mercoledì 2 giugno 2021

Noi, piccole Cassandre - Gianandrea Piccioli

 

Analisi su analisi, ormai quasi una biblioteca di testi, dalle encicliche papali ai libri alle riviste, ai siti… Niente, non hanno fatto un plissé. Il pianeta è devastato: il Rapporto del Club di Roma è del 1972 e da allora la situazione ecologica è diventata drammatica e tra breve, questione di pochi anni, sarà irreversibile. Nel 1960 eravamo 3 miliardi, oggi, nonostante le guerre e le epidemie, siamo quasi a 8, e 4 miliardi di persone vivono in aree urbane, altri 2 miliardi sono previsti entro il 2030 (c’è anche chi pensa che il Coronavirus sia stato fatto circolare per smaltirne un po’…). È stranoto che la biosfera non regge più questa crescita e che ormai non è più rinviabile una riorganizzazione generale delle nostre società e del nostro modo di vivere: il lungo ciclo della modernità, dalla rivoluzione industriale a Reagan e Tatcher al capitalismo e alla finanza globali, sta schiantandosi contro limiti non politici ma naturali. Eppure c’è una frenesia di ripartire come se tutto fosse stato (fosse, perché siamo ancora in mezzo al guado) un inconveniente sanitario.

Noi in Italia abbiamo sotto gli occhi, e lo sperimentiamo quotidianamente anche nella nostra carne viva grazie alla malasanità, il disastro delle Regioni, nate male cresciute peggio. Buon senso vorrebbe che si riconsiderasse tutto il sistema, almeno quello sanitario: utopistico il solo pensarlo. Abbiamo un governo ecumenico, con coltelli che volano come nei circhi e nei Luna Park degli anni Cinquanta. La politica è diventata una maschera grottesca dietro cui si agitano sordide ombre, losche comparse, qualche raro ingenuo e qualche benintenzionato che ancora ci crede. I cittadini, se questa parola ha ancora un senso, sono smarriti, nervosi, confusi, oscillanti tra pulsioni ribellistiche (ma contro chi?), fatalismo mediterraneo, piccole astuzie emergenti da un passato remoto incistato nel genoma della specie italica, borborigmi da caffé bevuto fuori dai bar.

Davvero pensiamo che ne usciremo con una ripresa della vita e del sistema di prima? Non avvertiamo dappertutto nel mondo un’irrequietezza, un misto di tensione e di smarrimento, come una leggera ma persistente vibrazione del terreno su cui ci si trova a camminare? La stessa frenesia di ritornare alla vita di sempre non ricorda i finti e nevrotici scintillii da Belle Époque?

E d’altro canto dov’è oggi un’improbabile Jenny dei pirati? E come è possibile opporre resistenza, anzi resilienza come si usa dire, senza una politica, un qualcosa che non sia soltanto traffico opportunistico e/o malavitoso o svolazzo elettronico?

Non ho risposta. O meglio: mi rispondo flebilmente, con una convinzione tremula ma tenace. Non arrendersi. Testimoniare che delle possibilità esistono. Compensare la fragilità con la testardaggine. Dare spazio agli utopisti, anche quando ci sembrano velleitari. A esempio a Maurizio Pallante e al suo Ultima chiamata, Lindau: una prima parte di straordinaria sintesi dedicata alla nascita storia e catastrofe della modernità occidentale, una seconda ricca di proposte di ipotetica riorganizzazione secondo un progetto di decrescita. Difficilmente realizzabile in tempi brevi ma pur sempre ricco di spunti e di suggerimenti per un’alternativa.

Il problema è come fare “rete” tra le varie iniziative, non solo italiane, rispettandone fisionomia, storia, progetti. Come utilizzare la rete per collegamenti e “rimbalzi”; o anche per tener viva un’effervescenza che possa mettere radici in luoghi diversi senza disperdersi o demoralizzarsi. Orgogliosi come Achille e tenaci come Cassandra. Non otterremo granché, ma almeno resteremo vivi, fosse anche solo per testimoniare la possibilità di un’utopia.

da qui

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