Nel corso degli anni sono sorte
diverse terapie non farmacologiche per trattare le demenze. Musicoterapia,
terapia occupazionale, pet therapy… Hanno tutte un elemento comune: riportano
alla luce ricordi ed emozioni passati per aiutare il paziente a riconnettersi
con la propria vita. A questo proposito, oggi parliamo di una terapia molto
recente: la terapia della bambola.
Prima di descrivere nel dettaglio
questo approccio, è importante fare chiarezza su alcuni concetti. Secondo
la Treccani, per demenza si intende “grave processo di deterioramento delle facoltà intellettive”.
L’OMS la definisce come “una
sindrome, solitamente di natura cronica o degenerativa, caratterizzata dal
deterioramento delle funzioni cognitive (ovvero dalla capacità di rielaborare
il pensiero), ben oltre a quello che potremmo considerare una normale
conseguenza del processo di invecchiamento”.
Secondo Nitrini e Dozzi (2012),
la demenza è una sindrome caratterizzata dalla presenza
di deterioramento cognitivo persistente che interferisce con la capacità
dell’individuo di svolgere in autonomia le proprie attività
lavorative o sociali. La OMS indica come più comuni i seguenti tipi di
demenza:
·
Morbo di Alzheimer.
·
Demenza frontotemporale.
·
Demenza da corpi di Lewy.
Non ci sono dubbi sul fatto che
una stessa malattia colpisce ogni individuo in modo diverso. Ne consegue che
definire un piano personalizzato e che pone al centro l’individuo è
fondamentale per garantire il successo dell’intervento.
È bene chiarire che si parla di
“successo dell’intervento” quando vengono raggiunti gli obiettivi
prefissati all’inizio dello stesso.
Il benessere
delle persone con demenza è il risultato diretto della qualità dei rapporti che
manteniamo con chi ci circonda.
-Kitwood-
Origini della
terapia della bambola
Questa terapia
non farmacologica è stata ideata negli Stati Uniti d’America. Come
afferma Rodriguez (2018), Anne Burnett -direttrice del The Limes Care Home
(centro per pazienti con demenza sito
negli Stati Uniti)- è l’ideatrice di questo innovativo metodo terapeutico: la
terapia della bambola.
La Burnett stava studiando il
caso di una donna anziana che aveva perso un figlio da giovane e che chiamava
sempre il piccolo gridando. Un giorno la dottoressa provò a dare alla paziente
un’orsacchiotto di peluche durante uno dei suoi attacchi e lei si calmò.
A partire da quel momento, iniziò
ad applicare questo metodo anche con altri pazienti, con pari successo sia nelle donne sia negli uomini.
Benefici della
terapia della bambola
Sebbene molto spesso il
trattamento farmacologico sia inevitabile, l’intervento con una terapia che non
prevede l’uso esclusivo dei farmaci sta
prendendo piede in tutto il mondo.
In Spagna, nella città di
Salamanca, esiste un centro all’avanguardia in cui vengono applicate diversi intervento
che ricercano l’equilibrio tra l’uso della terapia farmacologica e quella non
farmacologica.
Secondo Carballo, Arroyo, Portero
e Ruiz-Sanchez (2013). alcuni benefici dell’intervento non farmacologico in
caso di demenza potrebbero essere:
·
Preservazione e/o stimolazione delle abilità.
·
Promozione dell’autonomia e
dell’indipendenza dell’utente.
·
Migliori rapporti sociali e abilità comunicative.
·
Minore sensazione di solitudine e di isolamento.
·
Migliore concetto di sé e della propria
immagine e, quindi, dell’autostima.
·
Migliore qualità di vita del paziente e della sua cerchia più ristretta.
·
Acquisizione di forza da
parte del paziente.
·
Sviluppo bimanuale e motorio del paziente.
Altri benefici
·
Si instaura un clima di calma e positività prima e dopo l’intervento.
·
Sviluppo dell’affettività del paziente.
In sostanza, l’applicazione di questi interventi ha un effetto molto
positivo sulla vita delle persone con demenza e,
indirettamente, su quella dei loro familiari.
Si tratta senz’altro di un
traguardo non indifferente. L’assenza di rimedi che consentano la regressione
dei sintomi di diversi tipi di demenza (come nel caso della malattia di Alzheimer) non
significa che non disponiamo di un buon margine di intervento utile a rallentare il decorso del declino cognitivo.
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