sabato 23 luglio 2022

Dissenso informato. Il dibattito mancato e le possibili alternative - Prefazione di Vittorio Agnoletto

 

Pubblichiamo la prefazione di Vittorio Agnoletto al libro, da poco uscito, “Dissenso informato. Il dibattito mancato e le possibili alternative” a cura di Elisa Lello e Niccolò Bertuzzi (Castelvecchi Editore). “Durante la pandemia – e più di recente anche sul conflitto russo-ucraino – si è assistito a una riduzione del pluralismo informativo e all’espulsione delle voci critiche, fenomeni che hanno pericolosamente spinto il dissenso verso percorsi di radicalizzazione. Il “dibattito mancato” ha impedito una reale discussione su questioni cruciali che riguardano le politiche sanitarie e le loro conseguenze, così come i molteplici intrecci tra medicina, scienza, economia e politica. Tramite analisi rigorose e documentate, questo libro contribuisce ad aprire un dibattito plurale, per elaborare strumenti utili a orientarsi nel nuovo scenario e per immaginare modalità alternative, inclusive e democratiche, di gestione delle crisi”. Il testo si avvale dei contributi di: Stefano Boni, Enrico Campo, Francesca Capelli, Ivan Cavicchi, Thomas Fazi, Sara Gandini, Giampietro Gobo, Maria Laura Ilardo, Elisa Lello, Nicola Matteucci, Andrea Miconi, Eduardo Missoni, Barbara Osimani, Luca Raffini, Andrea Saltelli, Luca Serafini.

Segnaliamo molto volentieri il volume proprio perché Effimera.org ha dedicato alla questione svariati articoli e organizzato due seminari, nel 2020 e nel 2022 (più un terzo momento di discussione, nel 2021, “Prendiamo corpo. Ripensare l’azione, la politica, l’etica“) sui problemi legati alla pandemia: il primo relativo all’impatto della “malattia” sulle soggettività e sui corpi, alle trasformazioni produttive conseguenti, alle carenze gestionali connesse alla assistenza sanitaria; il secondo più specificamente centrato sulla privatizzazione della sanità pubblica e dei brevetti sui vaccini e sull’accesso, in generale, diseguale alle cure, con i profitti conseguenti. Si è trattato di un intervento che è cominciato dall’inizio della sindemia, anche per contrastare l’idea che l’uscita di tale profondissima crisi si dovesse basare quasi esclusivamente sul senso di responsabilità dei singoli individui, senza denunciare invece i fattori di impreparazione e precarizzazione, inefficienza, iniquità sociale e distorsione generati dalle condizioni della sanità nella varie regioni, dalla riduzione dei contributi pubblici e dal conseguente smantellamento dei presidi sanitari territoriali.

*****

«Non in televisione e non in prima serata, professore». Con queste parole Beppe Severgnini interrompe il prof. Andrea Crisanti che la sera del 26 novembre 2021 durante la trasmissione Otto e mezzo espone le sue perplessità sulla vaccinazione anti Covid per i bambini, perplessità dovute alle limitate informazioni allora a disposizione della comunità scientifica.  Severgnini insiste: «Ci sono i convegni e i congressi per dire certe cose; se voi le ripetete in prima serata, la gente si spaventa e non capisce più niente, mi creda».

27 novembre 2021. Il senatore a vita Mario Monti durante la trasmissione In Onda dichiara: «E’ una guerra, ma non abbiamo minimamente usato in nessun Paese una politica di comunicazione adatta alla guerra e forse oggi non si riesce più, anche se ci fosse una guerra vera, ad avere una comunicazione come quella che si aveva nel caso di guerre…»; «…la comunicazione di guerra significa che c’è un dosaggio dell’informazione […] bisogna trovare delle modalità meno, posso dire meno democratiche secondo per secondo…..»; «In una situazione di guerra […] si accettano delle limitazioni alla libertà». La conduttrice Concita De Gregorio gli domanda chi dovrebbe decidere come dosare l’informazione; la risposta è netta: «…Il governo, ispirato, nutrito, istruito dalle autorità sanitarie».

Nei giorni successivi il senatore Mario Monti cercherà di attutire l’impatto delle sue dichiarazioni, ma questi due brevi passaggi televisivi ben riassumono la logica con la quale è stata (ed è) gestita la comunicazione mainstream durante la pandemia e le valutazioni che la ispirano. Il popolo va trattato come un bambino, devono essergli dispensate delle certezze indipendentemente dalla loro veridicità. La scienza non può mostrare incertezza, non ha diritto di chiedere tempi supplementari per poter concludere le proprie ricerche, deve avere sempre la risposta pronta; Galileo Galilei è cancellato, il dubbio, da motore della ricerca scientifica diventa eresia da silenziare.

Il potere politico non ha responsabilità sulle scelte da compiere perché queste sono garantite dall’oggettività della scienza: soggetto che si colloca super partes e che agisce al di fuori di qualunque condizionamento.

I media devono essere i megafoni delle decisioni prese da chi governa, non devono sollevare dubbi, possono raccontare storie tristi, meglio se drammatiche, così aumenta la tiratura e lo stress collettivo, ma non devono scavare troppo sulle cause; c’è sempre il rischio di disturbare qualche potente.

In una guerra, più il nemico è forte e mette a repentaglio l’esistenza collettiva, più è semplice invocare la massima disciplina, l’obbedienza per i cittadini e per gli operatori dell’informazione, più è facile far dimenticare le responsabilità di chi governa in relazione alla gestione e alle cause e concause dell’emergenza che si sta affrontando. In una guerra non sono ammesse domande, né critiche, chi si permette questi lussi è accusato di connivenza con il nemico.

Ma la realtà è un po’ più complessa. I bambini sono facili da incantare, ma se scoprono che gli hai raccontato una bugia non ti crederanno mai più e la fiducia, anche quella di un bambino, è molto difficile da recuperare.

Se veniamo bombardati da rassicurazioni che i vaccini ci proteggeranno dall’infezione, diventa difficile spiegare perché è necessario, anche se sei vaccinato, utilizzare comunque la mascherina e quando, dopo qualche settimana, un medico vaccinato si infetta tutta la narrazione crolla insieme alla credibilità istituzionale. Eppure, le informazioni erano disponibili; il 20 novembre 2020 sul «Corriere della sera» Andrea Carfi, responsabile della ricerca sui vaccini per Moderna, quando Giuseppe Sarcina gli chiede «Il vaccino sarà efficace anche per prevenire la trasmissione del virus?» risponde: «Per il momento sappiamo che il vaccino previene l’insorgere della malattia, lo sviluppo dei suoi sintomi. Dobbiamo ancora capire se potrà prevenire anche l’infezione e quindi evitare che ci siano persone vaccinate che contraggono comunque il virus, rimanendo asintomatici e potenzialmente contagiosi per gli altri». Più chiaro di così!

Perché non è stata data la corretta informazione? L’importanza dei vaccini sarebbe comunque apparsa evidente nel ridurre fortemente l’evoluzione della malattia e i decessi. Invece man mano che le persone vaccinate si infettavano è stata tutta una rincorsa, a precisare, a spiegare quello che politici e tecnici sapevano da tempo ma che avevano taciuto. Regalando un assist a chi era contrario alla vaccinazione. Così come ha poco senso tacere eventuali decessi o minimizzare gli effetti collaterali dei vaccini, quando l’esperienza di tante persone è differente; più corretto è illustrare anche i limiti delle attuali vaccinazioni e contemporaneamente spiegare la somma positiva del confronto tra rischi/benefici. Così come è stato un errore – che ha prodotto comportamenti che hanno facilitato la diffusione del virus – illudere che l’uso del green pass avrebbe garantito zone di sicurezza, covid free, anziché spiegare che era una misura scelta dal governo per spingere le persone a vaccinarsi; scelta della quale l’esecutivo si assumeva la responsabilità.

La scelta di non comunicare pezzi importanti di verità che si intrecciano con la nostra quotidianità ha favorito il muro contro muro sulle vaccinazioni, ha impedito di discutere con coloro, e non sono pochi, che non sono contrari in via di principio alle vaccinazioni (e nemmeno specificamente a quella contro la Covid-19), ma che hanno dubbi e domande che meritano risposte. Ma forse questo non è un fatto casuale, ma un risultato ricercato secondo la logica di guerra già citata; d’altra parte, a dirigere le operazioni non è stato chiamato un medico esperto di sanità pubblica e di medicina preventiva, categoria del tutto ignorata dalla politica e dai media, ma un generale perennemente in divisa: l’ormai noto generale Figliuolo.

Quando la guerra evocata ha lasciato il posto alla guerra combattuta con missili e bombe, le dinamiche da pensiero unico, fin qui descritte, hanno trovato ulteriore dispiegamento e l’esercizio del pensiero critico viene sempre più considerato qualcosa dal quale rifuggire, da condannare e colpevolizzare, come precisano anche i curatori del volume nella loro introduzione.

In questa situazione diventa sempre più attuale il dibattito sul ruolo della scienza, o meglio degli scienziati e il loro rapporto con la politica. Agli scienziati spetta spiegare quali siano i dati verificati e accertati che quindi possono essere considerati, fino a prova contraria, delle “verità”; quali siano le ipotesi sottoposte ancora a ricerca che necessitano di ulteriori verifiche; quali siano le domande alle quali per ora la scienza non è ancora in grado di rispondere. È compito della politica assumersi la responsabilità di compiere delle scelte basandosi sulle informazioni che, in quel momento, la ricerca scientifica è in grado di fornire.

In questi due anni abbiamo invece assistito ad un continuo trincerarsi dell’esecutivo dietro la fatidica frase «ce l’ha ordinato il dottore (CTS)», sfuggendo in tal modo al dovere di rispondere delle scelte compiute anche quando è evidente che alcune decisioni sono state assunte sulla base di pressioni economiche ed equilibri politici che nulla hanno a che vedere con ragioni sanitarie. Questa presunta assenza di responsabilità da parte dei decisori politici ha raggiunto il punto più alto, o forse sarebbe meglio dire più basso, almeno moralmente parlando, in occasione della mancata realizzazione della zona rossa nel bergamasco.

Questa strategia è stata possibile anche per il ruolo del CTS, Comitato Tecnico Scientifico, che, con il passare del tempo, più che svolgere un ruolo di informazione scientifica verso il governo, si è trasformato in uno strumento utilizzato per fornire una giustificazione tecnica alle scelte dell’esecutivo, attraverso dichiarazioni o silenzi, non per questo meno gravi. Il fatto che gli Open Day per AstraZeneca non abbiano incontrato fin dall’inizio una dura ed esplicita opposizione da parte del CTS è solo un esempio che ben ricordo per essere rimasto praticamente isolato, nell’euforia generale, a spiegare da Radio Popolare che una vaccinazione è un atto medico che necessita della raccolta dell’anamnesi individuale e di un’eventuale verifica di documentazione sanitaria, pratiche che richiedono tempo e che non si addicono ad un evento più simile ad una festa della birra.

La presenza degli “scienziati” sui nostri teleschermi poteva essere anche una logica conseguenza del periodo emergenziale, ma questo è avvenuto nel caos più totale, come in una fiera paesana, dove il banditore passa, presenta la sua merce, in questo caso il proprio sapere, la vende (e qui stendiamo un pietoso velo sui cachet) e se ne va fino alla prossima occasione, senza che nessuno possa chiedergli conto della qualità della merce acquistata. Ed infatti i nostri “scienziati” potevano tranquillamente sostenere un giorno una cosa e, pochi giorni dopo, l’esatto contrario senza che alcun conduttore/conduttrice si permettesse di fargli notare l’incongruenza delle loro affermazioni con quelle precedenti; anzi, alcune volte, sembrava che l’averla sparata grossa e non averla azzeccata costituisse un titolo di merito per tornare in televisione, ovviamente senza mostrare alcun imbarazzo.

È ormai norma consolidata che in ogni pubblicazione scientifica un ricercatore debba dichiarare i propri conflitti d’interesse. Certamente i media generalisti sono diversi, per ruolo e per destinatari, dalle riviste scientifiche, ma quando viene presentato al pubblico, con tutti gli onori, un esperto che, in una fase complicata come quella pandemica, fornisce indicazioni su quali farmaci assumere o non assumere e su quale vaccino sia più efficace, forse non sarebbe stato sbagliato chiedere notizia di eventuali conflitti d’interesse, non per cacciarlo, ma per informare il cittadino in modo che ognuno abbia tutti gli strumenti necessari per farsi un’opinione. In Italia se si sollevano questioni simili, si rischia di essere guardati come un marziano. Eppure, se si andasse a vedere qualche curriculum vitae o qualche sito di società scientifiche qualche domanda in più sorgerebbe.

Di tutti i temi fin qui menzionati, e di altro ancora, si occupa questo volume. Il testo è un invito alla riflessione critica rispetto al ruolo della politica, della comunicazione e della scienza nella società contemporanea (e nell’Italia contemporanea in modo particolare), ma è anche lo spazio per visioni complesse (e anche fra loro differenti) di corpo, cura e medicina.  Visioni nelle quali chi scrive può anche non sempre identificarsi, ma la cui dignità è fondamentale riconoscere in un dibattito plurale e articolato, troppo spesso mancato negli ultimi due anni.

Insieme ad altre otto personalità europee – professori e attivisti di lunga data nel campo della salute, ho lanciato la campagna «Nessun profitto sulla pandemia!» (www.noprofitonpandemic.eu/it) per sostenere la proposta di sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini per la Covid-19, sui kit diagnostici e per la socializzazione del know-how avanzata in sede OMC, Organizzazione Mondiale del Commercio, da India, Sudafrica e sostenuta da oltre cento Paesi.  L’obiettivo è quello di rendere disponibili nel minor tempo possibile un numero di dosi di vaccino sufficienti per tutto il genere umano. Per sostenere in Europa questa iniziativa abbiamo scelto di ricorrere ad un’ICE, Iniziativa dei Cittadini Europei, uno strumento istituzionale previsto dall’UE per facilitare la partecipazione dei cittadini alle scelte che li riguardano.

La campagna, che va ben oltre la raccolta di firme, insieme alla società civile di tutto il mondo ha contribuito a suscitare un movimento globale con documenti firmati da oltre cento tra premi Nobel ed ex capi di stato, il ripetuto pronunciamento di papa Francesco e le dichiarazioni dell’OMS; iniziative che sono riuscite a modificare, almeno parzialmente, la posizione di alcuni governi tra i quali quello USA, ma che non hanno minimamente scalfito, al di là di qualche tardiva proposta d’immagine, i convincimenti di UE, UK e Svizzera che continuano ad opporsi alla moratoria per la quale in sede OMC è necessaria l’unanimità. Germania, Francia e Italia sono le massime sostenitrici della rigida posizione assunta dalla Commissione Europea. In questo libro, la vicenda dei brevetti non è affrontata (per lasciar spazio ad altri aspetti ancor meno dibattuti a livello pubblico durante la pandemia), ma molte delle considerazioni fin qui svolte hanno trovato su questo tema un’ennesima conferma e rilanciato alcune domande.

Nonostante la campagna «Nessun profitto sulla pandemia!» abbia radunato nel nostro paese il più grande comitato di sostegno con oltre centoventi realtà nazionali, dai sindacati a tutte le maggiori associazioni e annoveri tra i suoi testimonial personaggi come Silvio Garattini, don Luigi Ciotti oltre al compianto Gino Strada, il nostro sistema politico-mediatico, tranne poche ma importanti eccezioni, da quasi due anni continua ad ignorare questo tema con una chiusura che non ha paragoni con altri paesi occidentali. Il mondo politico appare totalmente subalterno, dai ministri in giù, al potere di Big Pharma, così come molti dei principali media. Una conferma viene da un’indagine, alla quale abbiamo contribuito come “37e2” (trasmissione sulla salute di Radio Popolare), realizzata da Lorenzo Cassi, professore associato di Economia alla Sorbona; mentre il mondo chiede a gran voce la sospensione temporanea dei brevetti per i vaccini anti Covid, come uno degli strumenti fondamentali per aumentarne la produzione, abbassarne il costo e bloccare la pandemia, in Italia accade il paradosso: nel 2021, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), che è collocato presso il Ministero dello Sviluppo Economico, ha accordato l’estensione, in un caso fino a 5 anni, oltre i 20 canonici, per i brevetti relativi a due vaccini di due società: l’inglese Oxford University e la tedesca Curevac, la prima  relativamente al vaccino AstraZeneca e la seconda per i vaccini Pfizer e Moderna. Ogni commento è superfluo.

Questo appiattimento sugli interessi delle grandi case farmaceutiche nel nostro Paese ha ulteriormente rafforzato il rifiuto di discutere di qualunque critica alla campagna vaccinale ed essendo impossibile, nel nostro caso, accusarci di essere no vax, si è scelto il silenzio, un silenzio assordante.

La speranza è che dall’enorme sofferenza che la pandemia non ha ancora terminato di spargere anche nel nostro Paese, possa svilupparsi una riflessione collettiva che unisca gli specialisti del settore agli attivisti sociali e ad una più ampia comunità capace di interrogarsi in profondità su come la Covid-19 ha evidenziato gli enormi limiti del nostro sistema sanitario, ha mostrato la necessità di modificare in profondità il paradigma della medicina degli ultimi quarant’anni e ci ha resi consapevoli di come neanche questo sia sufficiente. È da qui ed ora che può cominciare un cambiamento significativo e costruttivo. Questa tremenda lezione possa almeno essere utile a noi e di monito per le future generazioni.

 

Vittorio Agnoletto, medico, insegna Globalizzazione e Politiche della Salute” all’Università degli Studi di Milano, responsabile scientifico dell’Osservatorio Coronavirus attivato da Medicina Democratica e autore e co-conduttore di “37e2” la trasmissione sulla salute di Radio Popolare. Coordina in Italia la campagna europea «Nessun profitto sulla pandemia!» per la moratoria dei brevetti sui vaccini contro la Covid-19.

da qui

Nessun commento:

Posta un commento