Certo è un atto laborioso. Costa anche: facendo i conti fanno 2 euro al litro
più il prezzo dei barattolini, se non li hai conservati. Resta teoricamente una
prassi non economica. Vero, se hai i tuoi pomodori (e forse sarebbe corretto
mettersi nelle condizioni di produrli), ti costa meno. Se c’è una cosa che il
Covid ci ha insegnato, è che bisognerebbe essere più autonomi (sulla piccola,
intima scala, e sulla grande).
Ma torno a queste boccette sacre che, passata l’estate,
accompagnando i sapori d’autunno e quelli d’inverno, diventano
distillati di memoria, concentrati di pensieri. La ricetta del sugo
pronto ha un che di tribale: si lasciano sbollentare i pomodori in un dito
d’acqua con un po’ di cipolla tagliata fine. Si lascia perdere acqua ai
pomodori, per poi passarli. Mamma Enrica è stata poco soddisfatta dello
sgocciolio, “troppo poco”. È troppo liquida perché abbiamo fatto
frettolosamente questo passaggio. Lo ha ripetuto in continuazione.
Ogni passaggio tecnico richiede una continua valutazione degli errori, che
diventa l’anno successivo nuova rielaborazione. Poi nel tempo una prassi e,
infine, trasmissione. Talvolta tacita, fatta di gesti e silenzi. Poi,
per far diventare il sugo una passata c’è il fatto strano. In genere
uno si dice che fa un soffritto con la cipolla o l’aglio, poi mette la passata
e conserva. E invece no. Qui serve neutralità.
In un pentolino a parte si lascia friggere dell’olio, molto olio. La
ragione è che un tempo era forse troppo amaro, l’olio. A me questa cosa
che si frigga un olio “a buffo” comunque mi piace. Perché non si
autofrigga in solitudine si mette qualcosa dentro (una patata, una cipolla o un
pezzo di pane). Ma il pezzo di pane è imbevuto in un po’ di aceto.
Questa cosa dell’aceto si perde nei tempi. Lui è in genere
il mastro del tempo, una sorta di fido bancario dei poveri. Ma affidabile. Il
sapore acidognolo, resta leggermente nelle retrovie quando in pieno inverno il
sugo fa il giro del palato. Ogni pietanza dovrebbe avere un po’ di acidognolo,
perché dà profondità, perché la vita è pur sempre un po’ acidognola, perché
quando nel palato e nella vita si perde quella nozione di acidità, resta
l’avidità dello zucchero: istantanea, succedanea, effimera, additiva,
morbosa. L’aceto no, non fa niente per esserti simpatico, ma ti
garantisce la proroga del tempo, come quegli esseri burberi che a
volte sembrano duri e poi scopri che al contrario, si risparmiano i convenevoli
per andare dritti al sodo.
Quest’olio fritto, quindi, si versa nel pomodoro passato che, a quel punto,
si sbollenta per una oretta circa, sino a che non arriva alla giusta
densità, che subirà le conseguenze della liquidità nel primo passaggio. Poi si
mette nei barattoli. Ne è uscito un numero pari al sugo fatto. Dieci litri, in
barattolini da 330 o 550 grammi, con 20 chili di pomodori. Con resa di uno a
due, non male!
Il prevedere il numero esatto di contenitori ha a che fare con lo
sciamanesimo. Quando uno dice “a occhio”, non riguarda il semplice fare un piatto a
occhio, è nel fare la spesa che uno fa a occhio. Il subconscio del cuoco che fa
a occhio è morigerato, parsimonioso e forse un po’ moralista, ma a fin di bene.
Nulla va sprecato. Dato che il cuoco che fa a occhio si rifiuta di fare i
calcoli, il suo subconscio li fa per lui. Quindi, facendo a spanne, con 20
chili avevo preso 10 chili di barattoli potenziali… tiè… ne è rimasto di che
farsi lo spaghettino fresco, liberatorio dopo tanto sforzo.
Resta il tema del basilico, da tutti incaricato di ricordare l’estate. È una
responsabilità immane. Aperto il barattolo, la prima cosa che fai è sentire il
profumo del basilico: “ecco, fa caldo!”, ti dici, e invece magari fuori
piove. È fatica sprecata se non metti il basilico buono, quello che
non aveva l’idoneità per impersonare l’estate. Serve un basilico capace di
giocare, un basilico “scespiriano” per un barattolino che, aperto in autunno e
in inverno, abbia a che fare con un sogno di mezza estate.
Quindi, trovato il basilico, va lavato per bene (anche i pomodori lo
domandano un lavaggio doppio e talvolta triplo). Poi asciugato totalmente,
perché l’acqua farebbe un casino pazzesco nel sugo. Due tre foglie in
ogni barattolo si incaricano, dunque, del rapporto tra sogno e realtà. Poi,
del conservare. Da piccolo non capivo perché Maria fosse stata messa a bagno…
poi mi dissero che era una sola parola, bagnomaria, a essere responsabile della
proroga della bontà. Così, ancora il tempo, si fa garante. In questo caso devi
fare poco: fai bollire i barattoli e poi raffreddare nella notte.
Così ora è tutto pronto. Resta solo di farli arrivare a Roma. Prima arrivavano
a Parigi o Tolosa. Gigi, mio fratello che vive a Londra, si lamenta che abbiano fatto la
Brexit per non fargli arrivare i barattolini. Probabile. Di questi barattoli ne
abbiamo fatti una cinquantina. Sono quelli per mio figlio Pablo, che tra poco
se li cucinerà solo, ormai può giocare con i fornelli tornando da scuola.
Per il resto… un tempo se ne “salivano” un centinaio, di passate.
Ora le compro da contadini cui voglio bene. Perché c’è una cosa
altrettanto bella del farsele da soli: costruire una comunità di contadini che
le fanno e invadono le città, come nei gruppi di acquisto solidali, nei mercati
di Genuino Clandestino. Io ad esempio chiedo a Libera Feola di Somma Vesuviana
o ai ragazzi di Salento Km0 di portarmi la dispensa per l’inverno. Ci sono
centinaia di contadini ancora “villani”, che si ostinano a fare le cose con
amore, coerenza, fatica immane.
Così, talvolta l’abdicare, il delegare, non facendo tutto da soli, diventa
protezione per chi si incarica di essere responsabile verso Madre Terra, per
proteggerla; verso la salvaguardia del gusto dei bimbi, per proteggere anche loro. Per
proteggere la salute e la fantasia. Non è epoca di parlare di ecologia, mi pare
chiaro. Che una passata salverà il mondo farà ridere i polli, lo so. Ma resta
il problema dell’idealismo. Anche se il mondo brucia, e la terra si secca
davvero. Ci ho creduto che la cucina fosse un atto politico, ma mi
hanno fatto capire quanto non lo sia.
Ma noi, ad ogni modo, perpetuiamo e trasmettiamo, pur di non chiedere a una
passata industriale di aiutarci a fare una parmigiana. Perché quello è spesso
il concentrato di tutti i mali del mondo, tra chimica nei campi, caporalato e
schiavismo nella raccolta, mafia e strozzinaggio nella distribuzione. Ma come
ogni anno, con il sughetto pronto passerò l’autunno e l’inverno, che
dura più di una nottata. Il mondo sarà cambiato, sempre in peggio, ma
intanto ho prorogato il tempo con aceto e bagnomaria. E si sa che il tempo,
come la nottata, porta consiglio.
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