Il collasso sarà la nostra liberazione o la nostra rovina?
Alessandro Sbordoni intervista Geert Lovink
In questa
intervista, ho parlato con Geert Lovink del suo ultimo saggio Extinction Internet, l’hauntologia di Mark
Fisher, il ricordo di Bernard Stiegler, il movimento Extinction Rebellion e i
fantasmi dell’accelerazionismo
Alessandro
Sbordoni: Oggi il realismo digitale ci fa sentire come se un altro Internet non
fosse più possibile. In un tuo saggio intitolato Extinction Internet affermi che
Internet sta volgendo al termine e che è tempo per teorici, artisti, attivisti,
designer e sviluppatori di immaginare cosa resta dopo la fine di Internet per
come l’abbiamo conosciuto. Che cosa possiamo fare come utenti di Internet?
Geert Lovink: In una situazione come la nostra,
descritta da forme culturali ed economiche di stagnazione e recessione, la
rivoluzione delle generazioni più giovani non è molto verosimile. Oggi, la
sottocultura non può svilupparsi in opposizione alla cultura dominante. Questa
è la ragione fondamentale per cui ci troviamo in questa situazione. Per quanto
riguarda Internet, abbiamo visto la concentrazione del potere, la
centralizzazione e la monopolizzazione che proviene sia dallo Stato che dalle
aziende. Eppure, così come per il cambiamento climatico, tutti gli allarmi sono
caduti nel vuoto. Internet è oggi caratterizzato da una strana sintesi di
dipendenza digitale e sorveglianza statale. Tutto questo crea la sensazione che
non ci sia via d’uscita; non sappiamo dove andare. Nel frattempo, siamo ancora impantanati nelle paludi della piattaforma.
La verità è
che la capacità dell’individuo di impersonare il cambiamento è scomparsa.
Mentre le forme avanzate della stagnazione si sono dimostrate molto pericolose.
AS: Mi
ritorna alla mente ciò che diceva Mark Fisher riguardo la scomparsa di quei
presupposti che hanno reso possibile il modernismo nel XX secolo.
In Spettri
della Mia Vita, per esempio, Mark Fisher parla di una disconnessione del
circuito tra la musica sperimentale e la musica popolare. Anche tu hai lavorato
con la musica. Nel 2020 hai pubblicato un album ispirato al tuo libro Nichilismo
Digitale, il cui sound è un miscuglio di acid house, musica ambient e
paesaggi sonori apocalittici. Secondo te, oggi, la musica può ancora fomentare
il cambiamento nella società? Sto pensando a ciò che hai scritto in un tuo
articolo del 2020, Extinction
Bauhaus: “L’arte può […] svolgere un ruolo importante per le
‘sfide sociali’ — come acceleratore di problematiche.” Se la musica punk è
stata un ottimo esempio di questo negli anni ’70, quale potrebbe essere la sua
controparte nel XXI secolo? O sei d’accordo con Mark Fisher quando afferma che
il circuito tra underground e cultura popolare è stato scollegato?
GL: Sono molto d’accordo con Mark
Fisher su questo punto. Sono inoltre convinto che Mark Fisher fosse una persona
unica che ha fatto molta ricerca interiore non certo piacevole. I più giovani
sono sicuramente attratti da lui anche per questo; è stato uno dei pochi
critici della cultura, insieme a Franco Berardi, ad averlo fatto. Gli altri non
erano in grado di ammettere di essersi bloccati; non potevano o non volevano
riconoscere che le forme di protesta e resistenza più tradizionali non avevano
più senso. La verità è che la capacità dell’individuo di impersonare il cambiamento
è scomparsa. Mentre le forme avanzate della stagnazione si sono dimostrate
molto pericolose. Gli stati mentali depressivi che portano alla rabbia e
all’ansia possono creare danni irreversibili agli individui e, infine, alla
società in generale.
Nei miei
ultimi lavori, ho tentato implicitamente di rispondere a questa domanda: perché
Mark Fisher si è suicidato? E in modo simile, perché Bernard Stiegler si è
tolto la vita? Intendo parlare del suicidio come metafora. Chiediamoci allora:
cosa succede quando guardiamo in fondo all’abisso? A essere sinceri, non molte
persone sono inclini a discutere apertamente di questo. Certo, queste persone
vogliono fare cambiamenti radicali e affrettarsi a trovare soluzioni positive.
Ma cosa accade se il processo stesso ristagna? E cosa succede quando le forme
collettive di edonismo, dalle feste, alle droghe e così via, non sono più delle
opzioni disponibili? Questo è quello che è successo durante i lunghi lockdown
per il COVID-19, ad esempio. Sia la musica che il ballare sono modi per
sublimare quei tetri stati mentali attraverso la poesia, il rap ed esperienze
corporee estatiche. Ma c’è un altro lato di tutto questo: la ricezione di
teoria e idee attraverso suono, musica e video piuttosto che nella forma
classica e disciplinata della lettura assorta. La distrazione e l’irrequietezza
sono effettivamente vere e proprie realtà neuroscientifiche: realismo corporeo.
Un’altra
domanda che mi sono fatto ultimamente riguarda l’identificazione con questo
stato oscuro. Come insegna la psicoanalisi, è necessario comprendere la
situazione per trasformarla — questo è anche un principio del marxismo: se non
studiamo la situazione attuale, come possiamo cambiarla? La nostra ricerca
tuttavia potrebbe anche condurci verso uno stato mentale pericoloso, il quale
non ci offrirà una via d’uscita. Credo questo sia il punto in cui ci troviamo
in questo momento.
AS: Sembra che stiamo parlando
di una sorta di delirio, che di nuovo mi sembra attinente a una particolare
lettura del realismo capitalista di Mark Fisher. Nelle sue opere, Mark Fisher
ha sviluppato un’analisi psicopatologica del tardo capitalismo, alla quale
anche tu hai contribuito con il tuo libro Nichilismo Digitale.
Tuttavia, nella tua intervista con Franco Berardi del maggio 2022, e, più
recentemente, in Extinction Internet, sei parso scettico sulla
potenzialità di questo approccio di produrre cambiamenti politici nella
società. Anche la filosofia di Bernard Stiegler, in aggiunta a quella di Mark
Fisher e Franco Berardi, ha influenzato il tuo lavoro. In analogia con Bernard Stiegler,
hai parlato di Internet come pharmakon: allo stesso tempo cura e
veleno. Potresti approfondire il concetto di pharmakon e come
questo potrebbe essere applicato alle tue teorie?
GL: Per usare un’espressione più
comune, abbiamo a che fare sia con il problema che la soluzione. Quindici anni
fa, pensavamo che Internet sarebbe stata la soluzione a molti problemi, tra cui
la questione dei media centralizzati che riguarda appunto le infrastrutture e
la logistica decentralizzate, i sistemi di distribuzione e così via. C’è voluto
molto tempo per rendersi conto — anche grazie a Evgeny Morozov, Sherry Turkle,
Douglas Rushkoff, Andrew Keen e molti altri critici di Internet — che Internet
era diventato parte del problema. Dal punto di vista del pharmakon, problemi e
soluzioni s’intrecciano. È necessario capire che non appena siamo in grado di
guardare in faccia il problema, possiamo già scorgere la soluzione
all’orizzonte. Quando ho incontrato Bernard Stiegler la situazione era simile a
quella in cui ci troviamo di nuovo, adesso. Era il 2013, e stavamo gestendo il
network Unlike Us, un’iniziativa creata nel contesto della critica ai social
media e dello sviluppo di alternative a Facebook e Twitter, fondata nel 2011.
In quel periodo, ho anche lavorato con Harry Halpin e Yuk Hui per documentare
la critica sui social media di Bernard Stiegler e il suo coinvolgimento nello
sviluppo di alternative negli anni 2012 – 2013. Questo lato della sua carriera
non è ben noto, purtroppo, ma ha lavorato molto a queste alternative. In fin
dei conti, conosciamo Bernard Stiegler dai suoi testi e libri. Non ha lasciato
troppo spazio per tutti gli sviluppi in cui è stato direttamente coinvolto sul
fronte delle alternative. Al momento, sono convinto che conosceremo un altro
Bernard Stiegler nei prossimi cinque o dieci anni; in effetti si sa ancora
relativamente troppo poco di tutto questo. Stava lavorando a nuove forme di
organizzazione; ha organizzato una scuola estiva nel centro della Francia, e
che anch’io ho frequentato; per non dimenticare il lavoro dell’IRI al Centre
Pompidou, con sede in un piccolo ufficio nel cuore di Parigi. Poi, nel 2014,
c’è stata l’invasione dell’Ucraina, seguita dall’abbattimento del MH17, la
guerra in Siria, la crisi dei rifugiati europei, culminata con la Brexit e le
elezioni di Donald Trump. E infine, ovviamente, l’epidemia di COVID-19. Bernard
Stiegler è morto nell’agosto del 2020. Sono convinto ci siano sempre dei
momenti in cui è possibile mettere a punto delle soluzioni per evitare il
collasso. Dobbiamo studiare la crisi. Questa è la collassologia — o
l’insegnamento del collasso. Analizziamo il disastro. Ma quale effetto ha su di
noi? Ci condurrà alla liberazione o alla nostra stessa rovina?
Sono
convinto ci siano sempre dei momenti in cui è possibile mettere a punto delle
soluzioni per evitare il collasso. Dobbiamo studiare la crisi. Questa è la
collassologia – o l’insegnamento del collasso. Analizziamo il disastro. Ma
quale effetto ha su di noi? Ci condurrà alla liberazione o alla nostra stessa
rovina?
AS: Nel tuo ultimo saggio,
suggerisci un’analogia tra Extinction Internet ed Extinction
Rebellion. La premessa di una relazione come questa sembra sia l’assenza di una
vera e propria differenza tra digitale e analogico, un’ipotesi che hai
assecondato in Extinction Internet e, prima ancora, nel tuo
articolo Extinction Bauhaus del 2020. Qual è il significato di
questa affermazione?
GL: Avendo fatto parte di questi
movimenti sociali per molti decenni, la risposta viene da sé. Il valore del
coinvolgimento diretto è qualcosa che condivido in gran parte anche con Franco
Berardi. Ma pure la domanda su quale tipo di strategie valga la pena sviluppare
è importante. È rilevante menzionare Black Lives Matter qui, o i movimenti
contro la crisi degli alloggi, contro gli affitti elevati e contro il forte
aumento della disuguaglianza sociale. Nel caso di Extinction Rebellion, c’è un
legame con ciò che in Francia è noto come collassologia e
quello che io ho chiamato lo stack delle crisi, il quale, devo
ammetterlo, è una forma distorta del concetto di stack introdotto
da Benjamin Bratton. Non penso più che il modo in cui Benjamin Bratton definì
lo stack sia di alcuna utilità per noi oggi.
Nel caso
della nostalgia per la rete, dovremmo cercare di capire che la nostalgia per le
comunità di Internet negli anni ’90 riguarda qualcosa che esisteva realmente
all’epoca. Queste comunità non erano dei fantasmi.
Lo stesso
vale per il modello più tecno-ingegneristico dello stack, in circolazione da
circa quarant’anni e che Benjamin Bratton ha ulteriormente perfezionato: una
stratificazione di cavi, fino al desktop, all’interfaccia, al profilo e infine
all’utente. Ma oltre alla versione digitale dello stack, c’è anche uno stack
dei prezzi e uno stack del razzismo (incluso il retaggio della schiavitù e del
colonialismo). Quest’ultimo, naturalmente, è di grande rilevanza per il
movimento Black Lives Matter. La domanda si fa più difficile quando parliamo di
Extinction Rebellion perché è un movimento ancora nel suo periodo formativo.
Saremo in grado di capirne di più soltanto nei prossimi anni, se non decenni.
Ciò che è fondamentale per tutti questi movimenti sociali emergenti, in ogni
caso, è riunirsi e fare esperienza attraverso delle modalità di organizzazione,
dibattito informato e creando culture che favoriscano un cambiamento radicale.
AS: In una nota a piè di
pagina di Extinction Internet, abbozzi un parallelo tra
l’hauntologia di Mark Fisher e la riabilitazione di Internet, ad esempio da
parte dell’Institute of Network Cultures. Alla luce di questo, volevo
chiederti: che cosa ne pensi della nostalgia per la rete?
GL: Sono convinto che sia sempre
possibile creare nuove comunità. Sono inoltre convinto, come Tiziana Terranova,
che il tecno-sociale esiste e sarà sempre più rilevante per il futuro. Nel caso
della nostalgia per la rete, dovremmo cercare di capire che la nostalgia per le
comunità di Internet negli anni ’90 riguarda qualcosa che esisteva realmente
all’epoca. Queste comunità non erano dei fantasmi. Per di più, c’è un’altra
forma di nostalgia che è legata al software, agli strumenti e alle piattaforme
che sono state utilizzate nel passato. La nostalgia riguarda un mondo che è
perduto e che non c’è più. Ovviamente, possiamo sempre tentare di ricrearlo e
creare sostituti del passato. Possiamo sempre costruire monumenti per
commemorarne la storia. Questo è quello che sto facendo in questo momento, ad
esempio, mentre scrivo la mia storia personale degli anni ’90. Ciononostante,
sappiamo bene che la nostalgia per Internet esiste già per i millennial. Sia
che si tratti di Tumblr, MySpace o dell’intero mondo dei blog interconnessi
attraverso i feed RSS; tutto ciò non esiste più. Al giorno d’oggi potremmo
persino parlare di una sorta di nostalgia per Twitter.
Avremmo
bisogno di modificare e reinscenare, o addirittura mettere in scena per la
prima volta, il dibattito accelerazionista. I veri dibattiti accelerazionisti sono
quelli che sono ancora davanti a noi.
AS: Gli anni ’90 sono stati
definiti da una certa euforia per Internet. Proprio in questo periodo si
delineò un approccio filosofico noto come accelerazionismo. Oggi,
l’accelerazionismo è spesso identificato con il lavoro di Nick Srnicek, il
quale è inoltre citato all’interno delle tue opere. Qual è la tua opinione
sull’accelerazionismo?
GL: Questi sono dibattiti che hanno
avuto luogo, ma che in qualche modo non sono realmente accaduti. Al tempo
stesso, penso che non li abbiamo presi abbastanza sul serio. Dove si può
rintracciare il dibattito accelerazionista? Su blog, mailing list, social
media? Buona fortuna a ricostruirlo; e questo è un bel problema. Ci sono alcuni
testi chiave qua e là, ma dov’è il dibattito? Il dibattito accelerazionista è
qualcosa che le generazioni future troveranno molto difficile da capire perché
queste discussioni non sono state adeguatamente documentate — figuriamoci
centralizzate e messe in scena. Fortunatamente, oggi possiamo trovare maggiori
informazioni sul “socialismo digitale” e sulla pianificazione socialista
nell’era della logistica su larga scala secondo Amazon e i centri dati.
Naturalmente,
avremmo bisogno di modificare e reinscenare, o addirittura mettere in scena per
la prima volta, il dibattito accelerazionista. Questo vorrebbe dire affrontare
la complessità geopolitica, per cui potrebbero essere sviluppate azioni
accelerazioniste, per esempio, riguardanti l’acquisizione delle infrastrutture,
la logistica e il ruolo della pianificazione centralizzata. Forse un modo di
guardare a questo è dire che i veri dibattiti accelerazionisti sono quelli che
sono ancora davanti a noi.
La versione originale di questa intervista è stata
pubblicata su Blue Labyrinths.
Alessandro Sbordoni è uno scrittore
italiano. Collabora con la rivista inglese Blue Labyrinths e
della rivista italiana Charta Sporca per cui ha pubblicato
estratti del suo lavoro più recente, Semiotica della Fine. Vive e
lavora a Londra. Geert Lovink è teorico dei media e studioso di
Internet. È autore, tra gli altri, di Uncanny Networks (2002), Dark
Fiber (2002), e Nichilismo digitale. L’altra faccia delle
piattaforme (2019). Coideatore della mailing list Nettime e
di ADILKNO (Foundation for the Advancement of Illegal Knowledge), nel 2004 ha
fondato l’Institute of Network Cultures all’Università delle Scienze Applicate
di Amsterdam.