domenica 6 giugno 2021

Terapia della bambola per la demenza

 

 

Nel corso degli anni sono sorte diverse terapie non farmacologiche per trattare le demenze. Musicoterapia, terapia occupazionale, pet therapy… Hanno tutte un elemento comune: riportano alla luce ricordi ed emozioni passati per aiutare il paziente a riconnettersi con la propria vita. A questo proposito, oggi parliamo di una terapia molto recente: la terapia della bambola.

Prima di descrivere nel dettaglio questo approccio, è importante fare chiarezza su alcuni concetti. Secondo la Treccani, per demenza si intende “grave processo di deterioramento delle facoltà intellettive”.

L’OMS la definisce come “una sindrome, solitamente di natura cronica o degenerativa, caratterizzata dal deterioramento delle funzioni cognitive (ovvero dalla capacità di rielaborare il pensiero), ben oltre a quello che potremmo considerare una normale conseguenza del processo di invecchiamento”.

Secondo Nitrini e Dozzi (2012), la demenza è una sindrome caratterizzata dalla presenza di deterioramento cognitivo persistente che interferisce con la capacità dell’individuo di svolgere in autonomia le proprie attività lavorative o sociali. La OMS indica come più comuni i seguenti tipi di demenza:

·         Morbo di Alzheimer.

·         Demenza frontotemporale.

·         Demenza da corpi di Lewy.

Non ci sono dubbi sul fatto che una stessa malattia colpisce ogni individuo in modo diverso. Ne consegue che definire un piano personalizzato e che pone al centro l’individuo è fondamentale per garantire il successo dell’intervento.

È bene chiarire che si parla di “successo dell’intervento” quando vengono raggiunti gli obiettivi prefissati all’inizio dello stesso.

 

Il benessere delle persone con demenza è il risultato diretto della qualità dei rapporti che manteniamo con chi ci circonda.

-Kitwood-

 

Origini della terapia della bambola

Questa terapia non farmacologica è stata ideata negli Stati Uniti d’America. Come afferma Rodriguez (2018), Anne Burnett -direttrice del The Limes Care Home (centro per pazienti con demenza sito negli Stati Uniti)- è l’ideatrice di questo innovativo metodo terapeutico: la terapia della bambola.

La Burnett stava studiando il caso di una donna anziana che aveva perso un figlio da giovane e che chiamava sempre il piccolo gridando. Un giorno la dottoressa provò a dare alla paziente un’orsacchiotto di peluche durante uno dei suoi attacchi e lei si calmò.

A partire da quel momento, iniziò ad applicare questo metodo anche con altri pazienti, con pari successo sia nelle donne sia negli uomini.

 

Benefici della terapia della bambola

Sebbene molto spesso il trattamento farmacologico sia inevitabile, l’intervento con una terapia che non prevede l’uso esclusivo dei farmaci sta prendendo piede in tutto il mondo.

In Spagna, nella città di Salamanca, esiste un centro all’avanguardia in cui vengono applicate diversi intervento che ricercano l’equilibrio tra l’uso della terapia farmacologica e quella non farmacologica.

Secondo Carballo, Arroyo, Portero e Ruiz-Sanchez (2013). alcuni benefici dell’intervento non farmacologico in caso di demenza potrebbero essere:

·         Preservazione e/o stimolazione delle abilità.

·         Promozione dell’autonomia e dell’indipendenza dell’utente.

·         Migliori rapporti sociali e abilità comunicative.

·         Minore sensazione di solitudine e di isolamento.

·         Migliore concetto di sé e della propria immagine e, quindi, dell’autostima.

·         Migliore qualità di vita del paziente e della sua cerchia più ristretta.

·         Acquisizione di forza da parte del paziente.

·         Sviluppo bimanuale e motorio del paziente.

Altri benefici

·         Si instaura un clima di calma e positività prima e dopo l’intervento.

·         Sviluppo dell’affettività del paziente.

 

In sostanza, l’applicazione di questi interventi ha un effetto molto positivo sulla vita delle persone con demenza e, indirettamente, su quella dei loro familiari.

Si tratta senz’altro di un traguardo non indifferente. L’assenza di rimedi che consentano la regressione dei sintomi di diversi tipi di demenza (come nel caso della malattia di Alzheimer) non significa che non disponiamo di un buon margine di intervento utile a rallentare il decorso del declino cognitivo.

da qui

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