Salvo ripensamenti la sugar tax italiana dovrebbe entrare in vigore quest’anno, dopo il recente parere negativo espresso dal ministero dell’Economia e dalla Ragioneria dello Stato alla proposta di Forza Italia e Lega di rinviarla al 2026.
La legge era
stata varata dal Governo Conte II nella manovra finanziaria del 2020 (ministra
della Sanità Giulia Grillo) ma successivamente, e per la forte opposizione del
ministro Antonio Tajani, è stata rinviata otto volte finché, nel maggio scorso,
è stata fissata l’entrata in vigore al primo luglio 2025.
Per il primo
anno la tassa sarà di cinque centesimi di euro al litro per le bibite
zuccherate e di 13 centesimi al chilogrammo per i prodotti zuccherati “previa
diluizione”. Poi passerà rispettivamente a 10 e 25 centesimi nel 2026. I
prodotti tassati saranno le bevande gassate e zuccherate (un litro di Coca-Cola
costerà cinque centesimi in più), i the zuccherati, le bibite energetiche e i
succhi di frutta.
Si tratta di
aumenti irrilevanti che potrebbero non portare a diminuzione dei consumi.
Questa ha avuto luogo, nei Paesi che hanno adottato la sugar tax da
molti anni, solo quando la tassa è elevata, attorno al 20% del prezzo base, e
quando, soprattutto, è progressiva, cioè aumenta con l’aumentare della
concentrazione di zucchero in un prodotto. La sugar tax italiana
non possiede nessuna di queste due caratteristiche.
Nel 2019 Il Fatto
Alimentare aveva promosso una raccolta di firme a
favore di una sugar tax del 20% sulle bibite zuccherate, con
l’adesione delle dieci società scientifiche italiane che si occupano di
nutrizione e diabete e di 340 nutrizionisti, pediatri e medici, tra cui
Giuseppe Remuzzi, dell’Istituto Mario Negri, e Walter Ricciardi, ex presidente
dell’Istituto superiore di sanità (Iss). La proposta stimava un possibile
incasso di 400 milioni di euro all’anno da destinare a iniziative di educazione
alimentare e a progetti per incentivare la riduzione dei consumi. La proposta è
stata ignorata dal governo.
Secondo
un conteggio aggiornato al 2023,
la sugar tax è presente in 105 Paesi con una copertura del 51%
della popolazione mondiale, in particolare, del 67% della popolazione dei Paesi
a basso reddito rispetto al 29% di quelli ad alto reddito. In Europa è presente
in Norvegia, Finlandia, Francia, Spagna, Polonia e Ungheria. In Cile e Messico,
dove la sugar tax è elevata e progressiva, i consumi sono calati
del 12%. In Danimarca invece è stata ritirata perché era facile procurarsi
bevande non tassate in Germania o Svezia. Laddove l’incremento di prezzo ha
raggiunto il 20-30%, si è registrato un vistoso calo dei consumi, soprattutto
se i ricavi non sono serviti a fare cassa, ma sono stati reinvestiti in
campagne educative.
In Italia
consumiamo in media 83 grammi di zuccheri semplici al giorno pro capite, al
posto dei 50 consigliati per una dieta da duemila chilocalorie. Ogni anno beviamo 54 litri di bevande
gassate e zuccherate a testa, che corrispondono a cinque chilogrammi
di zucchero pro capite. L’ultimo dato elaborato da Epicentro (Iss) indica che
il 24,6% dei bambini italiani consuma bibite zuccherate e/o gassate tutti i
giorni.
In Europa,
l’Italia si colloca al quarto posto per prevalenza di sovrappeso e
obesità (al secondo posto per la sola obesità) nella fascia
d’età 7-9 anni, con tassi appena al di sotto del 40%, superata solo da Cipro,
Grecia e Spagna. Secondo il World obesity altlas del 2024,
il 44% dei bambini italiani (3.341.000) ha un indice di massa corporea (Bmi,
ottenuto dividendo il peso per il quadrato dell’altezza) elevato (maggiore o
uguale a 25 punti), saranno il 49% nel 2035.
Le
previsioni sull’impatto economico della sugar tax sono
discordanti; per il governo si avrà un miglioramento della salute dei
cittadini, per Assobibe (l’associazione
di Confindustria che riunisce marchi come Coca-Cola, Red Bull e San Pellegrino)
vi sono rischi occupazionali (5.050 posti di lavoro in meno), calo delle
vendite (meno 16%), taglio agli investimenti. Persino Coldiretti si è detta
contraria perché, a suo dire, scoraggerebbe il consumo di prodotti Made
in Italy come chinotti e cedrate.
Ricordiamo
che in una lattina da 330 millilitri di una bevanda gassata e zuccherata ci
sono sette cucchiaini da caffè (circa 35 grammi) di zucchero. Secondo una
metanalisi dell’American diabetes
association, il consumo di una o due bevande zuccherate a pasto
comporta un aumento del 26% di rischio di diabete rispetto a chi non ne fa uso
o ne assume meno di una al mese. Nei consumatori abituali c’è inoltre un
rischio aumentato del 20% di andare incontro a sindrome metabolica. È più
importante il profitto o la salute?
Giovanni
Peronato, reumatologo, ha esercitato per molti anni all’ospedale San Bortolo di
Vicenza. Ora in pensione. Fa parte del gruppo di coordinamento del gruppo
“NoGrazie”.
Questo
articolo di Giovanni Peronato prosegue lo spazio su Altreconomia a
cura del movimento “NoGrazie”. Ecco la presentazione a cura di Adriano Cattaneo
e Mariolina Congedo.
“Non abbiamo
né capi né finanziatori, non abbiamo né soldi né uno statuto, non c’è un
presidente né un direttivo, ci sentiamo liberi di dire e scrivere ciò che
vogliamo. Ci chiamiamo NoGrazie perché fin dalla fondazione, nel 2004, abbiamo
pensato che così fosse giusto rispondere alle ditte farmaceutiche e di altri
prodotti sanitari che offrivano al personale di salute, e continuano a farlo,
soldi, beni e servizi: dalla biro alla cena conviviale, dal finanziamento per
partecipare a un congresso ai fondi per una ricerca. Per queste ditte, che per
risparmiare inchiostro e mostrarci anglofili, ma anche per indicare che si
tratta di un insieme di imprese sovranazionali, chiamiamo Big Pharma, investire
un euro su vari portatori di interessi, medici in primis, significa ottenere un
ritorno di almeno tre euro in vendite e profitti. I medici e le altre categorie
di sanitari esposti al marketing di Big Pharma si considerano immuni
dall’influenza commerciale. Non è così. In un vecchio studio del 2001 si
chiedeva a un campione di medici statunitensi quanto i rappresentanti delle
ditte influenzassero le loro scelte prescrittive. Solo l’1% rispondeva ‘molto’.
Ma quando agli stessi medici si chiedeva quanto i rappresentanti delle ditte
influenzassero le scelte prescrittive di altri medici, era il 51% del campione
a rispondere ‘molto’. In modo simile, quando a 190 studenti di medicina
italiani è stato chiesto se pensassero che i medici possano essere influenzati
dalle parole e dai regali dei rappresentanti delle ditte, il 24% ha risposto
‘Sì’, riferendosi a se stessi, ma questa percentuale è salita al 71%
riferendosi ai colleghi. Vediamo la pagliuzza nell’occhio degli altri e non ci
accorgiamo della trave nel nostro. Ci rifiutiamo di pensare che siamo
influenzabili dal marketing, ma lo siamo. Pensiamo che i conflitti di interessi
non ci tocchino, mentre lavorano sotto traccia a favore di Big Pharma. E,
purtroppo, i conflitti di interessi sono tanto più pericolosi quanto più ci si
sente immuni da essi.
Il nostro
obiettivo? Contribuire a rendere la ricerca e la pratica medica e sanitaria, in
particolare per quanto riguarda l’uso di farmaci, indipendente da interessi
commerciali. Per mantenere le distanze da Big Pharma, per evitare che la salute
sia gestita dagli interessi di mercato, i NoGrazie non accettano regali di
alcun genere, evitano conflitti di interessi, segnalano informazioni distorte e
marketing ingannevole, informano operatori e studenti, diffondono letture
critiche sui determinanti sociali e commerciali di salute. Lo fanno attraverso
una Lettera che esce con frequenza mensile ed è spedita a oltre 1.500 indirizzi
e-mail (per riceverla basta iscriversi su www.nograzie.eu, ed è
gratis), tramite lo stesso sito internet visitato da 500-1.000 persone al mese
e un account di Facebook che ha circa 2.600 followers. Chi volesse entrare a
far parte del gruppo non deve far altro che chiederlo su http://www.nograzie.eu/contatti/. Con la stessa facilità
con cui si entra a far parte del movimento, se ne può uscire.
Mediante
questa collaborazione con Altreconomia, ci auguriamo di sollecitare interesse
ai temi di cui sopra anche in un pubblico generale, di non professionisti della
salute. Perché, se è vero che gli operatori della salute sono in prima fila
nelle relazioni con Big Pharma, è altrettanto vero che i danni conseguenti a
queste relazioni pericolose ricadono poi su tutta la popolazione, e in
particolare su chi è privo degli strumenti culturali per essere critico e
documentato nelle scelte”.
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