Nella fine dell’agosto del 1791, nell’isola di Santo Domingo, oggi Repubblica di Haiti, cominciò l’insurrezione che avrebbe giocato un ruolo determinante nell’abolizione della tratta atlantica degli schiavi. Ricostruire quella straordinaria storia di ribellione nel Sahel oggi mette in evidenza due cose. La prima: le porte di “non-ritorno”, i luoghi dai quali furono deportati dodici milioni di africani, si sono moltiplicate perché la mercificazione delle persone si è, col tempo, perfezionata. La seconda: nessun cambiamento, trasformazione o autentica rivoluzione potrà cadere dall’alto di un’illuminata minoranza. “Le uniche liberazioni possibili non possono che scaturire, nutrirsi e crescere – scrive Mauro Armanino, ricordando Etienne de la Boétie e il Discorso sulla servitù volontaria – a partire dalla debolezza e la fragilità dei poveri che, soli, hanno il segreto della quotidiana lotta per la r-esistenza…”
La schiavitù, processo nel quale la persona è espropriata della sua umana
dignità, non è affatto terminata. Difficile dimenticare la tratta
atlantica di milioni di schiavi preceduta e accompagnata dal quella dei mari
orientali attraverso le piste carovaniere del deserto. In questo ambito Paesi
“cristiani” e “musulmani” hanno utilizzato entrambi la schiavitù come sistema
economico e sociale, mare Mediterraneao compreso. La tratta degli
schiavi ha saputo adattarsi e prosperare nelle mutevoli contingenze storiche
senza nulla perdere della sua cinica strategia di annientamento. In Africa
Occidentale la pratica della schiavitù si riproduce in vari Paesi a seconda dei
gruppi etnici, dei rapporti di potere culturale, economico e politico. Per ogni
epoca le sue “compatibili” schiavitù.
Nella notte del 22 al 23 agosto del 1791 iniziò l’insurrezione nell’isola
di Santo Domingo, oggi Repubblica di Haiti, che avrebbe giocato un ruolo
determinante nell’abolizione della tratta atlantica degli schiavi. Ed è in questo
contesto che la giornata internazionale della memoria della tratta degli
schiavi e della sua abolizione è commemorata ogni anno il 23 agosto. Detta
celebrazione vuole inscrivere questa tragedia nella memoria collettiva dei
popoli col progetto interculturale “Le Strade delle persone ridotte in
schiavitù”. Alcuni luoghi della costa atlantica, come la “Porta del non-ritorno”
di Ouidah nel Bénin e quella dell’isola di Gorea in Senegal, sono emblematici. Le
porte di “non-ritorno” si sono oggi moltiplicate perché la mercificazione delle
persone si è, col tempo, perfezionata.
Tutto, proprio tutto, è stato gradualmente trasformato in mercanzia. Il tempo, le
frontiere, il corpo umano, la sessualità, il lavoro e la vita stessa fin dal
suo scaturire nel grembo materno. Dalle nostre parti si assiste
all’arruolamento di bambini nei gruppi armati, lo sfruttamento degli stessi nelle
miniere e nelle piantagioni per sfociare infine nella mendicità, la
prostituzione e il lavoro domiciliare. D’altra parte è bene non dimenticare
che, nel Sahel, la prima e grande schiavitù è la miseria. La sua
figlia naturale sono le carestie che si riproducono con paziente regolarità e
coinvolgono, secondo le ultime statistiche della Alliance Sahel, almeno 38
milioni di persone. Quanto accade in Libia coi migranti che sono da tempo
detenuti, imprigionati, sfruttati e,spesso, violentati, è storia ben nota.
Quanto alla schiavitù mentale, fonte e culmine di tutte le servitù
elencate, essa inizia il giorno nel quale si accetta, spesso con inconscia
gratitudine, la propria schiavitù. Senza sudditi sinceri, fedeli e
consenzienti nessuna schiavitù e nessun tiranno potrebbe esercitare il suo
potere di dominazione. Ricordava infatti Etienne de la Boétie:
Sono dunque i popoli stessi a lasciarsi o per dire meglio a farsi
maltrattare, sarebbero salvi solo se smettessero di servire. È il popolo che si
fa servo e si taglia la gola; che, potendo scegliere fra essere soggetto o
essere libero, rifiuta la libertà e sceglie il giogo, che accetta il suo male,
anzi lo cerca’.
Nel Sahel i colpi di stato a ripetizione e l’avvilimento delle esperienze
democratiche post indipendenza sono lo specchio dei nostri popoli.
Scrive ancora de la Boétie:
Non è forse evidente che i tiranni per imporsi hanno sempre cercato di
abituare i popoli non solo ad ubbidire e servire ma anche a venerarli?
Nessun cambiamento, trasformazione o autentica rivoluzione potrà cadere
dall’alto di un’illuminata minoranza civile o militare. Le
uniche liberazioni possibili non possono che scaturire, nutrirsi e crescere a
partire dalla debolezza e la fragilità dei poveri che, soli, hanno il segreto
della quotidiana lotta per la r-esistenza. Il primo passo sarà quello
consigliato dall’autore del Discorso sulla servitù volontaria:
Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi! Vi chiedo
… soltanto di smettere di sostenerlo e lo vedrete, come un colosso di cui si
sia spezzata la base, crollare sotto il proprio peso e spezzarsi.
È questa la vera porta di non-ritorno.
Nessun commento:
Posta un commento