Il dispositivo del merito, politiche neo-conservative e “anti-gender, precarietà e ricattabilità del personale docente e ATA. Quali prospettive e rivendicazioni nella scuola pubblica italiana? Un intervento delle Cattive Maestre dall’assemblea nazionale di Non Una di Meno
La nuova definizione data al Ministero dell’istruzione ha fatto molto
discutere perché per la prima volta inserisce direttamente nel suo nome uno dei
riferimenti cardine della pedagogia neoliberale ovvero il merito. Il merito è
stato il dogma dei governi degli ultimi venti anni, un vero dispositivo
ideologico, usato per nascondere la volontà di costruire istituzioni formative
segnate da un profondo disegno classista.
Cosa intendono per merito? L’impressione che si ha è che in questa fase di
forte torsione autoritaria, è che il merito, ovvero quel dispositivo retorico
che è servito a far competere i soggetti nella società e nei percorsi
dell’apprendimento, viene rifunzionalizzato nel quadro del conservatorismo e
della reazione, per diventare ancora di più un criterio di discriminazione, che
esclude quei corpi non conformi e quelle soggettività critiche e precarie. E’
anche in questa ri-significazione del lessico che si intravedono le mire di
questo governo post-fascista.
Cosa significa allora merito? Possibilità di recupero e consolidamento
attraverso lezioni private, condizioni materiali sicure che garantiscono lo
studio a casa in un ambiente protetto o che deve passare per l’umiliazione
secondo l’ultima uscita del ministro? Il dispositivo del merito si intreccia
anche con le dichiarazioni sull’orientamento delle/degli studenti in uscita dai
vari cicli dell’istruzione, che esprime l’idea secondo cui l’addestramento al
lavoro, cioè accettare qualsiasi condizioni di lavoro, dovrebbe partire sin
dalla scuola primaria. Secondo la sua interpretazione la disoccupazione in
Italia avrebbe origine dalla scelta dei licei, che non sarebbe funzionale
all’occupazione.
Nella sua logica non c’è solo l’idea abusata che la scuola debba fornire
competenze necessarie richieste dalle imprese, ma c’è ancora una volta un’idea
autoritaria, secondo cui le/gli studenti devono essere adattabili ad un mercato
del lavoro fondato su bassi salari, precarietà e lavoro gratuito già rese
effettive dal PCTO (ex alternanza scuola-lavoro), oppure gli attacchi al RdC,
dove il ministro arriva a dire che i percettori di questa misura in alcuni casi
sono ex-studenti per i quali la scuola non è stato un canale efficace per
l’occupazione.
Così come, a doppio filo, l’orizzonte del merito sembra concentrarsi sul
ruolo delle docenti e sulla loro presunta inadeguatezza, che viene sbandierata
attraverso vere e proprie campagne denigratorie, che fanno leva su fatti di
cronaca e che si concentrano sulla condotta delle docenti non conformi.
Nella scuola del merito, non c’è alcuno spazio per l’autoformazione, che,
come abbiamo scritto nel Piano
femminista, è per noi un importante strumento di confronto e di elaborazione
collettivo dentro e fuori le scuole. Presentazioni di testi come quelli di bell
hooks, che abbiamo spesso presentato in varie iniziative, in alcune delle
nostre scuole sono state vietate dai consigli di istituto, osteggiati dalle
componenti ultra cattoliche.
Questa nuova morale post-fascista, ovviamente prova a farsi strada come può
anche sul terreno dei saperi, così come sul terreno del revisionismo storico e
della libertà di insegnamento. Addirittura con una circolare il ministro si
arroga persino il diritto di dare indicazioni didattiche, rinominando l’evento
della caduta del muro come “giornata internazionale della libertà”.
Così come è importante non sottovalutare l’endorsement delle varie
associazioni fondamentaliste cattoliche al governo Meloni, come quelle pro life
o neocatecumenali, che immediatamente dopo il risultato delle elezioni hanno
riacceso la loro vecchia campagna anti-gender, scagliandosi contro la carriera
Alias. Nello specifico a Roma, questi soggetti si inseriscono molto spesso
all’interno delle funzioni strumentali o di governance degli istituti,
determinando i piani dell’offerta formativa, solo per provare a controllare ciò
che viene detto in classe dalle docenti.
Allo stesso tempo, la nuova scuola della morale che vorrebbero costruire, è
anche quell’istituzione in cui le docenti prevalentemente donne, la parte più
consistente di questo segmento del lavoro, continua a sperimentare condizioni
di precarietà, di assenza di diritti, di arretramenti anche sul piano
sindacale.
È assolutamente necessario tornare a parlare di precariato nella scuola,
alla luce delle riforme di reclutamento degli ultimi anni. Le docenti vittime
dell’algoritmo sono continuamente in balia di un sistema che le rende ostaggio
di mobilità forzata, dove si è costrette a scegliere conciliazione tra lavoro,
vita e affetti.
Così come, non possiamo fare a meno di constatare che l’ultimo accordo
raggiunto sul rinnovo contrattuale, presenta notevoli limiti sugli aumenti
salariali, che neppure riescono a recuperare la perdita del potere di acquisto
che abbiamo subito nell’ultimo anno dovuta all’inflazione, senza nessuna
capacità di introdurre nel nuovo accordo un avanzamento su alcuni nuovi
diritti. Nel contesto della pandemia, abbiamo sperimentato un utilizzo sempre
più incontrollato delle chat e di tanti altri dispositivi di comunicazione.
Strumenti che hanno contribuito a far esplodere le ore di lavoro non
retribuito, che non trovano nessuna soluzione nel nuovo contratto anzi, non è
si è stati neppure capaci di normare l’uso del lavoro da remoto utilizzato per
le riunioni e altri adempimenti scolastici, che ha avuto anche a funzione di
liberare parte del nostro tempo di vita, riducendo gli spostamenti in città ed
eliminando il tempo di viaggio. Spesso la possibilità di uso di questa modalità
di lavoro è stata sottratta dalla libera decisione degli organi collegiali,
diventando una decisione unilaterale dei presidi.
Infine, che tipo di scuola si immagina a partire da ora, in assenza di
potere degli organi collegiali, quali spazi immaginare nella costruzione
politica della scuola alla luce degli attacchi alla libertà di insegnamento,
cosa ci aspettiamo? Una società basata sull’istruzione di qualità a pagamento
ma che addestri al lavoro gratuito? Dobbiamo lavorare per costruire una scuola
democratica e per ridare spazio agli organi collegiali, discutere, prendere
posizione all’interno dei luoghi decisionali delle scuole, partecipare in
maniera attiva alle mobilitazioni, augurandoci che anche quest’anno l’otto
marzo sia una giornata di sciopero potentissima e che venga declinato in tutte
le sue forme così come abbiamo fatto finora.
Questo articolo è una rielaborazione dell’intervento all’ assemblea
nazionale di Non Una di Meno del 27 novembre 2022
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