con Giovanni Pandolfini
Qualche anno fa mi trovai a parlare con un agricoltore, un collega, che gestiva la sua impresa agricola cerealicola familiare nelle terre fertili e pianeggianti della zona del parco Milano-sud. Era molto preoccupato per il futuro della sua attività che sosteneva economicamente la sua famiglia da più generazioni.
I conti non
tornano più, diceva :
“Le spese sono sempre in crescita così come gli
obblighi burocratici, gli adempimenti fiscali, le norme per la sicurezza sui
luoghi di lavoro, quelle per la sostenibilità ambientale, quelle per
l’adeguamento delle strutture , quelle per l’acquisto e la manutenzione delle
macchine necessarie per lavorare la terra, per i semi, per le cure colturali
(diserbanti,concimi e pesticidi) e per il trasporto dei prodotti, per non
parlare poi del costo dell’energia, delle consulenze agronomiche, di quelle
legali e commerciali di cui ho assoluto bisogno per lavorare e per sentirmi minimamente
in regola e non correre rischi .”
Lamentandosi
ancora aggiungeva :
“Dall’altro lato dei costi
dovrebbero esserci adeguati ricavi ma.. il raccolto ha dei prezzi che a
malapena coprono le spese correnti quando tutto fila liscio senza considerare i
mille possibili intoppi che ormai sono sempre più frequenti, nuove avversità
come insetti nocivi invadenti, attacchi fungini particolarmente forti, danni da
selvaggina come ungulati e molti altri, lunghi periodi siccitosi senza pioggia,
periodi con troppa pioggia e alluvioni, grandine e forti temporali con venti
distruttivi, temperature fuori dall’usuale con escursioni termiche giornaliere
intorno ai 20° e molte altre, l’unica nostra salvezza sono i contributi della
PAC e le agevolazioni per gli acquisti delle macchine come contributi in conto
capitale del psr (ovvero a fondo perduto, da non restituire) e i crediti di
conduzione come le cambiali agrarie che le banche rinnovano senza troppe
pretese .
L’associazione di categoria mi ha
consigliato di specializzarmi, di ammodernare la mia impresa, di innovare le
mie attrezzature, di investire con più decisione nella mia attività, di credere
in me stesso e di affidarmi a loro per la consulenza finanziaria, per
districarmi nella giungla dei contributi e nelle paludi degli obblighi di legge
.
D’altronde sono sempre loro che
hanno le cooperative ed i consorzi che mi vendono tutto ciò di cui ho bisogno e
poi mi ritirano il prodotto nei loro centri di lavorazione e stoccaggio, non
posso non considerarli.
Ovviamente per poter beneficiare dei
contributi, che sempre loro mi aiutano ad ottenere, gli acquisti per
l’innovazione e lo sviluppo della mia azienda devono rigorosamente essere
effettuati con macchine nuove, sempre più costose e sofisticate. Un tempo i
trattori e le attrezzature con una piccola officina, una saldatrice e un
flessibile le riparavo io stesso oggi invece la meccanica si è fusa con
l’elettronica e devo rivolgermi ad officine specializzate che costano un
patrimonio,
La banca mi ha concesso crediti,
scoperti,anticipi fatture perché faccio girare i soldi ma adesso mi sta dicendo
che la mia impresa non è più tutta mia ma è un po’ anche loro e pertanto se
veramente ci credo nella mia attività, così come ci hanno creduto loro, non
posso rifiutarmi di mettere una firmetta per garantire con la mia proprietà
immobiliare, la casa e la terra, tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che la mia
famiglia ha costruito con tanto lavoro e tanta fatica nel tempo .
Ho le mani legate. Non so più come
fare, devo lavorare di più ma ho bisogno di più terra, devo aumentare il mio
giro di affari e di contributi.
Alla fine del
suo ragionamento arrivava ad una conclusione :
“ Ho solo 150 ettari ed oggi con
150 ettari di terreni seminativi non si riesce a campare la famiglia ne
occorrerebbero almeno il doppio per stare tranquilli ”.
Incredibile e
completamente assurdo. Con quale contorcimento di pensiero si può arrivare ad
una simile convinzione?
Il ragionamento
del povero imprenditore agricolo modernizzato, specializzato, industrializzato
e al passo più o meno col grado minimo di “legalità” occorrente alla sua
attività, è più o meno questo:
Per lavorare la
terra, assistere le colture, raccogliere e stoccare i prodotti che ottengo ho
bisogno di attivare molti investimenti. Il loro ammortamento mi costa in modo
sproporzionato a quello che posso realizzare vendendo sul mercato, a prezzi
correnti, il frutto del mio lavoro (ammesso che vada tutto bene e con i rischi
a mio carico). La mia attività diventa “possibile” solo se al prodotto
vendibile aggiungo una quota di sussidio proveniente dal sistema di
incentivazione agricola messo in campo dalla Comunità Europea con il suo
complicato meccanismo di assegnazione.
E poiché il
principale meccanismo di erogazione dei fondi PAC si riferisce ad un premio ad
ettaro, ho bisogno di una superficie “minima” di cui disporre per rendere
economicamente vantaggiosa la mia impresa . Si capisce che chi possiede una
superficie di terra sotto questo limite non riesce a fare fronte ai costi di
produzione e se non lo ha già fatto deve smettere, chiudere l’attività, chi è
nei pressi di questo limite rischia molto lavora tanto e guadagna poco, chi
invece possiede dieci o venti volte questo limite ha ben altri margini di
tranquillità e di profitti interamente offerti dalla comunità europea
attingendo al prelievo fiscale di milioni di lavoratori.
Avete mai visto
un meccanismo più ingiusto?
Una superficie
tale che mi consenta di investire sempre di più in innovazione tecnologica e
maggior impiego di imput energetici e di coltivazione affinché riesca ad
ottenere il massimo possibile e il più velocemente possibile dalla mia terra e
al tempo stesso di attingere agli investimenti che il sistema propone via via
più vantaggiosi nel momento.
Avete mai visto
qualcosa di più pericoloso per l’ambiente e per la salubrità degli alimenti ?
Il livello di
questa quantità minima di terra necessaria a questo tipo di sopravvivenza è estremamente
variabile di anno in anno con la tendenza all’aumento e al favorire le grosse
aziende ai danni delle più piccole .
Un percorso
perverso e diabolico destinato a portare alla rovina quasi tutti i praticanti
per farne emergere solo alcuni, i più strutturati, i più dotati di capitali
alle spalle, i già grossi, i più predatori, a danno di tutti gli altri .
Questo rapporto
fra superficie e sostenibilità economica è più evidente sulla specializzazione
cerealicola o foraggera ma lo possiamo estendere a tutte le altre
specializzazioni agricole più intensive come l’orticoltura, la frutticoltura,
la viticoltura ecc ecc fino alla zootecnia con i sui mega allevamenti
industriali.
Intermediari e
GDO hanno tutto da guadagnare da un sistema simile e il produttore agricolo che
si troverà immancabilmente ad avere in un preciso e limitato momento dell’anno
una grande massa di prodotto quasi sempre deperibile è l’anello più debole
dell’intero sistema .
Avete mai visto
qualcosa di più pericoloso?
Invece.
150 ettari
sono, per chi non avesse dimestichezza nelle proporzioni della superfici da
coltivare, un campo di 1 Km per 1,5 Km, pari più o meno a 215 campi da calcio .
Come è
possibile sostenere che con una superficie così grande di buona terra fertile
di pianura con acqua a sufficienza in un clima temperato come il nostro, se pur
in variazione, non si possa arrivare ad un reddito sufficiente per campare una
famiglia.
Approssimativamente
in 150 ettari potrebbero vivere e lavorare dalle 180 alle 200 e oltre persone e
produrre cibo per loro stesse e per altre 800, con un livello di
meccanizzazione minimo e con la quasi completa autosufficiente dal punto di
vista energetico e di materie prime necessarie.
Sarebbe
possibile solo praticando agricoltura contadina agroecologica .
Con un sistema
di distribuzione locale e diretto dei propri prodotti, senza intermediari,
senza consulenti, senza azzeccagarbugli, con l’assunzione diretta delle proprie
responsabilità ambientali e sociali, con un meccanismo semplice ed efficace di
garanzia partecipata sulla salubrità dei propri prodotti a livello locale, con
un sistema di credito autogestito, con la possibilità di trasformare e
conservare i propri prodotti in piccoli impianti artigianali, con regole
diverse da quelle dell’agroindustria, si potrebbe ottenere anche un reddito
dignitoso senza troppi sforzi e senza autosfruttamento.
Cosa è accaduto
e cosa accade tuttora nelle nostre campagne? Perché un agricoltore arriva a
sostenere il paradosso che non riesce a campare se stesso e la propria famiglia
con soli?? 150 ettari.
Inutile
chiedere e rivendicare alle istituzioni maggior investimenti, maggior
attenzione ai lavoratori del settore primario, condizioni di vendita dei propri
prodotti più dignitose, un reddito sufficiente alle proprie aspettative e ai
propri bisogni, risponderanno sempre con più burocrazie, con più tecnologia,
con più specializzazione e con più asservimento al loro sistema. E’ necessario
uscire dalla condizione di impresa agricola in un mercato globalizzato e
costruire un tessuto comunitario locale e decentralizzato che autonomamente
possa disporre del proprio territorio, controllarlo e difenderlo.
Mille e mille
autonomie di villaggio che attraverso la produzione del proprio cibo possano
rappresentare il modo economicamente ed ecologicamente più sostenibile ed
umanamente più piacevole di stare a questo mondo.
Avete mai visto
qualcosa di più facile?
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