Una campagna “a tappeto” e molte ombre
In questi giorni, con l’annuncio dell’assessore alla
Sanità Armando Bartolazzi, si è tornati a parlare con enfasi della cosiddetta
“emergenza LSD” in Sardegna: oltre 300.000 capi bovini e bufalini saranno
vaccinati in tutta l’isola con l’obiettivo di “eradicare” il virus. Tutto a
carico dei fondi europei, quindi apparentemente “a costo zero”. Ma è davvero
così?
Quando una campagna vaccinale diventa obbligatoria e
indiscriminata, le domande che ogni professionista della salute pubblica
dovrebbe porsi sono molte: che tipo di vaccino si userà? Quali dati di
sicurezza lo supportano? È proporzionato al rischio reale? Ci sono alternative
praticabili?
La
dermatite nodulare contagiosa
La LSD (Lumpy Skin Disease) è una malattia virale che
colpisce i bovini, trasmessa da insetti ematofagi come le mosche Stomoxys. Il virus – un Capripoxvirus a
DNA – causa febbre, lesioni cutanee, infiammazione dei linfonodi, calo della
produzione e talvolta aborti. Sebbene raramente letale, la malattia può avere
un impatto economico importante per le aziende zootecniche.
Ma è altrettanto importante ricordare che non esiste una terapia eziologica, e che la prevenzione
si basa su un insieme di misure: controllo dei vettori, biosicurezza,
quarantene e, solo in ultima istanza, vaccinazione
mirata.
La Regione Sardegna ha deciso di
avviare una vaccinazione di massa per diversi motivi:
1. Presenza confermata della malattia in
Sardegna
Nei primi giorni di luglio 2025, sono stati segnalati
e confermati almeno 7 focolai di LSD in
diversi allevamenti bovini della Sardegna (in particolare nelle province di
Nuoro e Oristano), con animali che presentavano: febbre alta, noduli cutanei
disseminati, linfangite e abbattimento generale.
Questi dati, anche se iniziali, hanno fatto
temere una rapida propagazione del virus, tipicamente
veicolato da insetti ematofagi molto diffusi durante l’estate (es. Stomoxys calcitrans, Culicoides spp.),
rendendo l’isola particolarmente vulnerabile dal punto di vista
entomologico e climatico.
2. Linee guida del Piano
Nazionale di Contingency (che recepisce le linee guida dell’Organizzazione
Mondiale per la Salute Animale – WOAH) dicono che in presenza di focolai attivi
di LSD, le opzioni previste sono:
·
abbattimento
degli animali infetti (già attuato nei primi casi);
·
restrizioni
ai movimenti in un raggio di almeno 20 km;
·
vaccinazione omologa a tappeto, per contenere la diffusione e
ottenere lo status di territorio protetto presso
l’UE.
3. Eradicare rapidamente e proteggere
l’economia zootecnica come dichiarato dall’assessore la scelta della vaccinazione obbligatoria e totale è motivata
da: «un’azione tempestiva per evitare una catastrofe economica e
sanitaria negli allevamenti bovini sardi»
4. Conformità alle normative UE per evitare
embargo zootecnico
Secondo i regolamenti UE in materia di sanità animale
(in particolare Reg.
(UE) 2016/429), la
presenza di focolai non contenuti comporta:
·
chiusura dei
mercati esteri;
·
divieto di
movimentazione di animali vivi e prodotti derivati;
·
obbligo di dichiarare lo “status sanitario
compromesso”.
La vaccinazione permette invece di:
·
ottenere un
“territorio in sorveglianza”, mantenendo l’accesso ai fondi e la possibilità di
esportazione;
·
ridurre il
tempo necessario per il ritorno allo status di “indennità”.
Il
vaccino: davvero l’unica via?
Il prodotto scelto è un vaccino vivo attenuato a ceppo Neethling, non un vaccino a mRNA né tantomeno autoreplicante. Questo
vaccino è ampiamente usato in diversi Paesi africani, balcanici e asiatici, si
tratta comunque di un vaccino vivo: può causare reazioni avverse,
anche gravi nei soggetti debilitati o gravidi. Gli studi internazionali hanno
documentato effetti collaterali come febbre, anoressia, noduli nel sito di
inoculo, ma anche casi di aborto, seppur a bassa incidenza (0,3%) (EFSA, 2023).
Il rischio è quello di minimizzare
gli effetti collaterali reali, trasformando un presidio sanitario in
uno strumento di standardizzazione coercitiva.
Molti allevatori ricordano bene i danni della
vaccinazione contro la Bluetongue: calo delle nascite, infertilità, diminuzione
della produzione lattiera, perdita di fiducia nei confronti dei veterinari.
Eppure, sembra che quella lezione non sia servita.
Si continua ad applicare un modello sanitario centrato sulla vaccinazione come unica arma,
ignorando il contesto ecologico, le condizioni ambientali, la salute
immunitaria degli animali, la qualità dell’alimentazione, la densità degli
allevamenti.
I veri
costi della strategia vaccinale
Anche se l’acquisto delle dosi è coperto dall’UE, la logistica,
le indennità per gli animali abbattuti e i danni indiretti saranno pagati dalla
Regione. Si parla già di milioni di euro.
Ma il costo reale rischia di essere ben più alto:
quello della perdita di fiducia tra allevatori e istituzioni,
della percezione di essere espropriati della propria libertà decisionale e
imprenditoriale. E soprattutto, quello di una zootecnia sempre più dipendente
da protocolli sanitari esterni, senza voce in capitolo.
E il
sistema immunitario degli animali?
Non si sente mai parlare, in queste ordinanze e
decreti, dell’importanza di rafforzare la resilienza immunitaria del
bestiame. Un animale sano, ben nutrito, non stressato, ben gestito
sul piano parassitario e ambientale, ha un sistema immunitario in grado di
fronteggiare il virus in modo efficace, anche senza vaccino.
Eppure si preferisce continuare a ignorare queste
dimensioni, affidandosi all’ennesima dose, all’ennesima campagna. Come se il
vaccino fosse la panacea, l’unica possibilità, l’unico sapere autorizzato.
Una
zootecnia sotto ricatto
Molti veterinari – soprattutto quelli di campo –
stanno esprimendo forti dubbi sulla gestione della campagna. Gli allevatori più
consapevoli, invece, parlano apertamente di “ricatto istituzionale” e
minacciano di opporsi con ogni mezzo.
Le voci che si alzano da Nuoro, da Ittiri, da tanti
piccoli comuni sardi parlano di una zootecnia stanca,
frustrata, sempre più abbandonata e controllata da logiche che nulla hanno a
che vedere con la salute animale o umana.
Cambiare
paradigma
Il vaccino può avere un ruolo, ma non può essere il
protagonista assoluto. È tempo di recuperare una visione più
ampia, dove la salute del bestiame è costruita attraverso pratiche
sostenibili, prevenzione reale, ascolto degli operatori del settore.
Continuare su questa strada significa solo ripetere errori già fatti, esasperare chi lavora con
gli animali, e rendere sempre più fragile il nostro patrimonio zootecnico.
Il benessere non si inocula: si coltiva!
Ringrazio il prof. Vincenzo Cuteri per la
revisione ed il contributo
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