe meglio produrre meno pur spendendo uguale
ma dando più soldi al produttore. E il mondo agricolo e dell’economia
alimentare potrebbe fare molto molto molto di più in tal senso.
Proseguiamo
con l’elenco. L’agricoltura contribuisce alle emissioni climalteranti per una
quota enorme. Non usa le acque in modo sostenibile né evita scarichi inquinanti
nei fossi. C’è un problema di rifiuti: tremano le gambe quando si parla di
gessi di defecazione. Poi, l’agricoltura convenzionale arriva a tagliare
qualsiasi albero dia il minimo fastidio ai nuovi macchinari automatici. I
trattori sono diventati pesantissimi sfondano argini (altro che le nutrie, per
favore) e strade di campagna e locali. È enorme l’uso di acqua che va sprecato,
tanto la si paga poco. E poi quando manca l’acqua, l’agricoltura alza la mano e
la politica le concede i soldi dallo Stato invocando emergenze e calamità senza
mai porsi i dubbi che tutto quel mais che richiede acqua nelle stagioni dove
acqua non ce ne è mai stata, forse richiederebbe di ridurre la produzione di
mais e non solo piangere la necessità di acqua a iosa…
La protesta dei trattori vista
da chi fa agricoltura biologica dal 1978 - Maurizio Gritta
Maurizio Gritta della cooperativa
Iris è tra i pionieri del bio e conosce bene il disprezzo per il lavoro manuale
o lo scarso valore riconosciuto a chi produce. Della mobilitazione in atto non
scorge però un obiettivo chiaro e condiviso. “La maggior libertà di utilizzare
i pesticidi non implementerà certo i nostri redditi”. La sua analisi
Mi occupo di
agricoltura biologica dal 1978. Sono nato in un’azienda agricola a conduzione
familiare in provincia di Brescia e, sin da piccolo, mio padre mi ha trasmesso
la passione e la professionalità necessarie per la coltivazione agro alimentare
e l’allevamento degli animali. “La natura va rispettata -diceva- perché
lavorandola ci dà la possibilità di prenderci cura dei nostri figli”. Pur
essendo analfabeta, aveva compreso istintivamente la necessità di un rapporto
paritario ed equidistante.
La
cosiddetta “protesta dei trattori”, oggi, mette in luce alcune problematiche
reali ma non sembra avere ancora un obiettivo solido, chiaro e condiviso in
modo unanime. Nel momento in cui scrivo la Commissione europea ha ceduto alla
pressione delle contestazioni e ha deciso di rinunciare alla normativa che
prevedeva una riduzione progressiva dell’uso di pesticidi per proteggere la
biodiversità e l’impatto sull’ecosistema. Siamo sicuri che questa concessione,
insieme a qualche promessa di ridurre burocrazia e spese carburante, sia
davvero un’azione che migliora le nostre condizioni di lavoro?
Non sarà
certo la maggior libertà di utilizzare pesticidi o fitofarmaci a implementare
il nostro reddito o la qualità della nostra vita personale e lavorativa, anzi,
secondo il “Farm worker ministry” negli Stati Uniti, uno dei Paesi con i metodi
di coltivazione più avanzati e moderni, la vita media di un agricoltore è di
circa 49 anni, ben 29 in meno del resto della nazione, e svuotando di senso e
contenuto il “Green deal” europeo rischiamo di intraprendere lo stesso
percorso. L’agricoltura biologica sta dimostrando da decenni ormai come sia
possibile produrre (e guadagnare) senza rinunciare alla tutela dell’ambiente
che ci circonda. Coltiviamo alimenti per circa 12 miliardi di persone in un
mondo abitato da otto, non abbiamo bisogno di produrre di più ma meglio, in
modo più oculato e intelligente.
Una ricerca
dell’Università di Goiàs in Brasile, analizzando i dati dal 2011 al 2020 di
oltre 20 nazioni tra cui Francia, Stati Uniti, India, Italia e lo stesso
Brasile, ha constatato un aumento parallelo, dal 40% al 60%, tra l’uso
intensivo di pesticidi e le malattie cancerogene tra gli addetti ai lavori che
ne sono a stretto contatto tutto il giorno nei campi. Come già accaduto per
l’Ilva di Taranto crediamo di dover scendere a compromessi con la nostra salute
pur di mantenere il lavoro ma la lotta comune dovrebbe concentrarsi sulla
produzione di cibo sano nel modo meno inquinante possibile e pretendere che la
ricerca e le nuove tecnologie studino metodi più adatti alla tutela
dell’ambiente e della salute dei lavoratori aiutandoci a fare dei passi avanti
verso un futuro migliore invece di tornare ai metodi intensivi e coercitivi del
passato…
PERCHÈ GLI AGRICOLTORI COMUNQUE PERDERANNO - Daniele Ioannelli
Nei giorni della lotta abbiamo dentro un fuoco che ci pare essere infinito,
e crediamo di avere il diritto di vincere per il solo fatto di sentirlo ardere.
Ma spesso invece a vincere è chi pianifica con freddo calcolo le proprie mosse.
Il Potere questo lo sa e cominciò a farlo 50 anni fa, quando spostò la
dottrina economica dominante dal keynesimo, che promuoveva un benessere diffuso
attraverso la formazione della cosiddetta classe media e del welfare, alla
scuola austriaca del libero mercato e della globalizzazione, che concentra la
ricchezza in poche mani attraverso l’esclusione dello Stato dall’economia e le
privatizzazioni di beni e attività strategiche.
Ecco perchè comunque vada, anche fossero accolte il 100% delle loro
rivendicazioni, gli Agricoltori hanno comunque già perso.
Gli Agricoltori oggi
stanno guardando il dito e non la luna.
Il dito sono le norme imposte, o in procinto di esserlo, dall’Europa in
nome di una ideologia green presentata come salvifica ma in
verità distruttiva e antisociale. La luna è l’impianto ideologico nel quale
queste norme sono prodotte.
Il dito viene puntato sulle politiche del cosiddetto Green Deal (Patto
Verde) e della PAC (Politica Comune Europea), che sulla carta promettono
sostenibilità e benessere, ma nei fatti stanno rendendo economicamente
insostenibile fare agricoltura e allevamento.
Innanzitutto bisogna ricordare che oggi si è persa una consapevolezza molto
presente nel passato mondo agricolo, perchè la società dei consumi ci ha
abituati ad avere ininterrottamente gli scaffali dei supermercati pieni di
merce sempre fresca, e cioè che avere un raccolto da vendere non è così
scontato, anzi è una “grazia”, un dono che riceviamo. In quelle passate
società ciò che dava la terra era sufficiente al proprio sostentamento o poco
più, la resa del terreno era molto più bassa di oggi già in condizioni normali,
se poi avvenivano problemi climatici, di salute pubblica o guerre…addio
raccolto.
L’agricoltura e in misura minore l’allevamento sono attività di per sè con
un grado alto di precarietà ma di fondamentale importanza per la nostra vita,
senza cibo non viviamo. Ecco perchè è giusto e doveroso sovvenzionare con soldi
pubblici chi pratica tali attività. Gli va garantita una protezione minima per
il proprio sostentamento. Equiparare l’agricoltura a un qualsiasi altro settore
produttivo, magari industriale, è pensare che il cibo sia un prodotto
artificiale come un bullone fabbricabile nelle quantità che vogliamo nel chiuso
dei nostri stabilimenti e di cui noi soli deteniamo i diritti di produzione,
pena il far valere le leggi anti contraffazione.
Premesso questo, su cosa verte la protesta? Essenzialmente su questo:
- NO a lasciare una parte del
terreno, almeno il 4% per ora, a riposo e una maggiore rotazione delle
colture per mantenere il terreno in salute.
- NO alla riduzione dell’uso dei
fertilizzanti e pesticidi.
- NO alla conversione del 25% dei
terreni in agricoltura biologica.
- NO all’Irpef sui terreni
agricoli.
- NO alla soppressione degli
sgravi sul gasolio agricolo.
- NO all’eccessivo divario dei
prezzi tra produttore e consumatore.
- NO a questa burocrazia
eccessivamente complicata.
- NO al Trattato MercoSur con
Unione Europea
- NO alla zona di libero scambio
globale e approfondito (DCFTA) con l’Ucraina.
- NO all’eccessiva tutela della
fauna selvatica che danneggia i raccolti.
Sostanzialmente è una protesta di tipo economico, non ci sono
rivendicazioni di principi, diritti o altro. Si dice che il guadagno già ora è
talmente basso che le misure in oggetto renderebbero fare agricoltura e anche
allevamento insostenibile.
Ed è vero, perchè ridurre del piccolo 4% le terre utilizzabili, destinare
ad agricoltura biologica il 25% della terra, utilizzare meno pesticidi e
fertilizzanti, significa solo e unicamente produrre di meno e a costi più alti,
ma poi dover vendere alla grande distribuzione sempre a prezzi ridicolmente
bassi o anche sottocosto – grande distribuzione che però sui propri banchi
applica ricarichi del 200-300% – e ritrovarsi a fine anno maggiori tasse da
pagare, tra costi burocratici per ottenere gli aiuti previsti e aliquota Irpef
calcolata anche sui terreni sinora esclusi dal reddito. In più si è costretti a
sostenere anche quella che nei fatti è una concorrenza sleale da parte di Paesi
extra-UE che possono produrre con regole più amichevoli, che
hanno l’effetto immediato di contrarre ancora di più i prezzi ed erodere fette
di mercato importanti, come sta già accadendo con il grano ucraino o con la
carne del Sud America.
La sensazione è quella
che l’agricoltura sia un settore sgradito in Europa.
Il primo elemento che salta agli occhi è la differenza di metodo tra l’UE e
gli Agricoltori. La UE ha definito e porta avanti a tappe una politica ecologia
di transizione dal fossile a un sistema più sostenibile. Gli Agricoltori ne
fanno una questione meramente economica. Si dice: la UE faccia pure la sua
transizione ecologica purchè ci riconosca un indennizzo adeguato per le perdite
cui siamo costretti a causa delle sue regolamentazioni. Non c’è una visione politica
della propria categoria, al massimo un vago sentimento di patriottismo e
giustizia. Si risponde a una mossa della UE, non si cerca di
partecipare attivamente alla determinazione delle stesse. Certo, loro
devono lavorare non fare politica è vero, è per questo che si demanda questa
funzione a dei rappresentanti sia di categoria sia politici. Però per loro
stessa ammissione coloro i quali avrebbero dovuto curare i loro interessi non
hanno fatto nulla o peggio sono complici della UE, e infatti non li hanno
voluti al loro fianco in questa mobilitazione. Allora era importante portare
avanti una propria differente visione di ciò che dovrebbe essere il settore
agricolo oggi, alternativa, per cui battersi.
La politica UE vuole rendere il mondo sostenibile? Come? Passare dal
fossile alle energie rinnovabili cosi da fermare il cambiamento climatico, e
rendendo il mondo in generale un ambiente più sano, limitando le sostanze
chimiche usate e salvaguardando il territorio e la biodiversità. Per attuare
questa politica l’agricoltura e l’allevamento – soprattutto – vanno
ridimensionati. L’agricoltura inquina il terreno con i suoi prodotti chimici,
l’allevamento il clima con i gas prodotti dagli animali e dai loro liquami. Per
fare energia pulita servono i terreni da destinare agli impianti del
Fotovoltaico. E, non secondaria, c’è sia la questione dei nuovi cibi, quelli
sintetici fatti in laboratorio o in 3D, sia gli insetti ora dichiarati
commestibili.
Qui non si capisce se questi nuovi cibi siano promossi al consumo per
sopperire alla futura minore produzione dei cibi naturali o se limitare questi
ultimi sia propedeutico alla loro diffusione. Fatto sta che se la cornice
ideologica che muove le mosse della UE è questa…anche qualora le rivendicazioni
degli Agricoltori fossero accettate in toto, la UE dovrà solo correggere il
tiro. La visione che promuove le riforme di questo settore è una sola e non può
non andare verso la stessa direzione di oggi. Allo stesso risultato, ovvero la
chiusura delle aziende agricole, si può arrivare anche solo diminuendo
ulteriormente il potere di acquisto della gente, che per forza di cose andrebbe
verso quei prodotti a basso costo importati, imponendo una ulteriore
contrazione dei guadagni, oppure continuando a non curare il territorio, facendo
si che normale pioggia diventi una inondazione distruggendo i raccolti, oppure
rendendo ancora più complicato essere in regola con la documentazione per
accedere agli aiuti pubblici oppure, ancora, creare un altra epidemia animale
etc etc…I modi per ottenere quello che si vuole facendoli passare per la famosa
“tempesta perfetta” sono infiniti e la UE ha pensatori di alto livello.
In uno di questi scenari, dove le cose “semplicemente accadono” senza
nessuna responsabilità diretta se non dell’uomo e della situazione globale, gli
Agricoltori di oggi contro chi potranno protestare? Contro nessuno. Quindi
questa mancanza di visione da parte degli Agricoltori e questo semplice opporsi
a norme di cui si vuole solo la cancellazione li ha già condannati a perdere, comunque
vada la protesta.
Inoltre si dimostra anche di non aver capito il funzionamento legislativo
della UE. A che serve protestare entro i propri confini, anche sotto il
Parlamento della propria nazione, se a fare le leggi è qualcun altro? Una legge
può essere fatta solo dalla Commissione Europea, e i Parlamenti sia Europeo sia
nazionali, hanno solo il compito di dare consigli ed eseguire ciò che la
Commissione Europea vuole. L’Italia, anche accogliesse il 100% delle lamentele
avrebbe al massimo il potere di rimandare la loro attuazione, non di
cancellarle. Potrebbe riscriverle, come la PAC prevede, e cioè ogni Paese
membro può far presente la sua particolare ed unica situazione e proporre un
qualcosa che si adatti alla sua realtà, ma alla fine sempre e comunque sarebbe
la Commissione Europea a dire se ciò va bene o meno.
Se la Commissione Europea vuole distruggere il comparto agricolo in favore
dei nuovi cibi, farà in modo che accada. A parte la loro del Green e
del Sostenibile, quale altra visione del futuro circola tra la gente? La lotta
da fare è tutta qui.
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