mercoledì 6 marzo 2019

un'intervista a Paolo Crepet


Paolo Crepet: ''Così il dating online sta cambiando il modo di vivere le relazioni''

(Intervista di Veronica Mazza)

Dal film da vedere in streaming al piatto più esotico che arriva in pochi minuti alla nostra porta, per non parlare dello shopping da poter fare a qualsiasi ora del giorno e dei flirt da viversi sul divano grazie alle tante app di dating. La tecnologia digitale senza ombra di dubbio ci ha spianato la vita, facilitandola e rendendola notevolmente più comoda. Eppure tutte queste agevolazioni “pronte all’uso” che la Rete ci offre, affossano e inebetiscono le nostre capacità di metterci in gioco e di imparare ad osare, affrontando con ardore e coraggio la quotidianità e le sfide che essa ci pone. In poche parole, stiamo svuotando significato la parola passione, malta delle nostra esistenza e antidoto contro la paura, barattando la sua linfa vitale in cambio di emozioni quiete e preconfezionate, che non ci portano a oltrepassare i nostri limiti e a realizzare i nostri sogni. A questo tema, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet ha dedicato un capitolo del suo ultimo libro “Passione”, edito da Mondadori. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui per capire meglio cos’è la passione al giorno di oggi e come riaccendere questo fuoco interiore e impetuoso, che tiene viva la fiamma dei nostri desideri e quindi la nostra progettualità nella nostra esistenza.


In quale modo la passione è "vittima" dell'epoca dei social network?
“Inizierei a dire che la passione oggi viene interpretata come qualcosa di troppo faticoso, per cui bisogna diluirla in qualche modo. È un po’ come il coraggio, idee e parole fondamentali però se lo fanno gli altri è meglio. E la tecnologia digitale dà manforte a questo atteggiamento diffuso. Molti adulti stanno insegnando ai giovani che va bene così, che nella vita non si deve far fatica perché tanto non cambierebbe niente, tutto è già stato organizzato da altri: basta far finta di decidere, scaricare dalla Rete e comprare.

Come scrivo nel mio libro, si cresce con l’idea che la vita sia uno sfavillante supermarket dove non si deve nemmeno spingere il carrello né allungarsi per prendere i prodotti dagli scaffali... e per giunta, arrivati alla cassa, si scopre che il conto è già stato pagato dal nonno o dal papà. In questo modo i social network diventano dei camerieri in livrea che fanno tutto al posto nostro, rendendoci sì tutto molto comodo, ma privandoci del diritto di rischiare. In questo modo non impariamo più nulla, non ci sforziamo e non ci 'sfidiamo'. Il mondo digitale diventa così una scorciatoia per la vita. Perché la passione va sperimentata, non si può demandarla agli altri. Come il coraggio, è uno di quegli elementi fondamentali sui cui ognuno di noi dovrebbe costruire la propria vita, ma anche la vita della comunità”.

Grazie ai social e alle varie app di incontro molte storie oggi nascono online. In cosa sono differenti rispetto a quelle nate per via tradizionale?
“Anche le emozioni e i sentimenti rientrano in questa facilitazione e il rischio è che diventino preconfezionati. Sta passando di moda la passione e quindi anche l’amore passionale. Lungi da me da fare discorsi moralistici, però nella seduzione, cioè nell’approccio tra due persone che ci si piacciono, non può saltare un elemento, che è quello faticoso del conoscersi, dell’approfondire e del creare complicità. Complicità vuol dire stare assieme nei momenti difficili, in quei frangenti in cui ci può essere una crisi dell’uno o dell’altro, nel capirsi e nell’ascoltarsi. È per tutta questa roba qui, che la relazione amorosa è per forza difficile e faticosa e non può essere agevolata. Ecco qui l’inganno dei social: io ti facilito l’incontro e ti faccio credere che anche tutto il resto è semplice, invece non è così. Adesso uso una metafora: è come quel ragazzino che è sempre stato aiutato dai genitori, che gli fanno i compiti e vanno a parlare con i professori. Poi quando si trova ad affrontare il primo esame della sua vita è lì da solo e non è capace di farlo, perché non si è mai allenato. Uno può andare avanti a flirtare per mesi nel virtuale, ma poi quando ci si incontra dal vivo, da quel momento in avanti diventa tutto maledettamente difficile, perché non puoi raccontare balle, perché non puoi dire che sei felice quando non lo sei, perché non può nascondere le tue paure e non puoi fingere di essere capace di tenere in piedi un rapporto. Stiamo rischiando di vivere una passione sempre più tiepida, lontana dagli sconvolgimenti e da un fuoco vivo e dirompente, che ci sta portando a provare emozioni sempre più quiete e a trasformarle in emoticon standardizzate. Anzi questa enorme facilitazione e grande comodità che ci offrono i social sta facendo trionfare l’apatia, dal greco a-pathos, letteralmente "senza emozione", proprio il contrario della passione. La passione, quella vera, invece, non ti fa dormire, ti fa spostare le montagne e come dice Renzo Piano, dentro questa parola sacra c’è la cocciutaggine, che ci fa volere e fermamente volere”.

A ben guardare le discussioni che nascono nei forum online sembra invece che la passione sia viva anche in Rete…
“In realtà la passione, quella autentica, prevede una multisensorialità. Ricordo quando i miei maestri discutevano e litigavano: c’era una sigaretta, c’era il whisky, c’era il sudore, c’erano le occhiate e c’erano anche i silenzi, tutto un mondo sensoriale. Le cose che avvengono in rete invece sono fiction. Certo, davvero nella fiction c’è l’arrabbiatura, ma è tutto molto prevedibile, nei linguaggi e nel modo di comunicare, e tutto questo ammazza la vita perché la vita reale invece è incredibilmente imprevedibile”.

I social fanno parte della nostra vita: c’è un modo per usarli bene?
“Certo, usarli poco e con parsimonia, capendo che spesso lo facciamo per comodità e non per una reale scelta o per passione. Sono strumenti che possono agevolarci, ma anche spegnerci. Dobbiamo togliere loro quel senso della vita di cui sono stati ammantati e riconsiderali per quello che sono, cioè semplici mezzi che, ad esempio, ci permettono, di ordinare e far arrivare la pizza a casa se siamo stanchi. Ma dobbiamo essere molto stanchi, per non avere voglia di uscire e gustarci anche il tragitto per arrivare a mangiare la nostra pizza. Non vanno demonizzati, ma solo utilizzati senza diventarne dipendenti, perché sono surrogati di vita con tutto il rispetto e il pericolo è quello di perdersi l’ebbrezza della vera esistenza”.


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