venerdì 8 marzo 2019

I dinosauri del nostro tempo - Guido Viale



I dinosauri di sessanta milioni di anni fa sono stati vittime inconsapevoli di una estinzione di massa. I dinosauri di oggi sono invece responsabili consapevoli, se non dell’estinzione dei loro simili e di molti dei viventi che abitano la Terra, sicuramente della fine della convivenza così come l’homo sapiens l’ha conosciuta e praticata da almeno diecimila anni. Per decenni gli ambientalisti sono stati accusati – da affaristi, giornalisti, leader ignoranti e arroganti – di “voler tornare all’età della pietra”. Adesso è chiaro che a far tornare all’età della pietra l’umanità intera sono invece loro: gli arroganti. Ma di che cosa stiamo palando?
Se vent’anni fa era ancora possibile che qualche leader ignorante non sapesse niente dei mutamenti climatici in corso, o non fosse stato avvertito dei tempi stretti che ci separano da una catastrofe irreversibile, oggi questo non è più possibile. Sanno. Sanno benissimo quello che sta per succedere – gli allarmi degli scienziati sono chiarissimi – ma sono immobilizzati dalla loro incapacità di pensare e di fare. Di pensare un mondo diverso da quello che conoscono, e in cui per ora sguazzano; e di fare quello che va fatto per sventare o mitigare la catastrofe incombente, che non lascia molte scelte: si tratta di invertire rotta di 180 gradi.
Per questi loro giganteschi deficit, l’ultima cosa a cui pensano è mettere in guardia i loro elettori o i loro concittadini della necessità di una svolta che non sanno nemmeno concepire; in questo aiutati da un esercito di giornalisti e commentatori, complici e asserviti, che parlano dei mutamenti climatici, quando lo fanno, come di un romanzo di fantascienza.  Ci sono dinosauri negazionisti, grandi e pesanti come Trump o Bolsonaro; e ci sono dinosauri piccoli e insignificanti, come Chiamparino o Fassino, che non sanno nemmeno se riconoscere o negare i cambiamenti climatici in corso. Pensano – sragionando – come se tutto fosse destinato a continuare come oggi: un tunnel, o anche due, per portare in Francia merci e passeggeri che oggi non ci sono, ma domani, chissà? (magari il Pil si rimette a crescere…).
Un gasdotto, anzi due, per portare in Europa, attraverso l’Italia, che ne riceve già troppo, gas che entro breve tutti i governi saranno costretti a non lasciare più usare. E grandi navi che continuano ad attraversare il canale della Giudecca per la gioia di quattro pizzaioli di una Venezia destinata ad affondare. E siccome l’appetito vien mangiando, ora che stanno per averla vinta sugli ultimi baluardi di cartapesta eretti dall’insipienza dei cinquestelle (la fatidica analisi costi-benefici, prodotta da un tecnico, anzi, sei, che escludono i cambiamenti climatici dall’orizzonte dei loro saperi), vogliono anche altre autostrade, altri aeroporti, altre trivelle, altre armi (tanto le compra lo Stato; anzi tanti Stati, per fari del male, con denaro sottratto agli investimenti che servono); e poi, avanti con l’Ilva: tanto quando arriverà la catastrofe gli abitanti di Taranto saranno già tutti morti di cancro.
Ricordiamoci del Mose: per anni gli ambientalisti che si opponevano a questo progetto insensato sono stati irrisi dai “meglio” columnist del giornalismo nostrano, che con grande sicumera si ergevano a paladini di Venezia, mentre politici e affaristi provvedevano intanto a mandare avanti un affare che si è poi rivelato (ma si sapeva già) un furto epocale; ma che va avanti lo stesso, anche se appena sarà finito, e forse anche prima, bisognerà cominciare a smontarlo perché non funziona (e tutti lo sanno); ma che in compenso sta devastando la laguna e non proteggerà certo Venezia. Ma se Venezia è destinata a scomparire, tanto vale sfruttarla al massimo fin che c’è, invece di usarla come richiamo internazionale per far capire a tutto il resto del mondo – che Venezia sa bene che cos’è – che è ora di muoversi tutti insieme, e anche subito, per salvare insieme a lei tutte le zone costiere del pianeta.

Così intorno al Tav Torino-Lione, che di tutte le Grandi opere in programma è forse la più stupida, si è costituito un vero e proprio superpartito “di lotta e di governo”, che riunisce politici di destra, centro e sinistra (compreso Zingaretti, che però ha dato la sua adesione alla marcia Friday for Future, segno evidente di malafede o di confusione mentale); e poi, industriali grandi e piccoli, giornalisti e pennivendoli di ogni risma, madaminescalpitanti, storici del ‘900 ed economisti pronti a contestare numeri e analisi costi benefici del povero prof. Ponti.  Già, perché quel danno di 7 miliardi che lui ha calcolato va diviso per tre, e in parte andrà scaricarsi su Francia e Ue (e chi se ne frega!), mentre all’Italia ne resterà da pagare solo un pezzo; che se non si conta la perdita delle accise sul gasolio e si conta quella di ipotetiche penali può diventare anche un vantaggio. A questo si è ridotto il dibattito politico, scientifico e cultuale sul futuro dello “sviluppo”, del benessere, del nostro paese, del pianeta!
La scomparsa dei dinosauri, enormi bestioni dal corpo immenso e dal cervello sproporzionatamente piccolo, aveva creato uno spazio ambientale vuoto entro cui alcuni piccoli mammiferi solo un po’ diversi da loro avrebbero approfittato per dare inizio a quella catena evolutiva che attraverso molte metamorfosi sarebbe alla fine approdata alla comparsa della specie umana. Ma i dinosauri di oggi, con il loro tremendo impatto sull’ambiente, non sono ancora scomparsi e non hanno nessuna intenzione di farlo, mentre la nuova specie antropologica, composta dai loro figli e soprattutto nipoti, ha appena cominciato a sollevare il capo, a scendere in piazza, a far sentire la propria voce, a esigere il cambio di rotta necessario per salvare se stessi e la Terra. Ma non c’è tempo per aspettare che le cose evolvano da sole.
Affrettiamoci dunque tutti a dare una mano, anzi tutte e due, a chi ha cominciato a battersi per salvare vita e convivenza tra gli umani di oggi e domani: tutti a Friday for Future il 15 marzo; ma anche allo sciopero del l’otto Marzo delle donne domani; e alla mobilitazione contro le grandi opere il prossimo 23. Tre eventi apparentemente diversi, ma mai così legati tra loro.

(Articolo pubblicato anche su il Manifesto)


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