Saldi totali. Quello che vediamo da diversi mesi negli ultimi anni in Sardegna ed in Italia. Avete presente quando negli anni 90 e nei primi anni 2000 si lanciavano proclami su una presunta superiorità dei prodotti nostrani? Buona parte di quel discorso si basava sulla qualità dei prodotti nostrani, delle materie prime, maestranze e procedure; tutte cose che davano al consumatore un prodotto che giustificava il prezzo poi praticato sul mercato. Tutto bello, tutto perfetto se non fosse che i profitti legati al Pecorino Romano non hanno interessato principalmente i produttori iniziali, ma soltanto i distributori industriali. Nessun reinvestimento consistente nella filiera produttiva, nessuna campagna che valorizzasse il territorio, gli animali e le maestranze coinvolte nella produzione del Pecorino Romano. Nessun percorso stile Parmigiano Reggiano.
Si è deciso
un percorso inverso, simile a quello che si utilizza nel Terzo Mondo per lo
sfruttamento delle risorse naturali. Ossia creare un sistema basato sulla
quantità. In nome della richiesta si distorce un preliminare e si declassa la
qualità del prodotto. Via i limiti dati dalle qualità del bestiame sfruttato
per la produzione del formaggio (con introduzione di specie aliene a quelle
sarde). Via quindi i limiti dettati dalla territorialità in senso stretto, via
con la distruzione non solo di un prodotto ma di un modello economico sociale
che avrebbe dato un valore aggiunto al prodotto. Passa l’idea che un primario
tecnologico, avanzato e legato ad un’alta qualità dei prodotti possa valere per
il Nord Italia, mentre Sud ed Isole devono basarsi su un’economia limitata e su
modelli che non possono reggere competizione e richiesta ai giorni nostri.
E da parte
dei Sardi? Cosa possiamo dire in nostra discolpa? C’è stato per caso un
movimento di difesa per tutto ciò che rappresenta la cultura isolana, in campo
culinario, letterale, sociale, economico? Assolutamente no C’è un’incapacità
cronica di riuscire a connettere i vari ambiti nei quali le varie parti della
società sarda combatte. Vuoi per scarsa capacità nostrana di individuare e
risolvere i nostri mali atavici. La difesa del territorio sardo va fatta per la
speculazione energetica, il ripopolamento e lo sfruttamento per la produzione di
prodotti alimentari ad alto valore che possano dare risorse per il
potenziamento del settore primario sardo.
E qua vanno
dette anche due cose. La difficoltà di rendere le lotte dei pastori sardi di
creare un movimento permanente e potenzialmente molto influente, capace di
dettare le regole per la valorizzazione del prodotto Pecorino Romano. Che non
si limitasse al blocco delle strade nelle situazioni più buie giusto per
richiedere un obiettivo minimo come il prezzo del latte politico. La strategia
sarebbe dovuta essere di avere maggiori leve decisionali e un’organizzazione
più capillare, articolata e coordinata allo stesso tempo per crescere e avere
maggior peso nelle contese future. Qua paghiamo la miopia politica, intesa come
popolo e come Regione (che storicamente non è riuscita a far valere il proprio
peso nella questione e che anche attualmente latita, più impersonante una
grigia burocrazia di signorsì che di politici come il loro incarico
imporrebbe).
Sarebbe
interessante avere delle risposte:
– quale è
stata la reazione dei Sardi, in particolare ai lavoratori del comparto
allevamento, a tale prevaricazione? Come intenderanno proseguire un’eventuale
contrasto?
– quale sarà
la reazione della Regione Autonoma Sardegna, vista la possibilità entro oggi,
24 Novembre, di opporsi al preliminare sul punto legato alle specie ovine
aliene? O rimarrà inerte?
– quali sono
le previsioni di mercato e vendita del prodotto Pecorino Romano? Quali sono le
sicurezze per le quali il mercato dovrebbe rispondere positivamente? E chi
garantisce un aumento del volume di affari, quando il rischio potrà essere
quello di svalorizzare il prodotto?
Ma
soprattutto, in caso di danno al prodotto Pecorino Romano, chi pagherà?
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