Le food coop sono supermercati autogestiti che riducono i costi, promuovono comunità solidali e un nuovo modello di consumo partecipativo
Nel cuore di
Bologna, nel 2019, è cominciato un esperimento sociale che sta ridefinendo il
concetto di fare la spesa. Si chiama Camilla ed è stata la prima food
coop strutturata in Italia. Camilla è un vero e proprio
supermercato autogestito. Per fare acquisti, è necessario essere soci
della cooperativa. I membri partecipano attivamente alla selezione dei
prodotti, all’approvvigionamento, alla distribuzione e alla vendita.
La sua
attività non si limita alla vendita: organizza incontri con i produttori, eventi aperti
al pubblico e amplia costantemente la sua rete di fornitori. Non è solo un
negozio: è il tentativo di dimostrare che il modello dell’emporio di comunità
può funzionare anche nel nostro Paese.
Food coop:
cosa sono e come funzionano
Le food
coop, abbreviazione di “food cooperative” o cooperative alimentari, sono negozi
innovativi, autogestiti e partecipativi. Nascono a New York nel
1973 con la Park Slope Food
Coop, un modello
poi replicato in tutto il mondo. Si tratta di realtà che riuniscono persone che
condividono una scelta di consumo responsabile e partecipano
alla sperimentazione di modelli economici basati sulla cooperazione,
l’autogestione e la solidarietà.
Nelle food
coop, i soci sono contemporaneamente proprietari, clienti e volontari. Per
acquistare, è necessario essere soci e contribuire con un
certo numero di ore di servizio gratuito al mese. Questo approccio permette di
tagliare i costi operativi e offrire prodotti di qualità a prezzi accessibili,
favorendo i piccoli produttori locali, le pratiche sostenibili e la
trasparenza. L’obiettivo principale è rendere accessibile a tutti ciò che
spesso è considerato un bene di lusso, superando la logica della grande
distribuzione organizzata e con essa la dicotomia tra qualità dei prodotti e
condizioni di lavoro di chi li produce.
Come nasce
una food coop: dal gruppo al supermercato
Avviare una
food coop è come avviare qualsiasi impresa. C’è una prima fase di startup e
una di consolidamento. La prima può durare anni. Si tratta di tempo
ben speso: è essenziale avere una chiara consapevolezza del modello di
riferimento, capire come costruire economie di scala in grado di coprire i
costi e reinvestire gli utili. Come è essenziale una reale condivisione
di intenti all’interno del gruppo fondatore e della base sociale. È
necessario pianificare le fasi di sviluppo, mirando a un’ampia gamma di
prodotti (3-4mila articoli) per consentire ai soci di fare una “one-stop
shopping”, evitando che debbano cercare altrove e perdano la motivazione.
Inizialmente, un
piccolo negozio test può servire da laboratorio per familiarizzare con
i produttori, la vendita e la formazione all’autogestione. Solo quando la fase
di start up ha mostrato come raggiungere risultati economici duraturi si può
passare al consolidamento, anche attraverso l’assunzione di personale
dipendente. Ma serve innanzitutto una base sociale numerosa (centinaia, a volte
migliaia di soci).
Food coop in
Italia: oltre la spesa, reti solidali e territorio
In Italia
non sono moltissime, ma sono in costante aumento. Oltre alla citata esperienza
di Camilla a Bologna, ci sono altri esempi food coop. Ci
sono Il cavolo equo a Reggio Emilia; Stadera a Ravenna; Eufemia a Milano; Edera a Trento; Le Vie dell’Orto a Grosseto; Laurentina km10 a Roma; l’Alveare a Conegliano Veneto; Ginko a Merano; Birà
Food Coop a Perugia. C’è Mesa Noa a Cagliari che, in un
quartiere di periferia e disagio sociale, si propone di valorizzare le piccole
produzioni dell’isola escluse dalla grande distribuzione. Qui la food coop si è
impegnata a interagire con la comunità locale ed è diventata punto di
riferimento per la creazione di reti e progetti sociali.
Perché le
food coop non offrono solo un vantaggio economico attraverso
prezzi più accessibili. Il loro impatto va oltre la spesa, e per questo spesso
sono in relazione con altri progetti sociali come orti urbani, progetti educativi nelle scuole e
supporto a famiglie fragili. Organizzano iniziative culturali e sociali,
laboratori, eventi e discussioni su temi come la sostenibilità. Diventano
presidi sociali e culturali nel territorio. La partecipazione attiva dei soci
permette anche una crescita personale e l’acquisizione di
nuove competenze, spesso utili anche nel mondo del lavoro. Banalmente per
gestire una food coop devi essere in grado di gestire una cassa, di utilizzare
software specifici, o avere competenze organizzative. Il loro modello
incoraggia consumo consapevole e scelte etiche, riducendo gli
sprechi, accorciando le filiere e creando valore sul territorio.
Sono un
progetto che genera sostenibilità sociale. Il modello promuove la creazione di
senso di comunità e appartenenza, porta le persone a incontrarsi, lavorare
insieme e costruire relazioni autentiche. Sono luoghi di scambio umano,
culturale e solidale.
Nessun commento:
Posta un commento