venerdì 7 ottobre 2022

Sogno d’un sugo di mezzaestate - Don Pasta


Certo è un atto laborioso. Costa anche: facendo i conti fanno 2 euro al litro più il prezzo dei barattolini, se non li hai conservati. Resta teoricamente una prassi non economica. Vero, se hai i tuoi pomodori (e forse sarebbe corretto mettersi nelle condizioni di produrli), ti costa meno. Se c’è una cosa che il Covid ci ha insegnato, è che bisognerebbe essere più autonomi (sulla piccola, intima scala, e sulla grande).

Ma torno a queste boccette sacre che, passata l’estate, accompagnando i sapori d’autunno e quelli d’inverno, diventano distillati di memoria, concentrati di pensieri. La ricetta del sugo pronto ha un che di tribale: si lasciano sbollentare i pomodori in un dito d’acqua con un po’ di cipolla tagliata fine. Si lascia perdere acqua ai pomodori, per poi passarli. Mamma Enrica è stata poco soddisfatta dello sgocciolio, “troppo poco”. È troppo liquida perché abbiamo fatto frettolosamente questo passaggio. Lo ha ripetuto in continuazione.

Ogni passaggio tecnico richiede una continua valutazione degli errori, che diventa l’anno successivo nuova rielaborazione. Poi nel tempo una prassi e, infine, trasmissione. Talvolta tacita, fatta di gesti e silenzi. Poi, per far diventare il sugo una passata c’è il fatto strano. In genere uno si dice che fa un soffritto con la cipolla o l’aglio, poi mette la passata e conserva. E invece no. Qui serve neutralità.

In un pentolino a parte si lascia friggere dell’olio, molto olio. La ragione è che un tempo era forse troppo amaro, l’olio. A me questa cosa che si frigga un olio “a buffo” comunque mi piace. Perché non si autofrigga in solitudine si mette qualcosa dentro (una patata, una cipolla o un pezzo di pane). Ma il pezzo di pane è imbevuto in un po’ di aceto.

Questa cosa dell’aceto si perde nei tempi. Lui è in genere il mastro del tempo, una sorta di fido bancario dei poveri. Ma affidabile. Il sapore acidognolo, resta leggermente nelle retrovie quando in pieno inverno il sugo fa il giro del palato. Ogni pietanza dovrebbe avere un po’ di acidognolo, perché dà profondità, perché la vita è pur sempre un po’ acidognola, perché quando nel palato e nella vita si perde quella nozione di acidità, resta l’avidità dello zucchero: istantanea, succedanea, effimera, additiva, morbosa. L’aceto no, non fa niente per esserti simpatico, ma ti garantisce la proroga del tempo, come quegli esseri burberi che a volte sembrano duri e poi scopri che al contrario, si risparmiano i convenevoli per andare dritti al sodo.

Quest’olio fritto, quindi, si versa nel pomodoro passato che, a quel punto, si sbollenta per una oretta circa, sino a che non arriva alla giusta densità, che subirà le conseguenze della liquidità nel primo passaggio. Poi si mette nei barattoli. Ne è uscito un numero pari al sugo fatto. Dieci litri, in barattolini da 330 o 550 grammi, con 20 chili di pomodori. Con resa di uno a due, non male!

Il prevedere il numero esatto di contenitori ha a che fare con lo sciamanesimo. Quando uno dice “a occhio”, non riguarda il semplice fare un piatto a occhio, è nel fare la spesa che uno fa a occhio. Il subconscio del cuoco che fa a occhio è morigerato, parsimonioso e forse un po’ moralista, ma a fin di bene. Nulla va sprecato. Dato che il cuoco che fa a occhio si rifiuta di fare i calcoli, il suo subconscio li fa per lui. Quindi, facendo a spanne, con 20 chili avevo preso 10 chili di barattoli potenziali… tiè… ne è rimasto di che farsi lo spaghettino fresco, liberatorio dopo tanto sforzo.

Resta il tema del basilico, da tutti incaricato di ricordare l’estate. È una responsabilità immane. Aperto il barattolo, la prima cosa che fai è sentire il profumo del basilico: “ecco, fa caldo!”, ti dici, e invece magari fuori piove. È fatica sprecata se non metti il basilico buono, quello che non aveva l’idoneità per impersonare l’estate. Serve un basilico capace di giocare, un basilico “scespiriano” per un barattolino che, aperto in autunno e in inverno, abbia a che fare con un sogno di mezza estate.

Quindi, trovato il basilico, va lavato per bene (anche i pomodori lo domandano un lavaggio doppio e talvolta triplo). Poi asciugato totalmente, perché l’acqua farebbe un casino pazzesco nel sugo. Due tre foglie in ogni barattolo si incaricano, dunque, del rapporto tra sogno e realtà. Poi, del conservare. Da piccolo non capivo perché Maria fosse stata messa a bagno… poi mi dissero che era una sola parola, bagnomaria, a essere responsabile della proroga della bontà. Così, ancora il tempo, si fa garante. In questo caso devi fare poco: fai bollire i barattoli e poi raffreddare nella notte.

Così ora è tutto pronto. Resta solo di farli arrivare a Roma. Prima arrivavano a Parigi o Tolosa. Gigi, mio fratello che vive a Londra, si lamenta che abbiano fatto la Brexit per non fargli arrivare i barattolini. Probabile. Di questi barattoli ne abbiamo fatti una cinquantina. Sono quelli per mio figlio Pablo, che tra poco se li cucinerà solo, ormai può giocare con i fornelli tornando da scuola.

Per il resto… un tempo se ne “salivano” un centinaio, di passate. Ora le compro da contadini cui voglio bene. Perché c’è una cosa altrettanto bella del farsele da soli: costruire una comunità di contadini che le fanno e invadono le città, come nei gruppi di acquisto solidali, nei mercati di Genuino Clandestino. Io ad esempio chiedo a Libera Feola di Somma Vesuviana o ai ragazzi di Salento Km0 di portarmi la dispensa per l’inverno. Ci sono centinaia di contadini ancora “villani”, che si ostinano a fare le cose con amore, coerenza, fatica immane.

 

Così, talvolta l’abdicare, il delegare, non facendo tutto da soli, diventa protezione per chi si incarica di essere responsabile verso Madre Terra, per proteggerla; verso la salvaguardia del gusto dei bimbi, per proteggere anche loro. Per proteggere la salute e la fantasia. Non è epoca di parlare di ecologia, mi pare chiaro. Che una passata salverà il mondo farà ridere i polli, lo so. Ma resta il problema dell’idealismo. Anche se il mondo brucia, e la terra si secca davvero. Ci ho creduto che la cucina fosse un atto politico, ma mi hanno fatto capire quanto non lo sia.

Ma noi, ad ogni modo, perpetuiamo e trasmettiamo, pur di non chiedere a una passata industriale di aiutarci a fare una parmigiana. Perché quello è spesso il concentrato di tutti i mali del mondo, tra chimica nei campi, caporalato e schiavismo nella raccolta, mafia e strozzinaggio nella distribuzione. Ma come ogni anno, con il sughetto pronto passerò l’autunno e l’inverno, che dura più di una nottata. Il mondo sarà cambiato, sempre in peggio, ma intanto ho prorogato il tempo con aceto e bagnomaria. E si sa che il tempo, come la nottata, porta consiglio.

da qui

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