“La sanità in Sardegna sta crollando sotto un muro di omissioni, mancati finanziamenti ed incapacità gestionale che si trascina da anni”. Comincia così la lettera aperta scritta da Anaoo a tutti i cittadini dell’Isola. Il sindacato dei medici non usa mezzi termini per descrivere lo stato comatoso in cui versa l’assistenza medica e ospedaliera. In calce la firma della segretaria regionale Susanna Montaldo.
“Nel tempo – prosegue la lettera – la polvere che si accumula in un
ingranaggio prima o poi lo ferma. Il blocco delle assunzioni e
la mancata previsione delle risorse necessarie ha fatto sì che, dopo la prima
ondata di pensionamenti, non si riescano più a coprire i turni in ospedale e
con la seconda ormai alle porte non è difficile immaginare cosa succederà”.
Da Anaoo spiegano ancora: “Per tenere aperti gli ospedali periferici,
dove gli organici sono ridotti in maniera drammatica, le guardie notturne
vengono ricoperte in prestazioni aggiuntive da colleghi provenienti da
altre Asl o da medici che lavorano per le cooperative. In questo
quadro sanitario regionale decadente, diventa veramente difficile capire la
vera motivazione per cui non si riesca ad assumere dalle graduatorie dei
concorsi espletati”.
Dal sindacato, sul punto si pongono una serie di interrogativi: “Forse
perché non si chiama per tutte le sedi disponibili e i vincitori non possono
scegliere la sede preferita come succede invece per tutti i concorsi pubblici?
Stiamo forse aspettando che i medici vincitori di concorso in Sardegna, stanchi
di aspettare, vengano assunti da qualche azienda sanitaria pubblica in un’altra
Regione o negli ospedali privati, oppure emigrino all’estero?”.
Il futuro è tutt’altro che roseo: “Con questo sistema, l’unico risultato
sarà che con il pensionamento dei colleghi nati negli anni
Sessanta, che sono ad oggi il 40 per cento della forza lavoro,
il Sistema sanitario regionale non riuscirà a superare un ulteriore
indebolimento e tutta l’impalcatura, sostenuta in buona parte dagli
straordinari (non pagati), crollerà miseramente. Ma tutto questo non sembra
reale se non si conoscono i numeri”.
Ancora dalla lettera aperta ai cittadini: “L’Assessorato proprio alcuni
giorni fa ha inviato alle organizzazioni sindacali il resoconto dei dirigenti
sanitari in servizio nel 2018 e quelli nel 2021 in Ats. Orbene, nonostante
abbiano trasmesso ai giornali la notizia che la sanità, per il 2021,
ha inciso sul bilancio regionale per 3 miliardi e 278 milioni, si
sono forse preoccupati di comunicare quanti dirigenti sanitari in meno ci sono
nel libro paga di quella azienda che prima si chiamava Ats e ora è formata
dalle otto aziende territoriali?”.
La risposta è “no”. E “non ve lo diranno – ha scritto ancora la Montaldo a
nome di Anaoo – perché Ats non ha rimpiazzato ben 235 dirigenti
sanitari andati via in un triennio. Giusto per darvi un’idea, è come se in un
triennio fossero andati via tutti i dirigenti sanitari della Asl del Medio
Campidano che, invero, attualmente sono solo 218. In altri termini, magari più
comprensibili, se si moltiplicano le ore di lavoro settimanali, che per la
dirigenza sanitaria sono 38, per 48 settimane lavorative all’anno, ogni
dirigente sanitario in media presta, in favore
della sua azienda sanitaria, circa 1.800 ore all’anno. Questo senza
contare le abituali ore lavorate in più che non vengono né pagate né
recuperate”.
Il ragionamento prosegue così: “È sufficiente moltiplicare le ore annue per
il numero dei dirigenti sanitari non “rimpiazzati” (1.800 x 235) per capire che
per garantire, quantomeno, la medesima tutela sanitaria offerta ai cittadini
nel 2018, alle aziende sanitarie già facenti capo all’Ats Sardegna mancano
oggi circa 423.000 ore lavoro“.
Quindi una sottolineatura rivolta ai destinatari della lettera aperta:
“Cari cittadini e pazienti, quando ascoltate o leggete
qualsivoglia affermazione con cui si scaricano le responsabilità
della cosiddetta malasanità sarda sui dirigenti
sanitari, su quei medici che sono stati ripetutamente definiti anche degli
eroi per la gestione della pandemia Covid e che magari, umanamente, sono
esausti di anteporre il senso del dovere alle proprie esigenze personali e
familiari, andate anche a vedere chi pronuncia quelle parole; magari è, o era,
decisore politico e ha, o aveva, il potere di assumere forza lavoro,
organizzare i posti letto ospedalieri, programmare la sanità territoriale e, in
genere, cambiare il segno davanti a quei numeri che costituiscono il vero ed
unico dato obiettivo ed inconfutabile della crisi del sistema sanitario
regionale”.
La Montaldo ha scritto ancora: “Come medici e come cittadini ci saremo
accontentati anche dell’assunzione di nuova forza lavoro in misura pari al
numero dei cessati dell’ultimo triennio, con il ripristino di una dotazione
organica a norma di legge e, quantomeno, sufficiente per dare un’assistenza
adeguata alla richiesta della cittadinanza. Ciò posto, con estremo rammarico si
prende atto della paradossale campagna mediatica contro i medici,
dopo gli elogi in fase pandemica acuta, con contestuale tentativo di modificare
la realtà per nascondere i
fallimenti”.
La lettera prosegue così: “La verità, non è conosciuta dall’opinione
pubblica, è che i medici da anni chiedono di migliorare le condizioni
organizzative e gestionali degli ospedali, perché noi per primi
desideriamo che quando il paziente arriva in ospedale, al Pronto soccorso, non
debba aspettare dodici ore perché non ci sono abbastanza medici, infermieri e
oss in turno. Oppure quando arriva in reparto, non venga ricoverato come terzo
paziente in una stanza accreditata per due 2 pazienti o sistemato in appoggio a
reparti che trattano patologie diverse”. C’è anche l’opzione del ricovero “su
una barella nel corridoio o nella stanza del medico di guardia o in camere non
dedicate alla degenza, tutti posti logisticamente lontani dalla corsia e
inadeguati alla cura dei pazienti”.
La lettera si conclude così: “Siamo consapevoli che, nella maggioranza dei
casi, i cittadini tendono ad attribuire le colpe delle inefficienze
agli operatori con cui interagiscono, non considerando che le
responsabilità sono di chi è deputato alla programmazione e gestione della
sanità regionale e non si ha conoscenza del fatto che il medico è subordinato
ad un sistema oramai in disgregamento, su cui non ha voce in capitolo. Le
colpe sono di chi organizza, non di chi è in prima linea. Noi sanitari
soffriamo quanto voi per l’impossibilità di curare al meglio, dovendo lavorare
in una disorganizzazione folle di cui ci vergogniamo e che continueremo a
combattere perché sia riconosciuta la dignità del nostro lavoro e per la
sicurezza delle cure dei cittadini”.
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