In occasione delle ultime elezioni comunali a La Coruña, per esempio,
un cittadino indignato ha scritto a un giornale locale perché nella
cassetta delle lettere riceveva solo volantini elettorali in galiziano.
Quella lettera ha spinto Carla, un’utente venticinquenne
di X (ex Twitter), a condividere il suo calvario da
parlante galiziana. Carla racconta di essere cresciuta con i nonni in una
zona rurale e che il galego è stata la prima lingua che ha
imparato. Alla scuola d’infanzia lo parlavano tutti i bambini, ma quando è
passata alle elementari, in un villaggio vicino, solo due compagni su
trenta lo conoscevano. E se le scappava qualche frase in galiziano la
maestra la riprendeva subito. “Ci hanno fatto credere che il galiziano
fosse una lingua di seconda scelta”, e che chi lo usava fosse “stupido,
ignorante, strano”, continua la ragazza. “E sì, so parlare spagnolo”, ha concluso,
“ma non so come essere completamente me stessa in spagnolo. Non so essere
divertente, per esempio, so amare solo in galiziano. So arrabbiarmi solo in
galiziano”. Le sue riflessioni hanno aperto un dibattito tra gli insegnanti
della regione, denunciando una discriminazione e una pressione sociale
contro cui le scuole fanno poco o nulla.
In Galizia quasi un giovane su tre sotto i vent’anni non sa cavarsela con
il galego, anche se la legge prevede che una parte delle
attività didattiche sia svolta in questa lingua. Circa l’8 per cento ha
dichiarato di non saperlo “per niente” e un altro 22 per cento ha detto di
avere “difficoltà” a capirlo, scrive El País
riportando gli ultimi dati disponibili.
Il quotidiano spagnolo ha chiesto a tre adolescenti che frequentano le
superiori a La Coruña e che provengono da famiglie in cui si parla
galiziano come vivono il loro rapporto con la lingua che hanno imparato da
piccoli. Uno di loro, Román Rojo Campaña, dice che nella sua scuola ci sono
studenti di quaranta nazionalità diverse, per cui “anche capirsi in
spagnolo è un problema”. Lui ha deciso di seguire una sorta di “bilinguismo
armonioso” con i compagni. Raúl Martínez Leis, di diciassette anni, spiega
invece di essere cresciuto in un paesino di ottocento abitanti dove tutti
parlavano galego, a cominciare dagli amici con cui passava i
pomeriggi a giocare a calcio. Quando si è trasferito in città, il
cambiamento è stato brutale e ha dovuto abbandonare il galiziano per
integrarsi. Ora però partecipa a una campagna di promozione linguistica che
è partita dal suo istituto e si è già diffusa in 180 scuole della comunità
autonoma. Si chiama “Aquí tamén se fala”:
anche qui si parla (il galiziano).
(da Internazionale)
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