Bulgaria: «Arrestati per avere salvato vite umane» - Collettivo Rotte Balcaniche
Migranti, tre insegnanti fermati in Bulgaria, «arrestati per avere salvato vite umane» Il comunicato di Collettivo Rotte Balcaniche
La Polizia di frontiera bulgara impedisce il soccorso
di tre migranti minorenni in pericolo di vita. I corpi, abbandonati nei boschi
tra la neve e in parte mangiati dagli animali, sono stati recuperati dal
Collettivo Rotte Balcaniche e da No Name Kitchen diverso tempo dopo.
La Polizia di frontiera bulgara ha abbandonato nei
boschi tre minorenni egiziani, Ali (15), Samir (16) e Yasser (17), di cui erano
state ripetutamente segnalate le condizioni critiche: l’omissione di soccorso
da parte delle forze dell’ordine e i continui ostacoli alle operazioni di
salvataggio degli e delle attiviste hanno portato alla loro morte.
Nelle prime ore del mattino del 27 dicembre, le
squadre di soccorso del Collettivo Rotte Balcaniche e di No Name Kitchen (NNK)
hanno ricevuto le segnalazioni di tre minorenni soli e a rischio immediato di
morte, probabilmente per ipotermia, vicino alla città di Burgas, nel sud-est della
Bulgaria. I video che accompagnavano le segnalazioni mostravano due di loro
sdraiati, privi di sensi, sulla neve. È stato chiamato il numero di emergenza
112 numerose volte, chiedendo assistenza immediata. Le squadre di soccorso
hanno subito cercato di raggiungere a loro volta le persone al più presto, ben
sapendo per esperienza che la Polizia di frontiera è solita omettere il
soccorso delle persone in movimento o respingerle in Turchia (pratica definita
pushback e dichiarata illegale da tutti i trattati internazionali, specie se
nei confronti di minori non accompagnati). Gli e le attiviste sono state
tuttavia bloccate più volte dalle pattuglie della Polizia di frontiera e per
questo non sono riuscite a raggiungere i minori. Hanno quindi esortato la polizia
a farlo ma sono state minacciate e brutalmente allontanate.
Il 28 dicembre, le squadre di soccorso sono riuscite
finalmente a raggiungere i luoghi delle prime due segnalazioni, condivise il
giorno prima con il 112, e hanno trovato due adolescenti morti. Uno era coperto
di neve, l’altro era sdraiato con la testa in una pozzanghera. Il 29 dicembre,
gli e le attiviste sono quindi andate nell’ultima posizione ricevuta. Non solo
hanno trovato il terzo corpo, ma parti di esso erano lacerate: un piede e la testa
erano stati mangiati dagli animali. Mentre il primo corpo è stato trovato a 20
metri dalla posizione segnalata alle autorità, gli ultimi due corpi sono stati
trovati alle precise coordinate GPS fornite al 112 ed erano chiaramente
visibili lungo il sentiero.
Sulle risposte delle autorità sembrano esserci due
sole spiegazioni possibili: o hanno visto e abbandonato le persone moribonde
dopo averle trovate, oppure non hanno mai raggiunto le loro posizioni, pur
avendo chiare indicazioni. Distinte impronte di stivali militari sulla neve
intorno a uno dei corpi – poi cancellate quando la Polizia di frontiera ha
dovuto recuperare il corpo – suggeriscono che degli agenti erano presenti nelle
ore precedenti, ma non hanno soccorso la persona, forse quando poteva ancora
essere salvata.
Sebbene su scala minore, le autorità sono state
violente anche verso gli e le attiviste: oltre a numerose intimidazioni, la
Polizia di frontiera ha costretto una squadra a camminare al gelo di notte per
ore, ha ordinato a un soccorritore di trasportare a mano uno dei corpi senza
vita, e altri ad essere trasportati nel bagagliaio dell’auto della polizia.
Pratiche in linea con quanto avviene da tempo e di cui il Collettivo Rotte
Balcaniche è testimone dall’estate del 2023. Omissioni di soccorso nei
confronti di persone che richiedono assistenza medica urgente, respingimenti in
Turchia di persone in gravi condizioni mediche, morti e una repressione sempre
più dura nei confronti di chi porta la propria solidarietà. Solo pochi giorni
prima, dopo aver soccorso tre persone, quattro soccorritori del Collettivo
Rotte Balcaniche erano stati messi in detenzione per l’intera notte in una
stanza fatiscente e senza materassi in una caserma, e lo stesso è avvenuto il
29 dicembre ad alcuni componenti di NNK, la quinta volta a partire da
settembre.
Le politiche migratorie europee stanno trasformando le
frontiere di terra e di mare in veri e propri tritacarne autorizzati, che
mettono le persone in pericolo e poi ne omettono il soccorso, rendendosi di
fatto dirette responsabili della loro morte. Queste politiche hanno ucciso Ali,
Samir e Yasser, così come decine di migliaia di individui alle frontiere
europee negli ultimi vent’anni, e ne uccideranno molti altri se non verranno
fermate. Non sono fallimenti delle politiche, ma le politiche stesse. Come
premio per tutto ciò, alla Bulgaria è stato appena concesso l’accesso all’area
Schengen.
Nicholas, attivista di No Name Kitchen, racconta a Radio Onda d’Urto la notte del 27
dicembre, durante quale la polizia ha impedito loro di soccorrere i tre
ragazzini egiziani trovati morti. La notte sucessiva, il 28 dicembre, Nicholas
è stato interrogato e fermato per ore dalla polizia bulgara. Ascolta o scarica
Della repressione lungo la frontiera bulgara-turca Radio Onda d’Urto ne aveva
parlato con attiviste e attiviste del Collettivo Rotte Balcaniche Alto
Vicentino. Potete
riascoltare l’intervista cliccando qui.
Approfittiamo delle vacanze natalizie, interrompiamo lavori e studio per
venire in Bulgaria. Dopo 40 ore di viaggio e 12 ore fermi in Croazia per via di
un ingorgo epico, a poche ore dal nostro arrivo riceviamo una richiesta di
soccorso. E’ il 24 dicembre pomeriggio. Tre ragazzi marocchini sono stremati
nel bosco, uno è ormai semi-incosciente e in iniziale stato di ipotermia. Le
temperature sono glaciali, si congela anche indossando vestiti tecnici e tute
da sci. In 15 minuti prepariamo cibo, vestiti, acqua, tè caldo, mantelline termiche
e borsa di primo soccorso. Usciamo da casa.
Facciamo lunghi giri in strade sconnesse e a tratti pericolose. L’intento è
evitare di essere bloccati dalla polizia di confine, che nella migliore delle
ipotesi ci fermerebbe per ore facendoci perdere tempo prezioso o ci impedirebbe
di recarci sul posto (questo accadrà due giorni dopo, causando la morte di
almeno tre adolescenti).
I tre ragazzi non comunicano più con il cellulare. La batteria deve essersi
esaurita. Arriviamo sul posto senza essere fermati né seguiti. E’ già un
successo.
Troviamo rapidamente i tre ragazzi: uno è in condizioni gravi, gli altri
due sembrano stare meglio. C’è il terrore nei loro occhi quando diciamo
che per chiamare l’ambulanza e salvare il loro amico arriverà sicuramente la polizia
bulgara. Ci vuole molto tempo per rassicurarli che, grazie alla nostra
presenza, non verranno picchiati, ma condotti in un centro di detenzione per
due settimane e poi in un campo aperto, dove sarà loro possibile chiedere asilo
in Bulgaria.
A seguito del nostro intervento, il ragazzo in situazione critica si
stabilizza lentamente e inizia ad essere cosciente. 20 minuti dopo la nostra
chiamata al 112, arriva la polizia di confine.
Dopo aver urlato e intimidito i presenti, ci viene chiesto di andare verso
la loro auto. Lì, aspettiamo per tre ore sotto pioggia e neve: i tre ragazzi
sono esausti e assiderati, faticano a camminare, scarpe e giacche sono zuppi
d’acqua. Ci chiedono insistentemente di non lasciarli da soli con la polizia.
Sono ancora molto spaventati.
Chiediamo alla polizia di confine se almeno il ragazzo in condizioni più
critiche possa ripararsi nella loro macchina. Non trema per il freddo, sembrano
quasi convulsioni. Il poliziotto ci risponde sorridendo che non fa freddo e ci
provoca dicendo che se ci teniamo possiamo dargli una delle giacche che stiamo
indossando.
Un agente cerca di intimidirci chiedendo i passaporti, che come sappiamo
non sono necessari. Le carte d’identità verranno richieste più volte durante le
successive tre ore. Dopo una lunga attesa finalmente arriva un’ambulanza e fa
un rapido controllo medico a tutti, ma se ne va presto vuota. Durante le tre
ore di attesa, il ragazzo più in difficoltà si lamenta ad alta voce e
ripetutamente; contrae il volto in espressioni di dolore intenso: ha i piedi
piagati e congelati, quindi glieli puliamo, disinfettiamo e mettiamo delle
bende prima di indossare calzini asciutti. Due di noi per ore gli stanno
fisicamente attorno, abbracciandolo e cercando di non far scendere la sua
temperatura. Le barrette energetiche vengono distribuite più volte. I telefoni
dei tre ragazzi vengono presi dalla polizia di confine.
Dopo lunghe ore di attesa, tensione e gelo un ufficiale della polizia ci
dice che saremo arrestati e che dobbiamo consegnare i telefoni. Diciamo che
glieli daremo solo quando saremo ufficialmente arrestati e riceveremo i
documenti relativi. Per il momento possiamo continuare ad usarli.
Per ultima arriva una terza auto della polizia di confine con un agente
presentato come ‘il capo’. Ci comunica che saremo in stato di arresto per 24
ore. Perquisiscono a fondo la nostra auto senza trovare nulla di interessante.
Due di noi vengono ammanettati. Condotti alla stazione di polizia di Malko
Tarnovo veniamo reclusi in una stanza spoglia, molto sporca e con la finestra
senza infissi e quindi impossibile da chiudere.
Due di noi vengono interrogati, ma non ci viene rilasciato nessun verbale.
Vogliono sapere chi ci dà le informazioni, se siamo un’organizzazione e molte
altre cose. Le condiscono con intimidazioni tipo: “Qui in Bulgaria sappiamo
come far tornare la memoria”, minacce di arresti per traffico illegale di
migranti e provocazioni becere tipo: “Voi aiutate? Bene, aiuta me, dammi cibo,
dammi dell’acqua ora!” oppure: “Voglio una macchina, perché non mi regalate una
macchina?”. Ci chiedono di lasciare le impronte digitali e la foto segnaletica,
ma ci rifiutiamo. Il fatto che non ci abbiano obbligato e che usciremo da
quella caserma senza averle date ci fa pensare che sia l’ennesimo abuso di un
potere esecutivo sempre più indisciplinato alla legge (oltre che, neanche a
dirlo, alla giustizia).
Cerchiamo di dormire per terra e su sedie puzzolenti. Quando chiediamo di
andare in bagno ci portano in un sotterraneo. C’è un largo corridoio buio e
spoglio con ai lati una decina di lastre di ferro chiuse con pesanti lucchetti.
Capiamo solo dopo che, verosimilmente, sono i luoghi dove vengono reclusi i
migranti. Le ‘porte’ ci colpiscono perché non hanno una maniglia, né uno
spioncino, solo una lastra pesante di metallo leggermente convessa. Cerchiamo
di allontanare il pensiero di quello che può accadere in quei luoghi quando non
ci sono testimoni.
Arrivati al fondo del corridoio il poliziotto fa un sorriso e ci indica una
porta. Aperta, troviamo uno sgabuzzino mefitico con piscio e merda ovunque. Un
secchio a lato del WC rotto che tracima di carta e fazzoletti sporchi pieni di
feci. Quell’espressione sul volto del poliziotto stona proprio, è la seconda
volta che sorridono facendo qualcosa di crudele.
Tornando dal bagno siamo ‘felici’ di vedere i tre ragazzi marocchini
spaventati, infreddoliti ma nella stessa stazione di polizia. Siamo ormai
praticamente certi siano ‘salvi’, che ristabiliti potranno fare della loro vita
quello che vorranno e quello che Stati-nazione e capitalismo gli permetteranno.
Il sogno di uno di loro è arrivare a Torino a Porta Palazzo e lavorare con lo
zio che fa il macellaio. Anche in uno stato di semi incoscienza, nella foresta,
gli si illuminava il volto quando ci mimava le corna delle mucche e ne imitava
il verso.
Al mattino veniamo liberati; ci chiedono di firmare dei fogli in bulgaro,
ma ci rifiutiamo. Siamo abbastanza sicuri di aver salvato stanotte tre persone
e di aver dovuto fare un po’ di galera per questo. Oggi, in Europa, va così. Siamo
sereni.
Collettivo
Rotte Balcaniche Alto Vicentino
“Le autorità
bulgare hanno contribuito all’assideramento di tre minori egiziani” -
Il Collettivo rotte balcaniche e No name kitchen denunciano il ruolo delle autorità del Paese europeo nella terribile morte di tre adolescenti al confine con la Turchia a fine 2024. Non solo negando assistenza ai ragazzi ma anche bloccando le squadre di soccorso e sottoponendo i cooperanti a trattamenti degradanti e detenzioni arbitrarie. La punta di un iceberg di un sistema consolidato
“Ricostruendo nel dettaglio gli eventi occorsi tra il 27 e il 29 dicembre
2024 al confine tra Bulgaria e Turchia, abbiamo dimostrato come le negligenze e
le violazioni delle autorità bulgare abbiano contribuito in maniera decisiva alla
morte per assideramento di tre minori egiziani”.
Giovanni Marenda, attivista del Collettivo rotte balcaniche (Crb), commenta
così i risultati del report “Frozen Lives”,
pubblicato a metà gennaio dal collettivo di solidali italiano e No
name kitchen (Nnk). In collaborazione con la Ong bulgara Mission
Wings, da luglio 2023 i due gruppi gestiscono una safeline,
un’operazione di ricerca e soccorso delle persone in movimento in difficoltà o
in situazioni di grave rischio lungo il confine bulgaro-turco.
Un’attività che la polizia di frontiera ostacola attivamente: ostruzioni e
omissioni di soccorso, trattenimenti arbitrari e repressione dei solidali,
infatti, sono all’ordine del giorno. Si inseriscono in questo contesto i fatti
presi in esame dall’indagine di Crb e Nnk, culminati con il recupero dei corpi
senza vita di Ahmed Samra, Ahmed Elawdan e Seifalla Elbeltagy, rispettivamente
17, 16 e 15 anni.
“Nel corso delle prime ore del 27 dicembre 2024 la safeline riceve
l’allerta per tre minori in pericolo di vita”, scrivono gli attivisti nelle
prime pagine del documento. Secondo le coordinate indicate dal Gps i ragazzi si
trovano a poca distanza l’uno dall’altro, esposti al gelo e impossibilitati a
mettersi in salvo, in una zona boscosa nel Sud-Est della Bulgaria nei pressi
dei villaggi di Gabar e Varshilo. Oltre all’esatta localizzazione, ai solidali
vengono inoltrati due video in cui due adolescenti giacciono privi di sensi
nella neve. Alle 1:35 la safeline contatta la linea di
emergenza 112 riportando le gravi condizioni dei feriti, condividendo le loro
coordinate Gps e richiedendo assistenza immediata. Lo farà altre due volte,
alle 2:15 e alle 3:25. “Nonostante la gravità della situazione -sottolinea però
il report-, le autorità bulgare non sono intervenute e hanno
ostacolato i nostri sforzi per salvare la vita dei tre giovani”. Il Rescue
team 1, infatti, intercettato dalla polizia di frontiera alle 2:02 -e
successivamente alle 3:03-, viene costretto a fare marcia indietro
Non va meglio al Rescue team 2. In seguito a un guasto al mezzo
sul quale sta viaggiando, prosegue a piedi ma viene bloccato dalla polizia di
frontiera per due volte, alle 5:15 e alle 6:11. Nel secondo caso gli agenti
obbligano gli attivisti a sedersi per terra, dove -rivela il report–
“sono stati spogliati dei loro effetti personali e di alcuni capi
d’abbigliamento”. La squadra di soccorso ha poi dovuto camminare per circa
dieci chilometri affiancata da un Land Rover Defender 4×4 della polizia
bulgara.
“Invece di utilizzare il loro mezzo per attraversare il fiume e fornire
assistenza al ragazzo hanno preferito scortarci per tre ore”, ricorda un
attivista in una delle testimonianze raccolte nel rapporto.
Il terzo tentativo di salvataggio avviene alle 17:30. Sono passate più di
12 ore dalla prima richiesta di soccorso, quando cinque membri della safeline ritornano
a Varshilo e percorrono a piedi i cinque chilometri che li separano dal punto
indicato dal Gps e alle 2:43 del 28 dicembre individuano il corpo senza vita
del diciassettenne Ahmed Samra. Il report denuncia che “dopo
aver chiamato il 112, i membri del team di soccorso sono stati interrogati
dalla polizia e trattenuti all’aperto per sei ore”.
Il cadavere del secondo adolescente, Ahmed Elawdan, viene ritrovato alle
15:15 dello stesso giorno. Anche in questo caso la squadra contatta le autorità
bulgare. Quando la polizia di frontiera arriva sul posto -evidenzia il rapporto
di Crb e Nnk- “dopo aver ispezionato il corpo, costringe un membro della
squadra di soccorso a trasportarlo due volte: una volta per allontanarlo dal
sentiero dove giaceva, l’altra per metterlo nel bagagliaio del loro pick-up”.
Il 29 dicembre, circa 57 ore dopo aver comunicato al 112 il punto da cui era
provenuta la terza richiesta di soccorso, un’altra squadra recupera il cadavere
di Seifalla Elbeltagy.
“In questo caso la polizia bulgara ha obbligato due dei nostri compagni a
entrare nel bagagliaio della loro macchina, nonostante i sedili posteriori
fossero liberi”, scrivono i solidali.
Mentre avveniva tutto questo, alle 2:45 del 28 dicembre, la safeline riceve
un’altra richiesta di soccorso proveniente da una località nella provincia di
Haskovo, un’area di confine a circa duecento chilometri a ovest di Varshilo.
Qui il Rescue team soccorre altri due giovani migranti feriti
e anche in questo caso -riporta l’indagine- “la polizia di frontiera ha
trattenuto i nostri compagni in maniera del tutto arbitraria per 24 ore,
requisendo loro telefoni e passaporti”. In questa circostanza, inoltre,
un’attivista viene separata dal gruppo ed è costretta a spogliarsi davanti a
due agenti. “Un’esperienza in cui mi sono sentita profondamente a disagio”,
scrive la donna nel documento.
“Le negligenze e gli abusi delle autorità bulgare -precisano Crb e Nnk
nella seconda parte di Frozen Lives- da un lato contraddicono i trattati
fondanti dell’Unione europea e la legislazione sui diritti umani che stabilisce
i criteri minimi di dignità e protezione individuale e dall’altro reprime con
brutalità persone in movimento e attivisti”.
Va ricordato che la Bulgaria, entrata nell’area Schengen a metà dicembre,
aderisce, tra gli altri, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu)
e alla Convenzione sui diritti del fanciullo (Crc). Peccato però che, come
mostra il rapporto, tra il 27 e il 29 dicembre le autorità bulgare abbiano
agito a più riprese in spregio dei diversi quadri legislativi dell’Unione
europea a tutela dei diritti delle persone in movimento
“Innanzitutto è venuta meno la tutela del diritto alla vita dei tre minori,
che, come stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, prevede
l’obbligo positivo di ‛fornire servizi di emergenza e deve essere rispettato
anche durante le operazioni di salvataggio dei migranti’”, riprende Marenda.
In materia di protezione dei minori, inoltre, le autorità bulgare hanno
violato l’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
che sancisce “diritto alla protezione per i bambini e alle cure necessarie per
il loro benessere”. Stessa cosa per quanto riguarda l’obbligo di assistenza,
misura prevista anche dalla legislazione nazionale. Come ricorda il report,
infatti, “l’articolo 141 del Codice penale bulgaro stabilisce che ‛gli
operatori sanitari, dopo essere stati invitati, hanno l’obbligo legale di
prestare assistenza a una persona malata’”. Il documento sottolinea poi come
data “l’incapacità di aiutare i minori e l’ostruzione delle missioni di
salvataggio”, e violando gli articoli 3, 20, 22 e 24 della Convenzione Onu sui
diritti del fanciullo, “polizia di frontiera e unità di emergenza si sono
macchiate del reato di omissione e ostruzione di soccorso”. Di detenzione
arbitraria e trattamento inumano e degradante sono stati invece vittime i
membri della safeline.
“Quello che è accaduto a fine dicembre è solo la punta dell’iceberg di un
sistema consolidato”, afferma Marenda. Da luglio 2024 a gennaio 2025, infatti,
le richieste di soccorso pervenute alla safeline sono state 96
per un totale di 589 persone in pericolo. Dall’inizio dell’attività di ricerca
e soccorso sono nove i corpi senza vita recuperati, “ma probabilmente sono solo
una parte di quelli abbandonati al loro destino dalle autorità e mai
ritrovati”, evidenzia l’attivista.
Come raccontato da Altreconomia, inoltre, da tempo persone in movimento,
attivisti e organizzazioni umanitarie denunciano gli abusi e i respingimenti
illegali da parte delle forze di frontiera bulgare. “Solo nel 2023 -ricorda
il report– il ministero degli interni bulgaro sostiene di aver
impedito 178.200 attraversamenti illegali del confine, un eufemismo per
indicare i violenti respingimenti illegali”.
Con la collaborazione di alcuni parlamentari europei, Crb e Nnk intendono
sottoporre il contenuto dell’indagine all’attenzione della Commissione per le
libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) e hanno presentato
un’interrogazione alla Commissione europea per chiarire i fatti descritti dal
rapporto. “Ci appelliamo alle istituzioni europee, anche se non ci facciamo
troppe illusioni -conclude Marenda-. Basta guardare il nuovo Patto sulla
migrazione e l’asilo per capire che purtroppo quanto avviene al confine tra
Bulgaria e Turchia non rappresenta il fallimento delle politiche europee, ma la
loro piena attuazione”.
pagina facebook del Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino
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