In un Paese dove oltre un terzo degli adulti è analfabeta funzionale, la alfabetizzazione sanitaria pubblica rappresenta una sfida cruciale.
Perché
significa non solo sviluppare consapevolezza, competenze e partecipazione
attiva dei cittadini per rafforzare il Servizio Sanitario Nazionale, ma anche
contrastare le disuguaglianze. È infatti la condizione attraverso la quale
persone e gruppi possono ottenere, comprendere, valutare e mettere in pratica
le informazioni necessarie per rendere le decisioni di sanità pubblica utili
per la comunità.
L’Ocse
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) a fine
2024 ha riportato che il 35% degli adulti italiani, tra i 16 e 65
anni di età, può essere definito come analfabeta funzionale, mentre la media
Ocse è del 26%. Quindi oltre un terzo degli italiani sa leggere,
ed esprimersi in modo sostanzialmente corretto, ma non è in grado di
raggiungere un adeguato livello di comprensione e analisi di un discorso
complesso, di articoli di giornale, regolamenti o bollette. Si trova in
difficoltà nell’esecuzione di calcoli matematici semplici, come gli sconti in
un negozio, la tenuta della contabilità casalinga, o nell’utilizzo degli
strumenti informatici.
Sconta
una conoscenza superficiale degli eventi storici, politici, scientifici,
sociali ed economici. Il fenomeno è trasversale e interessa l’intera
popolazione italiana (e non solo) seppur con distribuzione diversa per età,
profilo socio-economico, regione di residenza. Situazione preoccupante pensando
alla creazione, la circolazione e la disponibilità a credere a notizie false in
un’epoca di potere dei social network, in particolare, alla disinformazione
legata ai temi medico sanitari in una popolazione già analfabeta in tema di
salute.
Negli
anni ‘70, relativamente alla capacità delle persone di leggere e comprendere
materiale scritto di tipo sanitario, è emerso il concetto di alfabetizzazione
sanitaria. E’ in estrema sintesi un aggiornamento della vecchia educazione
sanitaria ed è finalizzata ad aiutare le persone a fare le migliori scelte
personali, sia in tema di prevenzione e promozione della salute che di
coinvolgimento quando pazienti nella gestione del percorso di cura. La
comunità deve essere consapevole che ci sono determinanti sociali che
influenzano il benessere e lo stato di salute e deve agire di conseguenza.
Il
sistema sanitario per essere adeguato dovrebbe essere in grado di ridurre le
disuguaglianze sociali e le relative cause anche in tema di salute. Serve,
quindi una comunità alfabetizzata in grado di monitorare e tutelare il proprio
stato di salute. La salute, in quanto bene comune, è indivisibile: la salute
degli uni dipende da quella di tutti gli altri (e il concetto di One Health/Una
Salute, parola d’ordine oggi di moda, ma non per questo meno vera, lo estende
all’intero pianeta e a tutte le relazioni tra ogni forma di vivente).
La
casa della comunità, la casa del bene comune, che potrebbe essere la sede
ideale e privilegiata della scuola sul campo di sanità pubblica (di tutti gli
ordini da quella d’infanzia a quella degli studi superiori in sanità
pubblica) trova difficoltà a operare. Eppure, già dal 23 maggio 2022 un
decreto ministeriale prevede che ogni 40-50 mila abitanti sia costituita una
Casa della comunità, cioè un «luogo fisico di facile individuazione al quale i
cittadini possono accedere per bisogni di assistenza sanitaria e
socio-sanitaria».
E
nel Pnrr sono previste risorse per edificarle laddove non esistano (un po’ meno
per dotarle del personale). Per far funzionare le Case della
Comunità serve, però, una politica matura, una cultura di sanità pubblica
libera e indipendente da vincoli politici o di categoria (quindi
anche da università, ordini professionali, rappresentanze ristrette) e che sia
condivisa coi cittadini e le cittadine. Una cultura che dovrebbe mirare sia a
riequilibrare i livelli di salute tra i vari gruppi sociali sia a riequilibrare
il peso tra servizi territoriali (Distretti e Dipartimenti di prevenzione) e
servizi ospedalieri.
In
Sardegna queste condizioni non esistono, vanno create progressivamente,
attraverso provvedimenti che rappresentino un cambio di paradigma e vanno
contestualizzati e applicati con il sostegno di iniziative che aumentino la
alfabetizzazione sanitaria pubblica e quindi la competenza sui temi della
sanità pubblica a tutti i livelli, in tutti gli ambienti (politica e media
compresi). Rendere i cittadini protagonisti in ambito sanitario necessita di un
grande investimento di portata strategica, e prevalentemente culturale, per
aumentare le loro conoscenze scientifiche e la consapevolezza di come tutelare
la loro salute.
Questo
potrebbe consentire ai cittadini di comprendere come le politiche ambientali,
urbane, industriali, del territorio, sono determinanti fondamentali nella
tutela e nella promozione della loro salute.
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