Quando otto anni fa apparve su Remocontro questo pezzo, intitolato “L’ignoranza dilagante e la camicia nera culturale”, arrivarono un sacco di critiche. Una in particolare da parte di un collega, decisamente democratico, che mi accusava, sinteticamente, di pessimismo in eccesso. “Le cose non sono così”, diceva. Già, le cose non sono mai così, se le vedi attraverso il filtro conformista mediatico. Fin quando, invece, scopri che le cose sono così. Oggi vi metto in visione quel testo del 2017 invitandovi a riflettere sul contesto nazionale e internazionale attuale. Non lo faccio per polemica, figuriamoci, la rubrica si chiama Polemos. Ma per continuare ad affermare che è il contesto culturale a costruire conoscenze e azioni nella società, o la mancanza di conoscenze e di azioni, quindi il conformismo e l’indifferenza che rappresentano la base di questo nuovo turbo capitalismo fascista tecnologico.
Ecco il
testo del 2017
Da quando l’ignoranza è diventata una categoria filosofica, o per meglio
dire, il terreno preferito sul quale agire nella dialettica? Da quando
l’ignoranza e quel non sapere e non capire niente di più complesso
dell’etichetta della birra, con la convinzione di aver chiaro tutto, sono
diventati valori sui quali essere orgogliosi? Non ho una risposta, mi pongo la
domanda, mentre assisto al disprezzo di stampo fascista per tutto quello è
identificato come diverso, che vagamente ha un minimo di consapevolezza sociale
e culturale. O, per lo meno, un minimo di ragionevolezza, di umanità.
Gli ignoranti non hanno preso il potere, non potrebbero farlo. Però adesso agiscono alla luce
del sole, rivendicando ogni forma di stupidità, di becerume, di rigurgito
razzista, di aggressività impasticcata. Rappresentano le avanguardie
picconatrici della distruzione dei vincoli umani, culturali, ecologici, politici
a vantaggio di una visione subumana, fatta di cattiveria, livore, di masochismo
sociale e territoriale.
Sono quelli che odiano. Odiano gli umani odiano gli alberi. Detestano il verde e considerano
“da intellettuale” non solo leggere un libro, ma proteggere un giardino
pubblico dai sacchetti dell’immondizia, o difendere il diritto degli ultimi a
esistere e ad avere diritti. Sdoganati dalle urticanti arene televisive, dai
media in genere, si sono abbeverati alla narrazione tossica della pappa
securitaria, propagano la paura come fosse una diceria da comari. Hanno
scoperto il nemico, finalmente. Ora sanno perché i loro figli sono disoccupati,
perché il futuro cade a pezzi e perché l’aria infetta delle discariche arriva
alle loro finestre.
Ora che hanno capito, con i loro forconi, con il fez o con i nickname sui social,
rabbiosi e avvelenati, sono scesi in campo per questa rivolta. Hanno scelto. E
clicca qua clicca là si sono schierati al fianco di chi deturpa, di chi
violenta, di chi inquina, di ogni forma di sopraffazione del forte sul debole,
dell’uomo sulla donna. Sempre dalla parte del padrone, come cani da guardia con
i denti di fuori, a difendere gli interessi di chi nei decenni li ha resi più
poveri e schiavi, sicuramente senza speranze né redenzione.
L’ignoranza non ha preso il potere, dicevo prima. Ma come è accaduto per il
fascismo, rappresenta il tappetino dove il potere può poggiare i piedi senza
sporcarseli. Ci pensano gli schiavi a combattere per spezzare ogni opposizione,
ogni resistenza, ogni dialettica civile. Brutti, sporchi e cattivi e al
servizio di un’idea di società che preveda meno diritti (e neanche uguali per
tutti), ricatti come fossero dogmi e tanta tanta bruttezza. Obbedienza ottusa a
comportamenti di massa spregevoli, sui social come sulle spiagge, nelle città
del turismo dove la declinazione ovvia del pianeta ignoranza è il viaggiare
senza rispetto. Gonfi di quel senso di onnipotenza che viene dal pensare di
avere fatto il pieno dei diritti senza occuparsi manco un minuto dei doveri
verso il prossimo.
Scrivo sull’ignoranza come paradigma. Non ci sono riferimenti politici né nostalgie di
passato. Anche perché credo serva una coscienza civile accesa, resistente e
attiva tra i cittadini pensanti, che impedisca ai nostri figli di finire sotto
gli influssi mediatici e politici di un fascismo anche peggiore: razzista,
xenofobo, da paura e stupidità. Ma anche allegro, modaiolo, disinvolto e
arrogante, che ama i ragazzetti clonati tatuati ciondolanti con le birrette in
mano. Precari, alla moda, trasgressivi e succubi. Cioè l’altra faccia
della medaglia: da una parte l’incattivito utile, dall’altra lo schiavetto
creativo contento, alla moda e metropolitano. Due aspetti della subalternità
culturale inaccettabile che priva di senso critico e getta le basi per la resa
finale.
Che fare quindi? Reinventare. Non rassegnarsi di fronte alla congiura dei
mediocri che hanno occupato giornali e istituzioni, al dilagare dell’ignoranza
come codice di potenza dialettica, al qualunquismo creativo e trasgressivo
metropolitano. La storia ci insegna che anche quando tutto sembra perduto,
esiste una possibilità di ripensare e individuare modi e culture proprie,
rovesciando quelle egemoniche, globalizzate e terribili che sembrano
invincibili. Cura e attenzione come forme di generosità, fuori dalle mode,
spogliandosi dei goffi abiti che vogliono farci indossare a forza e che ci
rendono ridicoli. Eticamente, esteticamente, come esseri umani, come figli e
nipoti di chi ha dato il sangue per conquistare libertà e diritti.
Un giorno, quando i nostri pronipoti leggeranno dell’inciviltà di questo
tempo scintillante e codardo dovremmo poter essere almeno ricordati come quelli
che si opposero, che fecero la loro parte per coltivare cultura e non
indossarono la camicia nera culturale – nonostante gli evidenti vantaggi
immediati – perché preferirono di no.
La via della sapienza è oscura e lastricata di misteri. Solo chi procede
senza sapere, alla scoperta passo dopo passo, potrà cogliere il miracolo. Tutti
gli altri si muovono appesi ai fili, come marionette delle certezze assolute,
convinte nella bruttezza di aver visto la luce.
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