Con una delibera della giunta guidata dal sindaco Gaetano Manfredi inizia la trasformazione dell’azienda di diritto pubblico Abc, che aveva raccolto in pieno lo spirito referendario del giugno 2011, in una Spa pronta ad aprirsi a capitali (e approcci gestionali) privati. Una trasformazione che taglia la partecipazione e il controllo dal basso e che viene presentata dai suoi promotori come obbligata. Ma non è così.
Un elenco di cinque piccoli paragrafi a pagina due nella delibera 266/2024 della giunta del
Comune di Napoli cancella l’unica esperienza di gestione pubblica e partecipata
con la cittadinanza dell’acqua e del suo ciclo integrato in una grande città
italiana. L’atto attende l’approvazione del Consiglio comunale, fino ad allora
Napoli rimarrà l’unica grande città ad avere dato senso compiuto nel 2013 al
referendum del giugno 2011 che abrogò il quadro normativo che consentiva a
soggetti privati di trarre profitto dalla gestione dell’acqua.
Un referendum che informalmente attribuiva alla risorsa idrica lo status di
“bene comune”, sulla scia dell’entusiasmo per la vittoria dei comitati
proponenti la prima giunta de Magistris trasformò l’Arin, la Spa che gestiva
l’acqua, nella società speciale di diritto pubblico Acqua bene comune (Abc).
Alberto Lucarelli, docente di Diritto costituzionale e pubblico
all’Università Federico II, allora assessore ai Beni comuni proprio a Napoli,
oggi amareggiato spiega come “dietro la delibera 266 della giunta di Gaetano
Manfredi c’è il progetto politico di dimostrare che la governance dell’azienda
non funziona così da perdere competitività in favore di soggetti privati
incalzanti. L’obiettivo è procedere gradatamente alla trasformazione della
forma giuridica da un soggetto di diritto pubblico a una Spa a capitale
pubblico per poi divenire una società mista. In Campania preme Acea, un
soggetto privato che opera all’interno della Gori su un territorio confinante a
quello di Abc”.
L’inizio della trasformazione di Abc avviene cancellando tre
punti essenziali dello statuto. Del consiglio di amministrazione (Cda)
non potranno più farne parte i due componenti designati dalle associazioni
ambientaliste, una partecipazione gratuita come quella anche del presidente.
Con le modifiche della giunta Manfredi vengono stanziati 78mila euro annui per
un Cda nominato dal ceto politico, restaurando quella prassi che riserva posti
di sottogoverno agli esuberi, oltre a incentivare il rischio di una
subordinazione dei dipendenti verso i partiti.
Consigliere dimissionario in contrasto con la proposta di stravolgimento
dello statuto è l’avvocato Domenico Aiello del Wwf. “Il nostro è stato un
supporto tecnico e qualificato. Da professionisti e ambientalisti abbiamo
notato che l’azienda non prevedeva negli appalti i decreti legislativi sui
Criteri minimi ambientali (Cam), oltre a pretenderli abbiamo lavorato sulla
formazione di tutti i dipendenti affinché conoscessero la norma e le linee
guida europee così da rappresentarle nell’operato. Oltre all’aspetto tecnico la
nostra presenza rappresentava gli interessi della società civile e delle future
generazioni. Siamo stati depositari di tutta l’attività dei comitati e abbiamo
garantito divulgazione e sensibilizzazione promuovendo le giornate dell’acqua,
aprendo porte dell’azienda e il Cda ai cittadini”.
Altro punto essenziale che mina la partecipazione dal basso alla vita di
Abc è il ridimensionamento dell’osservatorio sull’acqua. “Lo pensammo come un
parlamentino -spiega Lucarelli- con la partecipazione del Consiglio comunale,
delle municipalità, dei lavoratori dell’azienda e dei cittadini con una
rappresentanza degli utenti del servizio; l’organo sarà privato della missione
originaria perché le sue deliberazioni non saranno vincolanti, un conto è avere
un consesso in grado di esercitare attività di proposta e controllo
sull’azienda, altro è trasformarlo in sfogatoio di consultazione che genera
frustrazione”.
Il terzo punto riguarda la revoca dell’obbligo della stesura di un bilancio
partecipato a ambientale. Uno dei doveri aziendali che maggiormente godeva dell’apporto
tecnico delle associazioni, un bilancio che riuscisse a combinare gli aspetti
di gestione ed efficienza ed economicità orientati nel rispetto e nella tutela
della risorsa idrica, un modello di bilancio nel 2013 percussore di quelli oggi
richiesti dal Green Deal europeo, ed è strano che le forze
politiche che più di altre si dichiarano europeiste in scala locale smentiscano
tale indirizzo e coinvolgimento.
Tre modifiche dello statuto di Abc che snaturano l’azienda, proposte al
Consiglio comunale senza alcuna discussione con quella articolata eterogeneità
che undici anni fa diede vita alla prima municipalizzata partecipata dai
cittadini, proposte/imposizioni che giacciono ferme nell’anticamera del
Consiglio comunale, ferme per l’azione di contrasto sollevata da diverse
personalità e da qualche ordine del giorno critico approvato nelle municipalità
che si sentono private dalla possibilità di incidere sulle scelte dell’ente
gestore di un bene che si voleva comune.
Quando è nata Abc il confronto con movimenti, associazionismo, giuristi,
consulte e con Eau de Paris, l’azienda pubblica che gestisce
l’acqua nella capitale francese da cui Abc ha preso spunto, fu lungo e
complesso, “ma mai estenuante -racconta Lucarelli- ed è così che Abc divenne
l’unica azienda e Napoli l’unica grande città ad avere assunto il referendum
del 2011, anche in assenza di un quadro normativo che desse seguito al volere
popolare il Comune mise su una costruzione giuridica che trasformò una spa in
Abc. Un risultato incredibile se si pensa che l’allora Governo Berlusconi dopo
due mesi dal referendum approvò un provvedimento che riproduceva ciò che i
cittadini italiani avevano abrogato. Abbiamo sempre detto che Abc è una azienda
speciale, ma molto più speciale perché la sua specialità era dettata
dalla governance”.
Una vocazione alla privatizzazione che vuole in continuità tutti i governi
nazionali che si sono succeduti negli undici anni di vita di Abc e che oggi
vede propensa una amministrazione cittadina formata da quel “campo largo” che
si candida ad alternativa nel Paese. “È chiaro che la trasformazione di Abc
gode dell’orientamento dell’attuale amministrazione locale e da scelte
nazionali -continua Lucerelli- c’è un decreto legislativo del 2022 che comprime
lo spazio degli affidamenti diretti in house ed esclude la
possibilità di affidare ad aziende speciali la gestione di servizi pubblici
essenziali; a Napoli il problema si porrà nel 2027 quando scadrà l’affidamento
dell’Ente idrico campano ad Abc e già si dice con ipocrisia che saremo
costretti dalla norma nazionale a trasformare l’azienda in Spa. Non è vero
perché l’atto di affidamento del 2022 può essere prorogato per altri
trent’anni, il pallino è nelle mani del sindaco Manfredi e della sua giunta,
che non si dica che saranno obbligati dalla legge perché l’atto di affidamento
non lo dice”.
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