Pubblichiamo la prefazione di Vittorio Agnoletto al libro, da poco uscito, “Dissenso informato. Il dibattito mancato e le possibili alternative” a cura di Elisa Lello e Niccolò Bertuzzi (Castelvecchi Editore). “Durante la pandemia – e più di recente anche sul conflitto russo-ucraino – si è assistito a una riduzione del pluralismo informativo e all’espulsione delle voci critiche, fenomeni che hanno pericolosamente spinto il dissenso verso percorsi di radicalizzazione. Il “dibattito mancato” ha impedito una reale discussione su questioni cruciali che riguardano le politiche sanitarie e le loro conseguenze, così come i molteplici intrecci tra medicina, scienza, economia e politica. Tramite analisi rigorose e documentate, questo libro contribuisce ad aprire un dibattito plurale, per elaborare strumenti utili a orientarsi nel nuovo scenario e per immaginare modalità alternative, inclusive e democratiche, di gestione delle crisi”. Il testo si avvale dei contributi di: Stefano Boni, Enrico Campo, Francesca Capelli, Ivan Cavicchi, Thomas Fazi, Sara Gandini, Giampietro Gobo, Maria Laura Ilardo, Elisa Lello, Nicola Matteucci, Andrea Miconi, Eduardo Missoni, Barbara Osimani, Luca Raffini, Andrea Saltelli, Luca Serafini.
Segnaliamo molto volentieri il volume proprio perché Effimera.org ha
dedicato alla questione svariati articoli e organizzato due seminari, nel 2020
e nel 2022 (più un terzo momento di discussione, nel 2021, “Prendiamo
corpo. Ripensare l’azione, la politica, l’etica“) sui problemi legati
alla pandemia: il primo relativo all’impatto
della “malattia” sulle soggettività e sui corpi, alle trasformazioni produttive
conseguenti, alle carenze gestionali connesse alla assistenza
sanitaria; il secondo più specificamente centrato sulla privatizzazione
della sanità pubblica e dei brevetti sui vaccini e sull’accesso, in generale,
diseguale alle cure, con i profitti conseguenti. Si è
trattato di un intervento che è cominciato dall’inizio della sindemia, anche
per contrastare l’idea che l’uscita di tale profondissima crisi si dovesse
basare quasi esclusivamente sul senso di responsabilità dei singoli individui,
senza denunciare invece i fattori di impreparazione e precarizzazione,
inefficienza, iniquità sociale e distorsione generati dalle condizioni della
sanità nella varie regioni, dalla riduzione dei contributi pubblici e dal
conseguente smantellamento dei presidi sanitari territoriali.
*****
«Non in televisione e non in prima serata, professore». Con queste parole
Beppe Severgnini interrompe il prof. Andrea Crisanti che la sera del 26
novembre 2021 durante la trasmissione Otto e mezzo espone le sue perplessità
sulla vaccinazione anti Covid per i bambini, perplessità dovute alle limitate
informazioni allora a disposizione della comunità scientifica. Severgnini
insiste: «Ci sono i convegni e i congressi per dire certe cose; se voi le
ripetete in prima serata, la gente si spaventa e non capisce più niente, mi
creda».
27 novembre 2021. Il senatore a vita Mario Monti durante la
trasmissione In Onda dichiara: «E’ una guerra, ma non abbiamo
minimamente usato in nessun Paese una politica di comunicazione adatta alla
guerra e forse oggi non si riesce più, anche se ci fosse una guerra vera, ad
avere una comunicazione come quella che si aveva nel caso di guerre…»; «…la
comunicazione di guerra significa che c’è un dosaggio dell’informazione […]
bisogna trovare delle modalità meno, posso dire meno democratiche secondo per
secondo…..»; «In una situazione di guerra […] si accettano delle limitazioni
alla libertà». La conduttrice Concita De Gregorio gli domanda chi dovrebbe
decidere come dosare l’informazione; la risposta è netta: «…Il governo,
ispirato, nutrito, istruito dalle autorità sanitarie».
Nei giorni successivi il senatore Mario Monti cercherà di attutire
l’impatto delle sue dichiarazioni, ma questi due brevi passaggi televisivi ben
riassumono la logica con la quale è stata (ed è) gestita la comunicazione mainstream durante
la pandemia e le valutazioni che la ispirano. Il popolo va trattato come un
bambino, devono essergli dispensate delle certezze indipendentemente dalla loro
veridicità. La scienza non può mostrare incertezza, non ha diritto di chiedere
tempi supplementari per poter concludere le proprie ricerche, deve avere sempre
la risposta pronta; Galileo Galilei è cancellato, il dubbio, da motore della
ricerca scientifica diventa eresia da silenziare.
Il potere politico non ha responsabilità sulle scelte da compiere perché
queste sono garantite dall’oggettività della scienza: soggetto che si
colloca super partes e che agisce al di fuori di qualunque
condizionamento.
I media devono essere i megafoni delle decisioni prese da chi governa, non
devono sollevare dubbi, possono raccontare storie tristi, meglio se
drammatiche, così aumenta la tiratura e lo stress collettivo, ma non devono
scavare troppo sulle cause; c’è sempre il rischio di disturbare qualche
potente.
In una guerra, più il nemico è forte e mette a repentaglio l’esistenza
collettiva, più è semplice invocare la massima disciplina, l’obbedienza per i
cittadini e per gli operatori dell’informazione, più è facile far dimenticare
le responsabilità di chi governa in relazione alla gestione e alle cause e
concause dell’emergenza che si sta affrontando. In una guerra non sono ammesse
domande, né critiche, chi si permette questi lussi è accusato di connivenza con
il nemico.
Ma la realtà è un po’ più complessa. I bambini sono facili da incantare, ma
se scoprono che gli hai raccontato una bugia non ti crederanno mai più e la
fiducia, anche quella di un bambino, è molto difficile da recuperare.
Se veniamo bombardati da rassicurazioni che i vaccini ci proteggeranno
dall’infezione, diventa difficile spiegare perché è necessario, anche se sei
vaccinato, utilizzare comunque la mascherina e quando, dopo qualche settimana,
un medico vaccinato si infetta tutta la narrazione crolla insieme alla
credibilità istituzionale. Eppure, le informazioni erano disponibili; il 20
novembre 2020 sul «Corriere della sera» Andrea Carfi, responsabile della
ricerca sui vaccini per Moderna, quando Giuseppe Sarcina gli chiede «Il vaccino
sarà efficace anche per prevenire la trasmissione del virus?» risponde: «Per il
momento sappiamo che il vaccino previene l’insorgere della malattia, lo
sviluppo dei suoi sintomi. Dobbiamo ancora capire se potrà prevenire anche
l’infezione e quindi evitare che ci siano persone vaccinate che contraggono
comunque il virus, rimanendo asintomatici e potenzialmente contagiosi per gli
altri». Più chiaro di così!
Perché non è stata data la corretta informazione? L’importanza dei vaccini
sarebbe comunque apparsa evidente nel ridurre fortemente l’evoluzione della
malattia e i decessi. Invece man mano che le persone vaccinate si infettavano è
stata tutta una rincorsa, a precisare, a spiegare quello che politici e tecnici
sapevano da tempo ma che avevano taciuto. Regalando un assist a
chi era contrario alla vaccinazione. Così come ha poco senso tacere eventuali
decessi o minimizzare gli effetti collaterali dei vaccini, quando l’esperienza
di tante persone è differente; più corretto è illustrare anche i limiti delle
attuali vaccinazioni e contemporaneamente spiegare la somma positiva del confronto
tra rischi/benefici. Così come è stato un errore – che ha prodotto
comportamenti che hanno facilitato la diffusione del virus – illudere che l’uso
del green pass avrebbe garantito zone di sicurezza, covid free, anziché
spiegare che era una misura scelta dal governo per spingere le persone a
vaccinarsi; scelta della quale l’esecutivo si assumeva la responsabilità.
La scelta di non comunicare pezzi importanti di verità che si intrecciano
con la nostra quotidianità ha favorito il muro contro muro sulle vaccinazioni,
ha impedito di discutere con coloro, e non sono pochi, che non sono contrari in
via di principio alle vaccinazioni (e nemmeno specificamente a quella contro la
Covid-19), ma che hanno dubbi e domande che meritano risposte. Ma forse questo
non è un fatto casuale, ma un risultato ricercato secondo la logica di guerra
già citata; d’altra parte, a dirigere le operazioni non è stato chiamato un
medico esperto di sanità pubblica e di medicina preventiva, categoria del tutto
ignorata dalla politica e dai media, ma un generale perennemente in divisa:
l’ormai noto generale Figliuolo.
Quando la guerra evocata ha lasciato il posto alla guerra combattuta con
missili e bombe, le dinamiche da pensiero unico, fin qui descritte, hanno
trovato ulteriore dispiegamento e l’esercizio del pensiero critico viene sempre
più considerato qualcosa dal quale rifuggire, da condannare e colpevolizzare,
come precisano anche i curatori del volume nella loro introduzione.
In questa situazione diventa sempre più attuale il dibattito sul ruolo
della scienza, o meglio degli scienziati e il loro rapporto con la politica.
Agli scienziati spetta spiegare quali siano i dati verificati e accertati che
quindi possono essere considerati, fino a prova contraria, delle “verità”;
quali siano le ipotesi sottoposte ancora a ricerca che necessitano di ulteriori
verifiche; quali siano le domande alle quali per ora la scienza non è ancora in
grado di rispondere. È compito della politica assumersi la responsabilità di
compiere delle scelte basandosi sulle informazioni che, in quel momento, la
ricerca scientifica è in grado di fornire.
In questi due anni abbiamo invece assistito ad un continuo trincerarsi
dell’esecutivo dietro la fatidica frase «ce l’ha ordinato il dottore (CTS)»,
sfuggendo in tal modo al dovere di rispondere delle scelte compiute anche
quando è evidente che alcune decisioni sono state assunte sulla base di
pressioni economiche ed equilibri politici che nulla hanno a che vedere con
ragioni sanitarie. Questa presunta assenza di responsabilità da parte dei
decisori politici ha raggiunto il punto più alto, o forse sarebbe meglio dire
più basso, almeno moralmente parlando, in occasione della mancata realizzazione
della zona rossa nel bergamasco.
Questa strategia è stata possibile anche per il ruolo del CTS, Comitato
Tecnico Scientifico, che, con il passare del tempo, più che svolgere un ruolo
di informazione scientifica verso il governo, si è trasformato in uno strumento
utilizzato per fornire una giustificazione tecnica alle scelte dell’esecutivo,
attraverso dichiarazioni o silenzi, non per questo meno gravi. Il fatto che gli
Open Day per AstraZeneca non abbiano incontrato fin dall’inizio una dura ed
esplicita opposizione da parte del CTS è solo un esempio che ben ricordo per
essere rimasto praticamente isolato, nell’euforia generale, a spiegare da Radio
Popolare che una vaccinazione è un atto medico che necessita della raccolta
dell’anamnesi individuale e di un’eventuale verifica di documentazione
sanitaria, pratiche che richiedono tempo e che non si addicono ad un evento più
simile ad una festa della birra.
La presenza degli “scienziati” sui nostri teleschermi poteva essere anche
una logica conseguenza del periodo emergenziale, ma questo è avvenuto nel caos
più totale, come in una fiera paesana, dove il banditore passa, presenta la sua
merce, in questo caso il proprio sapere, la vende (e qui stendiamo un pietoso
velo sui cachet) e se ne va fino alla prossima occasione,
senza che nessuno possa chiedergli conto della qualità della merce acquistata.
Ed infatti i nostri “scienziati” potevano tranquillamente sostenere un giorno
una cosa e, pochi giorni dopo, l’esatto contrario senza che alcun
conduttore/conduttrice si permettesse di fargli notare l’incongruenza delle
loro affermazioni con quelle precedenti; anzi, alcune volte, sembrava che
l’averla sparata grossa e non averla azzeccata costituisse un titolo di merito
per tornare in televisione, ovviamente senza mostrare alcun imbarazzo.
È ormai norma consolidata che in ogni pubblicazione scientifica un
ricercatore debba dichiarare i propri conflitti d’interesse. Certamente i media
generalisti sono diversi, per ruolo e per destinatari, dalle riviste
scientifiche, ma quando viene presentato al pubblico, con tutti gli onori, un
esperto che, in una fase complicata come quella pandemica, fornisce indicazioni
su quali farmaci assumere o non assumere e su quale vaccino sia più efficace,
forse non sarebbe stato sbagliato chiedere notizia di eventuali conflitti d’interesse,
non per cacciarlo, ma per informare il cittadino in modo che ognuno abbia tutti
gli strumenti necessari per farsi un’opinione. In Italia se si sollevano
questioni simili, si rischia di essere guardati come un marziano. Eppure, se si
andasse a vedere qualche curriculum vitae o qualche sito di società
scientifiche qualche domanda in più sorgerebbe.
Di tutti i temi fin qui menzionati, e di altro ancora, si occupa questo
volume. Il testo è un invito alla riflessione critica rispetto al ruolo della politica,
della comunicazione e della scienza nella società contemporanea (e nell’Italia
contemporanea in modo particolare), ma è anche lo spazio per visioni complesse
(e anche fra loro differenti) di corpo, cura e medicina. Visioni nelle
quali chi scrive può anche non sempre identificarsi, ma la cui dignità è
fondamentale riconoscere in un dibattito plurale e articolato, troppo spesso
mancato negli ultimi due anni.
Insieme ad altre otto personalità europee – professori e attivisti di lunga
data nel campo della salute, ho lanciato la campagna «Nessun profitto sulla
pandemia!» (www.noprofitonpandemic.eu/it) per sostenere la
proposta di sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini per la Covid-19,
sui kit diagnostici e per la socializzazione del know-how avanzata
in sede OMC, Organizzazione Mondiale del Commercio, da India, Sudafrica e
sostenuta da oltre cento Paesi. L’obiettivo è quello di rendere
disponibili nel minor tempo possibile un numero di dosi di vaccino sufficienti
per tutto il genere umano. Per sostenere in Europa questa iniziativa abbiamo
scelto di ricorrere ad un’ICE, Iniziativa dei Cittadini Europei, uno strumento
istituzionale previsto dall’UE per facilitare la partecipazione dei cittadini
alle scelte che li riguardano.
La campagna, che va ben oltre la raccolta di firme, insieme alla società
civile di tutto il mondo ha contribuito a suscitare un movimento globale con
documenti firmati da oltre cento tra premi Nobel ed ex capi di stato, il
ripetuto pronunciamento di papa Francesco e le dichiarazioni dell’OMS;
iniziative che sono riuscite a modificare, almeno parzialmente, la posizione di
alcuni governi tra i quali quello USA, ma che non hanno minimamente scalfito,
al di là di qualche tardiva proposta d’immagine, i convincimenti di UE, UK e
Svizzera che continuano ad opporsi alla moratoria per la quale in sede OMC è
necessaria l’unanimità. Germania, Francia e Italia sono le massime sostenitrici
della rigida posizione assunta dalla Commissione Europea. In questo libro, la
vicenda dei brevetti non è affrontata (per lasciar spazio ad altri aspetti
ancor meno dibattuti a livello pubblico durante la pandemia), ma molte delle
considerazioni fin qui svolte hanno trovato su questo tema un’ennesima conferma
e rilanciato alcune domande.
Nonostante la campagna «Nessun profitto sulla pandemia!» abbia radunato nel
nostro paese il più grande comitato di sostegno con oltre centoventi realtà
nazionali, dai sindacati a tutte le maggiori associazioni e annoveri tra i suoi
testimonial personaggi come Silvio Garattini, don Luigi Ciotti oltre al
compianto Gino Strada, il nostro sistema politico-mediatico, tranne poche ma
importanti eccezioni, da quasi due anni continua ad ignorare questo tema con
una chiusura che non ha paragoni con altri paesi occidentali. Il mondo politico
appare totalmente subalterno, dai ministri in giù, al potere di Big Pharma,
così come molti dei principali media. Una conferma viene da un’indagine, alla
quale abbiamo contribuito come “37e2” (trasmissione sulla salute di Radio
Popolare), realizzata da Lorenzo Cassi, professore associato di
Economia alla Sorbona; mentre il mondo chiede a gran voce la sospensione
temporanea dei brevetti per i vaccini anti Covid, come uno degli strumenti
fondamentali per aumentarne la produzione, abbassarne il costo e bloccare la
pandemia, in Italia accade il paradosso: nel 2021, l’Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi (UIBM), che è collocato presso il Ministero dello
Sviluppo Economico, ha accordato l’estensione, in un caso fino a 5
anni, oltre i 20 canonici, per i brevetti relativi a due vaccini di due
società: l’inglese Oxford University e la tedesca Curevac, la prima
relativamente al vaccino AstraZeneca e la seconda per i
vaccini Pfizer e Moderna. Ogni commento è superfluo.
Questo appiattimento sugli interessi delle grandi case farmaceutiche nel
nostro Paese ha ulteriormente rafforzato il rifiuto di discutere di qualunque
critica alla campagna vaccinale ed essendo impossibile, nel nostro caso,
accusarci di essere no vax, si è scelto il silenzio, un silenzio assordante.
La speranza è che dall’enorme sofferenza che la pandemia non ha ancora
terminato di spargere anche nel nostro Paese, possa svilupparsi una riflessione
collettiva che unisca gli specialisti del settore agli attivisti sociali e ad una
più ampia comunità capace di interrogarsi in profondità su come la Covid-19 ha
evidenziato gli enormi limiti del nostro sistema sanitario, ha mostrato la
necessità di modificare in profondità il paradigma della medicina degli ultimi
quarant’anni e ci ha resi consapevoli di come neanche questo sia sufficiente. È
da qui ed ora che può cominciare un cambiamento significativo e costruttivo.
Questa tremenda lezione possa almeno essere utile a noi e di monito per le
future generazioni.
Vittorio Agnoletto, medico, insegna Globalizzazione e Politiche della
Salute” all’Università degli Studi di Milano, responsabile scientifico
dell’Osservatorio Coronavirus attivato da Medicina Democratica e autore e
co-conduttore di “37e2” la trasmissione sulla salute di Radio Popolare.
Coordina in Italia la campagna europea «Nessun profitto sulla pandemia!» per
la moratoria dei brevetti sui vaccini contro la Covid-19.
Nessun commento:
Posta un commento