Il 30 dicembre scorso Il Sole 24 Ore ha pubblicato un’analisi di Mario Baldassarri che smonta la tesi diffusa per la quale l’aumento dei prezzi del gas -quello che ha provocato anche l’aumento dell’energia elettrica- sarebbe stato causato dalla guerra russo-ucraina. Titolo: “Il peccato originale dietro l’impennata dei prezzi di luce e gas”. Sommario: “L’errore è stato avere indicizzato le bollette ai livelli del gas Ttf di Amsterdam”. Secondo l’articolo, la vera causa è infatti il cambiamento dell’indice utilizzato per fissare il prezzo all’ingrosso, passando dal costo all’importazione al Ttf del mercato finanziario speculativo olandese. Causa già indicata nel nostro dossier “Carissimo gas” pubblicato circa un anno e mezzo fa e più volte ripresa in articoli successivi (da ultimo nell’inchiesta di copertina di dicembre sulla fine della “maggior tutela” per gas e luce). Meglio tardi che mai.
L’impennata
dell’indice Ttf non ha però inizio dal gennaio 2020, come riportato
nell’articolo del Sole: il 2020 è l’anno con la media del costo Ttf
più bassa dal 2018. L’inizio dell’aumento speculativo risale invece al luglio
2021. È una differenza temporale importante che spiega molte cose e che,
soprattutto, evidenzia le responsabilità di quel 15,11% di inflazione tra
luglio 2021 e dicembre 2022 e della pesante riduzione del potere di acquisto di
salari, stipendi e pensioni alla quale non si è ancora posto rimedio.
Nella
segnalazione 252/2022/I/GAS del giugno 2022 al Parlamento e al
governo, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera)
sosteneva che si fosse resa più opportuna e coerente con la realtà l’adozione
dell’indice Ttf, essendo il prezzo indicizzato al Brent solo il 20-30% del
totale dei volumi di gas scambiati, nonostante corrispondesse (e corrisponda
ancora) al gas importato. Il 3 agosto 2021 Arera aveva del resto deliberato
“l’acquisto dell’abbonamento annuale alla banca dati European Spot Gas Markets
della società estera ICIS-Heren LNRS Data Services Limited quale fonte di
informazione e documentazione necessaria per lo svolgimento dell’attività
istituzionale di molti Uffici dell’Autorità”. Dal trimestre successivo applicò
al mercato tutelato l’indice Ttf, sostituendolo poi con il Psv nell’ottobre
2022.
Nella
relazione di Arera al Parlamento e al governo del 15 luglio 2022 emerge che gli
“acquisti in Borsa” nel 2021 sono stati il 2,97% del totale, eppure li
considerava il riferimento più coerente per la determinazione del prezzo
all’ingrosso del gas, mentre il 100% delle importazioni, al contrario, secondo
l’Autorità non era ed è indicativo.
È perciò
Arera che ha legittimato l’applicazione degli indici Ttf e Psv, che si
equivalgono, escludendo il costo effettivo sostenuto all’importazione, e, in
questo modo creando un “cartello” che fissa i prezzi in modo contrario ai
principi e alle regole della concorrenza. I gestori, in particolare gli
importatori, hanno gradito e lo hanno prontamente adottato, consentendo quegli
extra-profitti, mai tassati, già nel 2021, ben prima della guerra
russo-ucraina.
L’Antitrust
può intervenire se un cartello, in violazione della concorrenza, è il risultato
di un accordo tra imprese ma nulla può se è dovuto a un provvedimento di
un’Autorità di regolazione di settore, com’è il caso di Arera. Il silenzio
assordante non è quello dell’Antitrust ma della generalità dei media, esclusa,
fino a qualche giorno fa, la sola Altreconomia, che essendo
realmente indipendente ha potuto esprimersi liberamente denunciando, sin dal
loro manifestarsi, speculazione e annesse responsabilità.
La legge
istitutiva di Arera attribuisce alla stessa la funzione di promozione della
concorrenza e della tutela degli interessi di utenti e consumatori; se però è
la stessa Autorità che fissa il Ttf o il Psv come prezzo all’ingrosso di
riferimento e lo applica nel mercato tutelato, probabilmente, confonde il
significato di concorrenza con il regime di monopolio e la tutela di utenti e
consumatori con lo strumento per garantire maggiori profitti ai gestori.
Confusione confermata anche negli altri servizi regolati.
L’ultima
prova di tante assurdità è l’introduzione dal primo gennaio 2024 degli oneri di recesso per quell’utente dei contratti a prezzo fisso e a durata
determinata che intendesse cambiare gestore, magari perché ha
trovato tariffe più economiche. Consentire al gestore la variazione
unilaterale, quando il contratto non è più remunerativo, e impedire all’utente
di cambiare gestore quando trova condizioni migliori è una strana e
contraddittoria interpretazione del mercato libero e della tutela della
concorrenza.
Del resto,
se per Arera la concorrenza è l’apertura al mercato a tutti coloro che vogliono
esserne gestori, ignorando che la concorrenza è, nel mercato reale e per
definizione, la possibilità per il consumatore di scegliere il proprio
fornitore in rapporto alla qualità e al prezzo del bene o servizio diventandone
il vero regolatore, allora tutto diventa possibile. La vera soluzione, anche
per un recupero della funzione sociale dell’erogazione dei servizi pubblici,
quelli della presunta regolazione, è forse la soppressione di Arera. Che costa
troppo agli utenti e produce solo danni.
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